Il surf con le onde artificiali
A Tokyo, dove nel 2020 sarà sport olimpico, onde non ce ne sono: molti stanno pensando di costruire piscine con onde artificiali, ma non sarà facile convincere i puristi
Alle Olimpiadi di Tokyo del 2020 il Comitato Olimpico Internazionale ha deciso di inserire cinque nuovi sport: il baseball/softball, l’arrampicata sportiva, lo skateboard, il karate e il surf. Se i primi non comporteranno grandi problemi nell’organizzazione delle gare, per il surf c’è invece più di qualche preoccupazione. Le competizioni mondiali di surf, infatti, si svolgono in luoghi storicamente adatti a fare surf, come le isole Hawaii, dove le condizioni dell’oceano sono ottimali, e le onde molto alte. A Tokyo, invece, non sarà così.
La commissione organizzatrice delle Olimpiadi ha proposto di organizzare le gare di surf a Shidashita Beach, una spiaggia a circa 60 km dalla città dove però, nel periodo in cui si svolgeranno le gare, cioè tra luglio e agosto, non ci saranno onde particolarmente adatte a fare surf. Il rischio è quindi che le competizioni siano poco appassionanti, e che di conseguenza l’esperimento sia dichiarato fallito e il surf venga tolto dalle future edizioni delle Olimpiadi. Per scongiurare questo rischio, negli ultimi mesi molti atleti ed esperti stanno proponendo di far svolgere le gare di surf dentro piscine con onde artificiali: una soluzione che per alcuni snaturerebbe l’essenza stessa di questa disciplina, mentre per altri sarebbe non solo l’occasione per avere gare divertenti alle Olimpiadi, ma anche per far nascere un nuovo business intorno al surf.
Tradizione contro innovazione
Per le persone che oggi fanno parte a vario titolo della comunità del surf – un’attività nata centinaia di anni fa tra i nativi delle isole Hawaii e diventato un sport solo a partire dagli anni Sessanta, in concomitanza con la nascita della cultura hippie in California – utilizzare piscine con onde artificiali sarebbe un cambiamento non solo di tecnica ma di mentalità. Il surf per molti è più di un semplice sport: aspettare a lungo l’arrivo dell’onda giusta è un atto quasi religioso, per cui vale anche la pena di fare lunghi viaggi, e il “localismo” – cioè la tutela del luogo in cui si pratica surf – è diventato negli anni un principio inviolabile: in molti posti, soprattutto negli Stati Uniti, chi non è un local, un abitante del posto, non è ben visto dalla comunità dei surfisti, che vogliono evitare l’affollamento delle loro spiagge preferite.
Per molti commentatori svolgere le gare di surf all’interno di una piscina artificiale sarebbe la soluzione ideale: le onde sarebbero garantite, gli atleti gareggerebbero in condizioni ottimali e uguali per tutti, le gare si vedrebbero molto meglio sia dal vivo che in tv, e sarebbe più semplice venderne i biglietti. «Il pubblico delle Olimpiadi non può guardare un paio di surfisti che galleggiano a lungo in un oceano piatto», ha detto Grant Ellis, il photoeditor della rivista Surfer, spiegando perché secondo lui le gare delle Olimpiadi di Tokyo 2020 non andrebbero svolte in mare.
Il business delle onde artificiali
Da parecchi anni si discute del surf artificiale, con pareri contrastanti. Eppure, come ha raccontato Kimball Taylor sull’Atlantic, ci sono sempre più persone e società che si stanno dando da fare per costruire piscine in grado di replicare le onde dell’oceano, e permettere ai surfisti di allenarsi anche lontano dalle spiagge.
Tra quelli che per primi hanno intuito le potenzialità di business delle piscine con onde artificiali c’è Kelly Slater, uno dei più famosi e vincenti surfisti al mondo. Nel 2015 iniziò in gran segreto la costruzione di una grande piscina riqualificando un vecchio parco acquatico di Lemoore, in California, a più di 150 chilometri dal mare. Quando Slater mostrò per la prima volta in un video il risultato del suo lavoro, persino gli esperti del settore stentarono a credere che in una piscina si potessero creare artificialmente delle onde così alte perfette. Il magazine Surfer ne scrisse in un articolo intitolato: «la migliore onda mai creata dall’uomo».
L’obiettivo di Slater non era solo creare un posto dove qualunque surfista potesse trovare delle onde perfette, anche senza essere alle Hawaii, ma provare a trasformare il surf in un’attività da poter diffondere anche lontano dal mare e quindi con cui poter guadagnare. Intorno al surf non girano tanti soldi: ci sono le scuole per imparare, ci sono introiti indiretti per le città che ospitano i tornei, ci sono sponsor per gli atleti più famosi, ma il tutto si ferma qui. In fondo il surf si basa su una sola cosa, gratuita: le onde. Affascinante, ma fruibile anche solo dai pochi che se le trovano a portata di mano.
Per sua sfortuna l’idea di Slater è stata molto apprezzata, al punto che in giro per il mondo in tanti si sono mossi per copiarla e, dove possibile, migliorarla: per esempio a Waco, in Texas, dove di recente è stata costruita una piscina capace di creare onde molto più alte e molto più varie di quelle di Slater. Le piscine in grado di creare onde artificiali naturalmente esistono da anni, ma le piscine di Slater e degli altri raggiungono un’altezza e una perfezione completamente nuova per il settore; allo stesso tempo, però, tra i surfisti molti pensano che non siano ancora paragonabili a quelle dell’oceano.
In attesa di Tokyo 2020
Intanto, durante l’estate qualcosa ha iniziato a muoversi anche in Giappone. Gli organizzatori di Tokyo 2020 hanno tempo fino a luglio 2019 per decidere il luogo esatto in cui si svolgeranno le gare di surf, ma al momento sia loro che l’International Surfing Association hanno ribadito che l’oceano resta l’unica opzione. La società di Slater però ha ottenuto l’approvazione per replicare la sua piscina non lontano da Tokyo, e la costruzione dovrebbe finire entro il prossimo dicembre.
Ufficialmente dietro la decisione di Slater c’è solo la volontà di pubblicizzare la tecnologia delle onde artificiali anche in Giappone, in vista delle Olimpiadi, ma la sua speranza è che gli organizzatori possano cambiare idea. Lo stesso discorso vale per Wavegarden, un’azienda spagnola specializzata in piscine con onde artificiali, che ha annunciato di volerne costruire una in Giappone in tempo per le Olimpiadi, con l’obiettivo che diventi il “piano B” nel caso in cui le condizioni dell’oceano non permettano lo svolgimento delle gare di surf.