Come vanno gli abbonamenti digitali del New York Times
Crescono costantemente, anche grazie alla cucina, ai cruciverba, alle t-shirt e a Trump: e stanno trasformando il concetto di "lettori"
Nel gennaio del 2013 il New York Times annunciò che per la prima volta il giornale aveva generato più profitti dagli abbonamenti al sito che dalla pubblicità. Era un traguardo notevole per un settore come quello dell’informazione online, dove gli introiti della pubblicità non sono mai diventati abbastanza grandi per sostenere davvero i costi delle redazioni, e dove convincere dei lettori a pagare un abbonamento a un giornale online – quando internet è piena di news disponibili gratis – è ancora oggi piuttosto complicato.
Successivamente il numero degli abbonati è cresciuto ancora, anche se meno di quanto auspicato; nel 2017 c’è stato anche un positivo “effetto Trump”, che ora però si è ridotto molto. Negli ultimi anni, poi, il giornale ha investito molte forze nel cercare di allontanarsi dal semplice mercato dell’informazione, iniziando a considerare i lettori come potenziali consumatori, grazie ad alcune sezioni in particolare, e a una serie di iniziative che non sono legate direttamente alla produzione di contenuti.
Da dove arriva la crescita degli abbonati
Quando nel dicembre del 2016 il CEO del giornale Mark Thompson prospettò la possibilità di arrivare a 10 milioni di abbonati digitali, non disse entro quando sarebbe successo, e quella quota oggi è ancora lontana da raggiungere. Nonostante questo, negli ultimi due anni gli abbonamenti digitali del New York Times hanno visto comunque un incremento notevole, e a ritmi piuttosto rapidi. Alla fine del secondo trimestre del 2018 il giornale ha avuto 414,6 milioni di dollari di entrate, 1,8 per cento in più rispetto al 2017, una crescita dovuta anche all’aumento degli abbonamenti (cartacei e digitali) avvenuto nell’ultimo anno. In totale gli abbonamenti al New York Times sono arrivati a 3,8 milioni, di cui 2,9 milioni esclusivamente digitali: questi ultimi in particolare hanno portato al giornale da soli 98,7 milioni di dollari di entrate, il 19,6 per cento in più rispetto al secondo trimestre del 2017.
La grande crescita degli abbonamenti digitali è avvenuta nel 2017 soprattutto a causa dell’elezione di Donald Trump a presidente degli Stati Uniti d’America, che il giornale ha seguito con grande attenzione e che nei mesi che successivi all’insediamento ha generato ottimi numeri e soprattutto una forma di “reazione” da parte degli elettori più preoccupati, che li ha portati ad avvicinarsi alla stampa e a sostenerla. Nel secondo trimestre del 2016, per capirsi, gli abbonati digitali al New York Times erano 1,4 milioni: nello stesso periodo del 2017, erano diventati 2,3 milioni, passando dal produrre entrate per 54 milioni di dollari a 82,5 milioni di dollari. Nel 2018 l'”effetto Trump” ha perso un po’ della sua efficacia iniziale, e nel secondo trimestre del 2018 il tasso di crescita degli abbonamenti digitali è diminuito del 27 per cento rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. A crescere sono stati invece gli abbonati alla sezione di cucina Cooking e a quella dei cruciverba – che fino al 2017 erano incluse in tutti gli abbonamenti, mentre oggi possono essere acquistate separatamente – che nel secondo trimestre del 2018 hanno pesato per quasi il 40 per cento del totale degli abbonati digitali.
Gli alti e i bassi del piano di abbonamenti del New York Times
Gli abbonamenti digitali al New York Times sono un esperimento piuttosto recente: fino al 2011, dopo un primo fallimentare tentativo di proporre un abbonamento digitale, il giornale è stato accessibile gratuitamente, con la speranza che la mancanza degli introiti provenienti dagli abbonamenti sarebbe stata colmata dalle entrate della pubblicità. Le cose però non andarono come previsto e, con le entrate del giornale cartaceo in costante calo e quelle delle pubblicità online che non soddisfacevano le aspettative, nel 2011 venne introdotto un metered paywall, un sistema che prevedeva il libero accesso a un numero limitato di articoli al mese, superato il quale gli utenti avrebbero dovuto pagare, e che nel suo primo anno ottenne diverse centinaia di migliaia di abbonati. Inizialmente il numero di articoli consultabili gratuitamente era di venti, ridotto poi nel 2012 a dieci e nel 2017 a cinque. All’epoca i costi degli abbonamenti variavano da 15 a 35 dollari al mese, a seconda del piano selezionato, con offerte speciali che talvolta offrivano una settimana di accesso a tutto il sito per soli 99 centesimi.
Oggi i piani di abbonamento del New York Times sono tre, e sono cambiati parecchio: uno “Basic” che costa 1 dollaro a settimana e permette l’accesso illimitato a tutti gli articoli sul sito; un piano “All Access”, a 2,75 dollari a settimana, che in più dà la possibilità di avere la replica digitale del giornale cartaceo, l’accesso a Crosswords, la sezione dedicata ai cruciverba, e a Cooking, la popolarissima sezione di cucina; infine una versione “All Access Plus” a 4 dollari a settimana, che oltre a tutte queste cose offre agli abbonati la possibilità di interagire con i giornalisti in chat e in videochiamata, per approfondire i temi del giorno, e in più dà sconti speciali su alcuni prodotti del suo negozio online.
In particolare Crosswords, la sezione dedicata ai cruciverba, è diventata una delle più popolari del giornale: da sola fa 400mila abbonati digitali, un numero raddoppiato nel giro di due anni. Così come Crosswords anche Cooking, l’altra sezione di maggior successo del New York Times, che oggi costa 1,25 dollari a settimana o 40 dollari all’anno, è un progetto nato all’interno del giornale per sviluppare dei prodotti che potessero avere vita propria e che potessero generare guadagni. Oggi Cooking ha 10 milioni di utenti unici mensili – gli abbonati possono leggere gratuitamente un numero limitato di ricette al giorno – una newsletter con più di un milione di iscritti e un’app tra le più popolari tra quelle a tema “cucina”. Oltre a Cooking e Crosswords, tra i prodotti speciali c’era anche NYT Now, un’app a pagamento creata nel 2014 e pensata appositamente per un pubblico diverso e più giovane di quello del New York Times, che però non ha avuto il successo sperato ed è stata chiusa dopo poco più di due anni.
A tutto questo si aggiungono gli sforzi fatti negli ultimi anni per attirare nuovi abbonati anche dall’estero: oggi infatti il 15 per cento degli abbonati digitali del New York Times vive fuori dagli Stati Uniti. Di questi il 27 per cento è del Canada, ma dallo scorso anno l’attenzione del giornale ha iniziato a concentrarsi sul mercato australiano. Per farlo, oltre a un investimento di più di 50 milioni di dollari in tre anni, il giornale ha proposto agli abbonati australiani una maggiore copertura delle notizie locali, ma con la profondità di analisi che è propria della storia del New York Times.
Da lettori a consumatori
Nel tentativo di allargare il suo business oltre quello della semplice informazione, il New York Times ha lanciato poi da circa un anno un nuovo store dove si possono comprare tazze con il logo del giornale, agende personalizzate, libri, t-shirt, foto di prime pagine storiche e altro, tutto scontato del 15 per cento per chi è abbonato. Inoltre sono stati avviati da circa tre anni dei corsi di giornalismo tenuti dai giornalisti del quotidiano, per gli studenti delle scuole superiori, a cui viene regalato un anno di abbonamento (nella speranza che diventino così dei lettori del New York Times). A questo si aggiunge infine un progetto che prevede gite e piccole visite guidate, per cui chi è abbonato ottiene un 15 per cento di sconto, mentre chi non lo è ha in omaggio un mese di abbonamento.
È un approccio nuovo verso i lettori, che non sono visti più solamente come fruitori di notizie ma come consumatori in generale: persone a cui offrire un prodotto che non li renda solo più informati ma che li faccia sentire parte di una comunità. Il paywall è solo una parte del meccanismo che sta dietro alla strategia del giornale per ottenere abbonati. Il metodo per riuscirci è un po’ quello di altri servizi a pagamento online, come Netflix o Spotify, cioè far sentire al consumatore che non sta solo acquistando un prodotto ma che sta facendo parte di un’esperienza da condividere con altri milioni di persone. Meredith Kopit Levien, dal 2017 direttrice operativa del giornale, durante la Social Media Week di New York di quest’anno, in un incontro dal titolo “Perché la verità va pagata”, ha spiegato che “gli abbonamenti digitali che funzionano sono prodotti che espandono i tuoi gusti ed allargano i tuoi orizzonti, ti fanno interessare in cose nuove, dirigono la tua attenzione verso cose interessanti e gratificanti, e nel contempo imparano qualcosa da te”.
A tutto questo si affianca il lavoro di quelli che devono fare in modo di conquistare nuovi abbonati e di non perderne: convincere i lettori occasionali ad abbonarsi, e convincere quelli che hanno fatto un abbonamento di prova a continuare. Al momento il New York Times ha uno staff di esperti di marketing che lavora proprio per consolidare il rapporto con gli abbonati e per convincere chi non vuole rinnovare l’abbonamento a continuare, a cui si affianca un altro staff che invece ha il compito di profilare i lettori occasionali e proporre loro offerte e promozioni per farli abbonare. Come ha spiegato Ben Cotton, che è a capo di questo team di lavoro, è un vero e proprio servizio di customer care, una cosa relativamente nuova per i giornali: l’abbonato è prima di tutto un cliente, e come tale va trattato.
Tra le varie iniziative rivolte agli abbonati, per esempio, c’è quella che nell’aprile del 2018 ha dato loro accesso con una settimana d’anticipo a Caliphate, il podcast della giornalista premio Pulitzer Rukmini Callimachi sullo Stato Islamico, mentre alcuni mesi prima era stato lanciato A Year of Living Better, un’iniziativa per i soli abbonati che prevedeva ogni mese una guida per migliorare determinati aspetti della vita dei lettori: da come diventare più creativi a come rendere il mondo un posto migliore.
David Rubin, che dal 2016 è vicepresidente senior del New York Times, ha spiegato che tutte queste iniziative rientrano nel piano di spostare sempre più il giornale verso un business fatto di consumatori e abbonati, da uno basato sulla pubblicità. Probabilmente non sarà lo sconto su una t-shirt o su un viaggio a convincere un lettore ad abbonarsi, ma la speranza è che esperienze del genere facciano sentire le persone parte della comunità del New York Times.