A che punto è il caso CONSIP
La procura di Roma ha concluso l'indagine sulla vicenda che riguardava il padre di Matteo Renzi, e che nel tempo è diventata un'inchiesta su come si fanno le inchieste in Italia
Dopo più di due anni la procura di Roma ha concluso le indagini sul cosiddetto “caso CONSIP“, la complicata vicenda giudiziaria partita da una sospetta di fuga di notizie e trasformatasi in un’inchiesta sugli ambigui rapporti tra stampa, politica, magistratura e forze dell’ordine. Le indagini si sono concluse con la richiesta di archiviazione per quello che ne era diventato il principale protagonista, Tiziano Renzi, padre dell’ex presidente del Consiglio. Secondo i magistrati non ci sono sufficienti prove che Tiziano Renzi abbia utilizzato le sue relazioni e le sue parentele per ottenere favori che non gli erano dovuti, nemmeno per andare a processo.
Per altri importanti protagonisti dell’inchiesta la procura chiederà invece il rinvio a giudizio: i generali dei carabinieri Tullio Del Sette ed Emanuele Saltalamacchia, accusati di aver rivelato notizie riservate su indagini in corso; Luca Lotti, ex segretario alla presidenza del Consiglio, accusato di aver rivelato quelle stesse notizie riservate alla persona oggetto delle indagini (cioè Luigi Marroni, l’ex ad di CONSIP, la società che si occupa di appalti per la pubblica amministrazione che dà il nome all’inchiesta). La procura chiederà il rinvio a giudizio anche per diversi altri ex manager di CONSIP e altri dirigenti pubblici, tutti accusati di aver avuto un ruolo nella fuga di notizie.
Altre richieste di rinvio a giudizio riguarderanno probabilmente altri due carabinieri: il maggiore Gianpaolo Scafarto e il suo diretto superiore, il colonnello Alessandro Sessa, accusati di aver falsificato verbali e intercettazioni per cercare di incastrare Tiziano Renzi e alzare così il profilo politico dell’indagine. I due sono anche accusati di aver rivelato ai loro superiori dettagli sulle indagini sui quali erano invece tenuti alla riservatezza. All’epoca delle indagini Scafarto e Sessa erano due uomini di fiducia di Henry John Woodcock, il primo magistrato a occuparsi del caso, sospettato e poi prosciolto per alcune fughe di notizie ricevute dai giornali e ora sotto processo da parte del CSM per il trattamento brutale a cui avrebbe sottoposto uno degli indagati.
L’inchiesta CONSIP iniziò nell’estate del 2016, quando Woodcock cominciò a sospettare che l’imprenditore napoletano Alfredo Romeo avesse corrotto dei funzionari di CONSIP per ottenere alcuni appalti nella sanità campana. La procura di Napoli piazzò alcune microspie negli uffici di Luigi Marroni, amministratore delegato di CONSIP, ma qualcuno lo avvertì dell’indagine e Marroni fece “bonificare” i suoi uffici. Quando fu interrogato dai magistrati, Marroni fornì l’elenco di chi lo aveva avvertito delle indagini: i generali Del Sette e Saltalamacchia (il primo comandante in capo dei Carabinieri, proveniente dalla Toscana, il secondo comandante dei carabinieri toscani), il presidente di CONSIP Luigi Ferrara, il presidente della società idrica toscana Filippo Vannoni e infine l’allora sottosegretario alla presidenza del Consiglio Luca Lotti.
Alla fine del 2016 l’inchiesta venne divisa per ragioni di competenza territoriale: la parte che riguardava CONSIP e Marroni passò alla procura di Roma, mentre a Woodcock rimase la parte che riguardava l’imprenditore Romeo. Proprio in quei giorni ci fu una fuga di notizie a favore del giornalista del Fatto Quotidiano Marco Lillo. In una serie di articoli a fine dicembre, Lillo rivelò per primo l’esistenza dell’indagine. Lillo sarà al centro di numerose altre fughe di notizie dell’indagine i cui autori non sono mai stati identificati. Per esempio fu sempre Lillo a pubblicare il testo di un’intercettazione telefonica tra Matteo Renzi e suo padre realizzata per ordine di Woodcock nel marzo del 2017 (Woodcock continuò a intercettare Renzi nonostante il filone che lo riguardava fosse stato spostato a Roma oltre tre mesi prima).
Quando nel dicembre 2016 Lillo pubblicò i suoi articoli fece un accenno anche a Tiziano Renzi, che però all’epoca non era ancora indagato. Il coinvolgimento del padre dell’allora presidente del Consiglio è secondario rispetto alla vicenda principale, cioè la fuga di notizie sulle microspie nell’ufficio dell’amministratore di CONSIP Luigi Marroni. Secondo Woodcock, Renzi e un suo “amico di famiglia” (l’imprenditore Carlo Russo) avrebbero promesso a Romeo (l’imprenditore che avrebbe corrotto funzionari CONSIP per ottenere appalti nella sanità campana: quello da cui è partito tutto) di usare la loro influenza su Marroni per facilitare i suoi affari in cambio di denaro.
Quando però la procura di Roma ricevette le carte dell’inchiesta scoprì una serie di errori e irregolarità che riguardavano proprio la posizione di Renzi, e che erano stati compiuti dai carabinieri che avevano svolto le indagini per conto di Woodcock. Alcuni verbali di intercettazioni erano stati alterati, mentre altri episodi erano stati nascosti o esagerati, all’apparenza con lo scopo di incastrare Tiziano Renzi e alzare così il profilo politico dell’indagine (che fino a quel momento era un’inchiesta su un importante imprenditore napoletano, ma di interesse soprattutto locale).
Negli anni l’inchiesta – partita come un caso di corruzione – si è profondamente trasformata ed è finita con il diventare un’inchiesta sull’inchiesta stessa. Il filone principale oggi riguarda infatti un reato “generato” dalla stessa inchiesta, ossia la fuga di notizie sulle microspie installate nell’ufficio di Marroni. Questa fuga di notizie proveniva da chi stava realizzando le indagini ed è poi arrivata agli ambienti politico-amministrativi toscani, in particolare quelli vicini al centrosinistra di Matteo Renzi. Secondo i magistrati qualcuno fece arrivare informazioni sull’indagine CONSIP ai capi dei carabinieri toscani, che a loro volta ne informarono il sottosegretario Lotti e un buon numero di alti dirigenti pubblici toscani.
Il filone secondario su Tiziano Renzi e i suoi ipotetici traffici di influenze sembra invece essersi esaurito per mancanza di prove (uno degli elementi più bizzarri in mano all’accusa era un biglietto trovato in una discarica con le iniziali “TR”). Il terzo filone ancora aperto riguarda di nuovo l’inchiesta stessa più che i fatti che l’hanno prodotta, ossia i depistaggi e le fughe di notizie ai danni di Tiziano Renzi, compiute secondo i magistrati dai due carabinieri che condussero la fase più importante delle indagini.