Stiamo cambiando il Niger
Il jihadismo e il traffico di esseri umani hanno portato Europa e Stati Uniti a mandare soldati, spie e aiuti milionari, con varie conseguenze
Fino a pochi anni fa la capitale del Niger, Niamey, era una città sonnolenta e visitata da pochissimi occidentali, lontana dai grandi eventi politici della regione africana del Sahel: poteva contare sui suoi storici legami con la Francia derivanti dal periodo coloniale, e poco altro. Da qualche tempo, però, le cose sono cambiate: a Niamey ci sono soldati, spie e specialisti stranieri, in centro sono stati costruiti nuovi edifici diplomatici e militari, e sono arrivati soldi, molti soldi, soprattutto dall’Unione Europea. Cos’è successo?
Da qualche anno il Niger ha acquisito un’importanza strategica impensabile fino a poco tempo fa, per due ragioni. La prima è che si trova in mezzo a un’area dove sono molto attivi diversi gruppi estremisti e terroristi, tra cui lo Stato Islamico e al Qaida. La seconda è che è attraversato da diverse vie usate dai trafficanti di esseri umani per portare in Libia i migranti che vogliono partire per le coste italiane. Niamey si è trasformata così nella principale base per tutti i governi, le intelligence e gli eserciti interessati a controllare i due fenomeni. «Questo posto è un covo di spie», ha raccontato al Wall Street Journal un uomo che per conto di una società privata è impegnato nella liberazione di un ostaggio europeo sequestrato dai jihadisti. «Sotto i radar, [il Niger] è diventato un paese chiave per l’Occidente».
Il primo problema a manifestarsi è stato quello dell’estremismo islamista, presente da tempo nella regione del Sahel – cioè quella striscia di territori che si estende tra il deserto del Sahara a nord e la savana del Sudan a sud – ma peggiorato negli ultimi anni. Gli analisti usano spesso l’espressione «arco di instabilità» per definire la situazione che si è creata in questa zona dell’Africa e in particolare attorno ai confini del Niger: a ovest, in Mali, operano gruppi come lo Stato Islamico e al Qaida; a sud, in Nigeria, Boko Haram sta aumentando il numero di attacchi contro le forze di sicurezza locali; a nord c’è la Libia, che dalla caduta del regime di Muammar Gheddafi, nel 2011, è diventato un paese controllato da milizie armate, dove proliferano traffici illegali di qualsiasi tipo, tra cui quello di esseri umani. Da tempo le forze di sicurezza nigerine vengono attaccate nelle zone di confine dai gruppi jihadisti operanti nei paesi vicini: a luglio scorso, per esempio, 10 soldati del Niger sono morti in un attacco di Boko Haram.
Più di recente l’Europa ha cominciato a occuparsi di Niger riguardo al traffico di esseri umani, fenomeno che sfrutta rotte che partono dall’Africa occidentale per arrivare fino in Libia. Non si parla solo di progetti dell’Unione Europea, ma anche di iniziative dei singoli stati: l’Italia, per esempio, ha mandato in Niger un contingente di poco meno di 500 militari con l’obiettivo di combattere il traffico dei migranti e addestrare l’esercito nigerino. Un altro paese molto coinvolto è la Francia, che a febbraio di quest’anno ha iniziato a esaminare le richieste di protezione internazionale avanzate dai migranti direttamente in Niger, per risparmiare ai migranti la traversata del deserto del Sahara e la detenzione nei centri per migranti in Libia (la portata dell’iniziativa francese, comunque, riguarda un numero molto limitato di migranti e per ora non ha inciso sul flusso generale).
Oltre alla presenza militare straniera, gli sviluppi degli ultimi anni hanno portato al Niger moltissimi soldi, attraverso vie diverse rispetto a quelle tradizionali degli aiuti internazionali.
Il Niger è diventato il primo destinatario al mondo di aiuti pro capite dell’Unione Europea. Lo scorso anno il Fondo europeo di sviluppo, il principale strumento della UE per finanziare i paesi sottosviluppati, ha stanziato per il Niger più di 800 milioni di euro fino al 2020, la maggior parte dei quali sta arrivando direttamente nelle casse del paese, invece che attraverso le organizzazioni non governative, come succede solitamente. I soldi europei vengono usati per lo più per finanziare l’acquisto di fuoristrada, motociclette e telefoni cellulari in dotazione alle forze di sicurezza nigerine, così come di infrastrutture e tecnologie da impiegare ai confini dello stato.
L’investimento finanziario ha portato anche alla costruzione nella capitale Niamey di interi blocchi di edifici – hotel, centri congressi, sedi delle agenzie UE – che hanno cambiato la faccia della città, trasformandola. Secondo alcuni, però, ha anche comportato una serie di problemi molto seri.
Nonostante il governo sostenga che il boom edilizio degli ultimi anni abbia creato molti nuovi posti di lavoro, ha scritto il Wall Street Journal, molti abitanti di Niamey pensano che il risultato di questi cambiamenti sia stato soprattutto un aumento dei prezzi: nell’ultimo anno, per esempio, il costo di un chilo di riso è aumentato del 29 per cento, un problema non da poco in un paese ancora molto povero. Un’altra preoccupazione riguarda l’arricchimento degli uomini di governo grazie ai soldi provenienti dall’estero. Secondo diversi attivisti e ong, molti di questi finanziamenti vengono usati dal presidente nigerino e dai suoi funzionari più vicini per rafforzare il loro potere, a danno delle opposizioni e della libertà di espressione.
Sono emersi dubbi anche ad Agadez, una città del Niger centrale che è uno dei passaggi più importanti dei traffici della regione: qui – dove vivono alcuni gruppi Tuareg che per secoli hanno commerciato beni di ogni tipo e che da qualche anno trafficano armi e uomini – la percezione di molti è che l’Europa e gli Stati Uniti abbiano criminalizzato il commercio in generale. «Stanno “securitizzando” il paese contro la volontà della maggioranza delle persone», ha detto Julien Brachet, esperto di Sahel all’Università di Oxford: «Potrebbero pagarne le conseguenze prima o poi». Diversi analisti hanno detto di non voler sottovalutare quest’ultimo aspetto, cioè il rischio che gli stessi soldati stranieri possano diventare l’obiettivo dei gruppi radicali operanti nel paese: è già successo, e il caso più noto risale al 4 ottobre 2017, quando un contingente di soldati statunitensi fu attaccato al confine con il Mali da un gruppo estremista locale che uccise quattro militari.