26 incipit per un nuovo inizio
Quello della Scuola annuale di scrittura Belleville: inizia il 5 novembre e c'è ancora qualche posto
Il 5 novembre inizia la Scuola annuale di scrittura Belleville. Per inaugurare l’anno scolastico 2018/2019 e dare un’anteprima delle lezioni, giovedì 11 ottobre alle 16.30, in via Poerio 29, il direttore Giacomo Papi terrà una lezione sui modi per incominciare un romanzo. I posti sono limitati, quindi occorre prenotarsi scrivendo un’email a info@bellevillelascuola.com.
A seguire, dalle 19.00, ci sarà la presentazione del romanzo Se mi guardo da fuori di Teresa Righetti, ex allieva della Scuola annuale.
La Scuola annuale di scrittura Belleville è suddivisa in due quadrimestri, il primo più teorico e il secondo progettuale, per un totale di 300 ore di lezione, che hanno cadenza giornaliera e durano fino a giugno. Al corso annuale insegnano, tra gli altri, Walter Siti, Laura Pariani, Sandrone Dazieri, Francesca Serafini e Bianca Pitzorno. Per iscriversi c’è tempo fino al 20 ottobre, ma sono in corso i colloqui e i posti disponibili sono limitati.
Per cominciare
In attesa della prima lezione, un breve racconto composto soltanto di inizi di romanzi famosi
di Giacomo Papi
Da dove comincio? [1] Potrei cominciare dal mio nome, ma lasciamo perdere, perché sprecare tempo? È un particolare senza importanza in questa città di dodici milioni di nomi. [2] Le otto di sera. Per milioni di persone, ognuno nel suo abitacolo, nel piccolo mondo che si è creato o subisce, una giornata ben determinata volge al termine, fredda e nebbiosa, quella di mercoledì 3 febbraio. [3]
Sì, tutto potrebbe iniziare così, qui, in questo modo, una maniera un po’ pesante e un po’ lenta, nel luogo neutro che appartiene a tutti e a nessuno, dove la gente s’incontra quasi senza vedersi, in cui la vita dell’edificio si ripercuote, lontana e regolare. [4] Un edificio grigio e pesante di soli trentaquattro piani. [5]
È cominciato così. Io, io non avevo proprio detto nulla. Nulla. È stato Arthur Ganate a farmi parlare. [6] Era un paio di centimetri o tre sotto il metro e ottanta, molto robusto di corporatura, e vi arrivava dritto incontro a testa avanti, rientrando un poco le spalle, con uno sguardo fisso da sotto in su che faceva pensare alla carica di un toro. [7] Gli ho detto: «Dimmi la verità», e ha detto: «quale verità», e disegnava in fretta qualcosa nel suo taccuino e m’ha mostrato cos’era, era un treno lungo lungo con una grossa nuvola di fumo nero e lui che si sporgeva dal finestrino e salutava col fazzoletto. Gli ho sparato negli occhi. [8] Era l’ultima lite, almeno questo era chiaro. [9]
Era morto e stecchito, quell’uomo. Giaceva sul pavimento, in pigiama, il cervello spappolato sul tappeto, e stringeva in mano la rivoltella. [10] Se avete sparato a un uomo, e l’avete ammazzato, avete in certa misura chiarito il vostro atteggiamento verso di lui. Avete dato una risposta definita a un problema definito. Nel bene e nel male, avete agito in maniera decisiva. In un certo senso, la mossa successiva sta a lui. [11]
Il venerdì 13 ottobre 1820 fui arrestato a Milano, e condotto a Santa Margherita. [12] Un giorno, inquadrati per tre con le scarpe lucide, come se fosse un normale servizio, una corvée, ci portarono al castello di Oria. [13] Ci trasferirono di notte. [14] La divisa dei forzati è a righe bianche e rosa. Se per comando del cuore, ho scelto l’universo in cui mi compiaccio, ho almeno il potere di scoprirvi i numerosi significati che voglio: esiste dunque uno stretto rapporto tra i fiori e i forzati. La fragilità e la delicatezza dei primi sono della stessa natura che la brutale insensibilità degli altri. [15]
Signor giudice, vorrei tanto che un uomo, un uomo solo, mi capisse. E desidererei che quell’uomo fosse lei. [16] Condannato a morte! Sono cinque settimane che abito con questo pensiero, sempre solo con lui, sempre agghiacciato dalla sua presenza, sempre curvo sotto il suo peso! [17] Ero spossato, spossato a morte da quella lunga agonia, e, quando, finalmente, mi slegarono e mi fu permesso di sedere, sentii che i sensi mi abbandonavano. La sentenza, l’orribile sentenza di morte, fu l’ultima frase che mi giunse distintamente all’orecchio. [18] Comunque, fra poco sarò morto del tutto, finalmente. [19] «Uuuuhhh! Guardatemi, sto morendo». [20]
È ormai tempo che mi dedichi al mio problema. [21] Mi chiamo Jared e sono un fantasma. [22] Sono morto da più di vent’anni, ma ancora non so staccarmi dalla città. [23] Abito a Villa Borghese. Non un granello di polvere, non una sedia fuori posto. Siamo soli e siamo morti. [24]
C’erano una volta alcuni morti che sedevano insieme, nell’oscurità: dove, non sapevano – forse, in nessun luogo. Ma sedendo, discorrevano per far sì che l’eternità trascorresse. [25] Il sole splendeva, senza possibilità di alternative, sul niente di nuovo. [26]
NOTE
[1] James G. Ballard, Un gioco da bambini
[2] Raj Kamal Jha, La coperta azzurra
[3] Georges Simenon, L’ottavo giorno
[4] Georges Perec, La vita: istruzioni per l’uso
[5] Aldous Huxley, Il mondo nuovo
[6] Louis-Ferdinand Céline, Viaggio al termine della notte
[7] Joseph Conrad, Lord Jim
[8] Natalia Ginzburg, È stato così
[9] Jonathan Coe, La casa del sonno
[10] Mickey Spillane, La vendetta è mia
[11] Raphael A. Lafferty, Golden gate
[12] Silvio Pellico, Le mie prigioni
[13] Luciano Bianciardi, Natale con il miele
[14] José Maria Arguedas, Il Sexto
[15] Jean Genet, Diario del ladro
[16] Georges Simenon, Lettera al mio giudice
[17] Victor Hugo, Gli ultimi giorni di un condannato a morte
[18] Edgar Allan Poe, Il pozzo e il pendolo
[19] Samuel Beckett, Malone muore
[20] Michail Bulgakov, Cuore di cane
[21] Ernst Jünger, Il problema di Aladino
[22] Douglas Coupland, La fidanzata in coma
[23] Roberto Pazzi, Le città del dottor Malaguti
[24] Henry Miller, Il Tropico del Cancro
[25] Pär Lagerkvist, Il sorriso eterno
[26] Samuel Beckett, Murphy