La pubblicità fuori
Il settore dei manifesti pubblicitari – e dei pannelli luminosi, e degli schermi digitali – cresce da anni, in controtendenza, e sta anche tentando di rinnovarsi
Da tempo ormai la pubblicità di cui si discute di più, quella al centro delle notizie e delle conversazioni, è soprattutto quella online: che sia prima di un video di YouTube, tra una foto e l’altra su Instagram o nei post dei cosiddetti influencer, o che faccia discutere per la sua pervasività e personalizzazione. Come ha scritto Recode, «viviamo nell’era delle cose targhettizzate, che ti seguono su diversi browser, su diverse piattaforme e in giro per le città». Questo non vuol dire però che le pubblicità più vecchie di tutte – quelle sui cartelloni e sui manifesti pubblicitari, che stanno ferme e si fanno vedere da chiunque passi loro davanti – non esistano più, anzi. Le pubblicità che in gergo si chiamano out-of-home (fuori-di-casa, perché è lì che si vedono) sono un settore addirittura in crescita, a livello mondiale.
Secondo i dati della società di analisi Zenith, quest’anno nel mondo le pubblicità out-of-home (che comprendono qualsiasi pubblicità all’aperto, sui mezzi di trasporto o in luoghi pubblici) raggiungeranno un giro d’affari di 38 miliardi di dollari, il tre per cento in più rispetto al 2017 e il 35 per cento in più rispetto al 2010, quando Instagram aveva appena iniziato a esistere. A livello mondiale, il settore delle pubblicità out-of-home è – esclusa la pubblicità su internet – quello che sta crescendo di più, mentre continua ad andar male la pubblicità sui giornali o in tv: ci stanno investendo società come McDonald’s, Chevrolet e Coca-Cola, ma anche società di internet come Facebook, Apple e Netflix. Pensate, se vi capita di girare per una grande città, ai grandi manifesti che mostrano come fanno le foto gli iPhone o la nuova serie di Netflix, e che a volte avvolgono interi palazzi; oppure alle campagne nelle stazioni dei treni o della metropolitana.
In Italia le cose vanno in modo un po’ diverso, ma Nielsen, la società che ogni mese comunica i dati sul mercato degli investimenti pubblicitari, divide il settore tra pubblicità outdoor (tutte le cose all’aperto) e pubblicità transit (legata ai mezzi di trasporto: quindi fuori dai tram, nelle fermate della metropolitana, negli aeroporti e così via). Secondo gli ultimi dati disponibili, relativi a luglio, le pubblicità transit sono in crescita mentre quelle outdoor sono in calo rispetto allo stesso mese di un anno fa; e così è stato anche negli ultimi mesi.
Emanuele Nenna, presidente di ASSOCOM e amministratore delegato dell’agenzia The Big Now, spiega che tra le affissioni statiche continuano ad andare bene quelle in «formati giganti», più grandi del classico formato di 6 metri per 3. Le affissioni su formato gigante vengono usate di solito da grandi aziende per lanciare un nuovo prodotto o per presentarsi al loro ingresso nel mercato italiano: ma sono sempre parte di un progetto più ampio, spesso integrato da pubblicità su internet. Pensate a Netflix quando deve lanciare la nuova stagione di una importante serie come Stranger Things, o a quando – facendo quella che si definisce “domination” – “occupa” un’intera stazione. In genere, spiega Nenna, le affissioni enormi sono usate per attirare l’attenzione quando si ha anche in mente di «far succedere qualcosa». In altri casi servono solo per far vedere di essere presenti, di essere così grandi da potersi permettere un formato di quelle dimensioni, anche senza nulla di nuovo da promuovere. «Per mettere una bandierina su un territorio di rilevanza», dice Nenna.
In Italia, funzionano quindi i cartelloni molto grandi; oppure gli schermi digitali, le cui immagini possono cambiare a seconda del giorno, dell’ora o del tempo. Se piove, è un buon momento per pubblicizzare ombrelli; se è appena arrivato un aereo da Mosca, davanti all’aeroporto potrebbe essere utile far apparire una pubblicità in russo. Il settore del digital out-of-home, quello degli schermi pubblicitari, è in netta crescita anche in Italia, ma è ancora una parte piuttosto piccola del mercato: funziona quasi solo nelle grandi città, con tram, metropolitane e aeroporti. Fabrizio du Chène de Vère – amministratore delegato di IGPDecaux, una delle più importanti società che operano in Italia nel settore out-of-home – spiega che nel 2017 l’out-of-home ha generato in Italia un giro di affari di circa 400 milioni di euro e che il digital out-of-home ha inciso per 40 milioni circa. Ci si aspetta che nel 2018 avrà un valore di circa 50 milioni. Parlando di tutto il non-digitale, che continua a essere la parte più grande del settore, du Chène de Vère spiega che esiste anche «tutto un altro settore non censito, fatto da quasi un milione di cartelli» in giro per l’Italia: in genere più piccoli e gestiti da tanti piccoli operatori.
Negli Stati Uniti ci sono anche cartelloni digitali i cui messaggi cambiano lunghezza a seconda del traffico nella strada accanto a cui si trovano: se è poco, e ci passi veloce in auto, mostrano poche parole; se sei imbottigliato in coda potrai invece permetterti di leggere frasi più lunghe. Du Chène de Vère spiega che in Italia il cosiddetto smart content comincia a funzionare, ma non c’è ancora molta domanda da parte delle aziende. Flavio Biondi, responsabile commerciale e marketing di IGPDecaux, spiega che i «progetti interattivi con impianti intelligenti» non vengono automaticamente proposti alle aziende e non rappresentano «esperienze diffuse e generalizzate», anche per le molte questioni di privacy a cui bisognerebbe fare attenzione. Negli Stati Uniti, dice Biondi, è più facile fare cose di questo tipo, perché ci sono meno regole.
C’è poi una questione di costi. Gli schermi digitali sono ovviamente più cari – per le aziende che li installano e per le società che pagano per comparirci sopra – e non tutti gli operatori del settore possono permetterseli. Uno schermo digitale di 70 pollici costa, se messo in una metropolitana (quindi al coperto e al chiuso), circa 10mila euro, ma esistono in Italia anche schermi molto più grandi, come quelli negli aeroporti, che costano anche alcune centinaia di migliaia di euro.
Chi lavora nel settore della pubblicità out-of-home dice che il futuro sta soprattutto nell’uso della geolocalizzazione per capire dove sono gli utenti e, magari, comunicare con loro all’interno di una campagna di cui fa parte anche un cartellone o uno schermo pubblicitario. Nenna parla di «creazione di storie che hanno nell’affissione dei momenti di contatto». La nuova pizzeria di un certo viale di una certa città continuerà ovviamente a essere interessata soprattutto a un paio di cartelloni lì intorno e nulla più, ma quello è un altro tipo di domanda e di offerta.
In Italia ci sono alcuni problemi, che non riguardano solo le affissioni digitali. Uno, di base, è dovuto alla struttura stessa di molte città. A Venezia per esempio c’è pochissimo spazio per affissioni sui muri e gli spazi ristretti di tanti borghi e quartieri si prestano male a grandi affissioni, che difficilmente si vedrebbero. E bisogna anche tenere conto di svariate specificità locali: a Milano, per esempio, sono considerati molto importanti i manifesti luminosi, perché si vedono bene anche in un giorno invernale e nebbioso.
Nonostante esistano alcune società che hanno spazi in diverse regioni d’Italia e in tutte le sue principali città, è comunque difficile organizzare una vera campagna nazionale, perché bisogna trovare gli spazi giusti o contattare chi ne possiede le concessioni. Le pubblicità alle fermate (o addirittura gli spazi per comparire nel nome di una fermata della metro: al momento a Milano è libero quello per la fermata San Siro) sono gestite tramite bandi comunali. Se voleste invece far comparire una pubblicità sulla parete del vostro condominio dovreste: ottenere il permesso tramite riunione condominiale, ottenere il permesso dal comune, pagare la tassa di concessione e trovare un’azienda che vi paghi per quello spazio (o molto più probabilmente una società concessionaria che faccia da tramite con varie aziende). In genere le affissioni durano 15 giorni; nel caso dei grandi schermi digitali degli aeroporti, però, i contratti di solito sono annuali.
È difficile fare stime generali sui costi, ma un cartello di medie dimensioni costa qualche centinaio di euro al giorno; i più grandi, a Milano o a Roma, possono costare per 15 giorni ben oltre 100mila euro. Chi lavora nel settore dice che, in genere, a meno di casi specifici e particolarmente locali, in una grande città si compra un circuito di almeno un centinaio di spazi di affissione. Per chi volesse curiosare sui prezzi nella sua città, questo è il listino completo di IGPDecaux. La società è attiva in quasi 150 città e in cinque aeroporti, con quasi 90mila “facce pubblicitarie”, 15mila pubblicità sui mezzi di trasporto e più di 10mila “impianti di arredo urbano”. Clear Channel, un’altra importante società del settore, è attiva in Italia in 7 aeroporti, ha più di 6mila poster e, solo a Milano, più di 1.500 schermi digitali.