Il “triangolo offensivo”, un pezzo di storia della NBA che hanno capito in pochi
È lo schema di gioco più famoso del basket americano: fu inventato dal leggendario Tex Winter, morto mercoledì a 96 anni
Per circa un decennio, tra gli anni Novanta e gli anni Duemila, il campionato di basket della NBA fu dominato da uno schema di gioco chiamato “triangolo offensivo”. È impossibile riuscire a spiegarlo in poche righe, e secondo qualcuno non basterebbero nemmeno pagine: semplificando – ma semplificando moltissimo – lo schema prevede la continua formazione di triangoli in campo, con i giocatori ai vertici, facendo tanti passaggi e tanto movimento senza palla. Lo “sviluppatore” del “triangolo offensivo” era il leggendario Tex Winter, unico assistente allenatore inserito nella prestigiosa Basketball Hall of Fame (uno dei massimi riconoscimenti del basket internazionale), che è morto mercoledì a Manhattan, in Kansas, a 96 anni. «Era un genio del basket, in ogni senso», ha detto di lui Kobe Bryant. Non è il solo a pensarla così.
Winter è stato considerato per decenni un grande stratega del basket, uno dei migliori di sempre. Cominciò a essere noto al grande pubblico molto tardi, alla fine degli anni Ottanta, quando aveva già più di 60 anni e fu affiancato sulla panchina dei Chicago Bulls a Phil Jackson, che sarebbe poi diventato l’allenatore più vincente della storia della NBA. Insieme a Jackson e con il “triangolo offensivo”, Winter vinse da assistente allenatore sei titoli NBA con i Bulls di Michael Jordan e altri tre con i Los Angeles Lakers di Kobe Bryant e Shaquille O’Neal. Un’enormità.
Come scrisse nel 2015 il giornalista del New York Times Nicholas Dawidoff, «se messi sotto pressione, pochi di noi saprebbero descrivere con convinzione cosa sia il “triangolo offensivo”». Quando scrisse l’articolo, intitolato The Obtuse Triangle, “Il triangolo ottuso”, Dawidoff stava cercando di capire come funzionasse lo schema più famoso della storia del basket, inventato negli anni Quaranta dall’allenatore del college Sam Barry e affinato e sviluppato negli anni successivi proprio da Winter.
Dawidoff aveva recuperato una copia di The Triple-Post Offense, libro scritto da Winter nel 1962 e considerato il testo di studio più importante sul “triangolo offensivo”. Aveva iniziato a leggerlo e ne era rimasto stupito: non era un libro simile a quelli di altri allenatori, non conteneva consigli sul comportamento da tenere con i giocatori, suggerimenti sullo stile di vita da adottare o ragionamenti filosofici sul basket. Iniziava così: «L’impostazione di schemi offensivi è fatta per creare buone opportunità di fare canestro – lo scopo fondamentale di tutti gli attacchi». Era un libro tecnico, essenziale, che entrava minuziosamente in tutte le fasi del gioco. Il “triangolo offensivo”, oltretutto, non era nemmeno citato per le prime 40 pagine.
Tex Winter ai tempi di Kansas University mentre spiega il “triangolo offensivo”
La ragione è che il “triangolo offensivo” difficilmente può considerarsi solo uno schema di attacco, quello che nel basket si chiama all’inizio di un’azione offensiva: è un’idea di gioco, un sistema, che richiede studio, preparazione ed esecuzione praticamente perfetti. E richiede anche giocatori adatti e versatili: per esempio centri capaci di tirare da fuori (alla Pau Gasol, per intenderci) e guardie capaci di leggere velocemente i movimenti della difesa e di segnare con facilità da diverse posizioni del campo (come Jordan e Bryant).
Il sistema del “triangolo offensivo” funziona attorno a tre giocatori posizionati formando un triangolo: uno quasi sotto canestro (in post basso), uno nell’angolo del campo e uno sulla linea da tre punti, con i rimanenti due giocatori della squadra dall’altra parte del campo. La cosa fondamentale dello schema sono gli spazi: tra un giocatore e l’altro devono esserci almeno 4 metri di distanza, di modo da evitare facili raddoppi da parte della difesa. L’idea è continuare a passarsi la palla in modo da muovere la difesa e sfruttarne i punti deboli e gli errori, e continuare a formare triangoli nel caso in cui la palla finisca dalla parte opposta del campo, quella occupata dai due giocatori esclusi dal primo triangolo. E così via.
La parte difficile dello schema di Winter riguarda la lettura del gioco: ciascun giocatore deve essere bravo a capire come si sta muovendo la difesa e rispondere facendo la scelta giusta, rapidamente. Una volta Phil Jackson, il maggiore conoscitore del “triangolo offensivo” dopo Winter, stimò che esistevano circa 35 combinazioni di movimenti possibili solamente per spostare la palla da un lato all’altro del campo, cioè per fare uno dei tanti movimenti inclusi nello schema.
Dopo il suo decennio d’oro, il “triangolo offensivo” smise di essere usato con efficacia. Ebbe un breve ritorno in auge dal 2014 al 2017, quando Jackson divenne presidente dei New York Knicks e provò a risollevare le sorti della squadra introducendo il sistema che lo aveva reso l’allenatore più vincente di sempre, ma non ci riuscì. C’era molta diffidenza verso il triangolo, molto meno talento in squadra e la star locale, Carmelo Anthony, si era mostrata insofferente nel dover dedicare così tanto tempo a imparare i movimenti dello schema. Dopo l’ennesima sconfitta, Anthony disse: «Stiamo facendo aggiustamenti nel nostro attacco, al di là degli schemi che giochiamo. Arrivati a questo punto sono stanco di sentir parlare di triangolo. Sono davvero stanco».
Oggi il “triangolo offensivo” non viene più usato, anche se alcune idee che ne stavano alla base sono state riprese da giocatori e allenatori. Steve Kerr, attuale allenatore dei Golden State Warriors e uno dei migliori esecutori del “triangolo offensivo” quando giocava per i Chicago Bulls di Jackson e Winter, ha spiegato che oggi il basket che si gioca in NBA è molto diverso, con meno movimento della palla e meno rotazioni dei giocatori in campo. Kerr ha detto: «I giocatori crescono con il pick-and-roll [il movimento che coinvolge due attaccanti e cerca di ottenere un vantaggio con un “blocco”, ndr], e di conseguenza non giocano in maniera naturale senza palla. Molti dei giocatori “one-and-done” [quelli che arrivano in NBA dopo un solo anno al college, ndr] sono incredibilmente talentuosi ma non hanno allenato i fondamentali. Nel “triangolo offensivo” sarebbero completamente persi».
Secondo Dawidoff, la convinzione di Winter fu sempre che nessuna squadra fosse realmente pronta per imparare a giocare il “triangolo offensivo” come andava fatto, perché nessuna squadra conosceva lo schema – e il basket – come lui. Kobe Bryant ha raccontato di recente un episodio che mostra bene com’era Winter e come la sua ossessione per i particolari lo avesse portato a essere considerato una delle migliori menti che abbia mai avuto il basket americano: «Dopo che vincemmo il secondo titolo, Winter venne da noi, prima della parata. Eravamo tutti seduti e iniziò a dirci che non facevamo in maniera corretta il passaggio al petto [una delle prime cose che si imparano quando si inizia a giocare a basket]. Era serio. Noi iniziammo a ridere, ma lui non capì il perché. Questo era Tex».