Il cavolfiore va di moda
Anche in Italia, dicono i dati: finiremo per mangiare, come negli Stati Uniti, bistecche di cavolfiore, riso di cavolfiore e addirittura pizza di cavolfiore?
di Arianna Cavallo – @ariannacavallo
Sui pianerottoli di un qualsiasi condominio italiano in autunno è normale sentire l’odore del cavolfiore in cottura: gratinato, al vapore, in pastella e con la pasta, o per l’insalata di rinforzo a Natale, è un ortaggio povero della tradizione popolare che si mangia un po’ ovunque. Il principale ostacolo alla sua diffusione è semplicemente sé stesso, perché a molti non piace, per l’odore che resta ad aleggiare in cucina e un po’ per la sua stessa storia di alimento umile e poco valorizzato. Lentamente però anche in Italia il cavolfiore sta diventando di moda: probabilmente gli amici appassionati di cucina ve lo hanno già preparato a cena in qualche versione esotica, cucinato come una bistecca o sminuzzato e condito come fosse un cous cous. È una tendenza che arriva, come capita spesso, dagli Stati Uniti: iniziata dieci anni fa con la crisi economica, ha trasformato il cavolfiore da ortaggio riscoperto da una nicchia a fenomeno di massa che si sta espandendo – come accaduto per l’avocado, il matcha e il kale, il cavolo nero – nel resto del mondo.
Il successo particolarmente duraturo del cavolfiore è dovuto alla congiunzione di molti fattori: è economico, versatile, si coltiva ed esporta facilmente ovunque, è presente in quasi tutte le cucine del mondo e ha un sapore delicato, che accompagna bene gli altri cibi senza sovrastarli. È uno dei pochi ortaggi, per la sua forma compatta e massiccia, a poter essere affettato come una bistecca, mentre la sua consistenza gli permette di essere sminuzzato e trasformato in altro: riso di cavolfiore, gnocchi di cavolfiore, addirittura pizza di cavolfiore, ottenuta impastandolo al posto della farina.
Secondo Suzy Badaracco, presidente della società di previsione delle tendenze Culinary Tides, negli Stati Uniti la moda del cavolfiore iniziò verso il 2008, favorita dalla crisi economica e dalla diffusione di diete che prevedevano più verdure, meno glutine e meno carboidrati, come la dieta paleo (che immagina di mangiare come gli uomini delle caverne solo alimenti della caccia, pesca e raccolta, escludendo i prodotti raffinati), la chetogenica (che si basa sul funzionamento dell’insulina e prevede pochi carboidrati e tanti grassi) e la dieta Dukan, a base di proteine.
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Per prima cosa, il cavolfiore venne usato come sostituto della carne e nei ristoranti iniziarono a spuntare bistecche, fette arrostite o servite con le salse come fossero costate. Secondo Kara Nielsen, vicepresidente del settore trend e marketing a CDD Innovation – una società che aiuta le grandi aziende alimentari a sviluppare nuovi prodotti – il cavolfiore divenne oggetto di interesse degli chef americani verso il 2008: Jeremy Fox preparava «cavolfiore in pentola di ghisa» nel suo ristorante vegetariano Ubuntu a Napa, in California; nel 2010 Daniel Patterson serviva cavolo sfrigolato nell’olio d’oliva con bulgur e mandorle al celebre ristorante Plum, di Oakland, in California, mentre al Dirt Candy di New York si trovavano i waffle al cavolfiore della famosa chef vegetariana Amanda Cohen. Nel 2013 il New York Magazine decretò che «il cavolfiore era diventato il protagonista del piatto» e che «era l’ortaggio che più di tutti si sarebbe potuto scambiare per un pezzo di carne», mentre il sito gastronomico Food52 lo metteva al centro di una ricetta dietro l’altra.
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A quel punto iniziò una nuova tendenza: trattarlo come un sostituto dei carboidrati, trasformato in farina e in riso, come le zucchine vengono trafilate in spaghetti. Venivano così soddisfatte le richieste di chi era a dieta, di chi voleva ridurre la quantità di calorie e carboidrati, e delle persone intolleranti al glutine. Per permettere alle sue figlie celiache di mangiare la pizza, Gail Becker, un’ex direttrice del marketing, ne inventò una impastata con una sorta di farina di cavolo ottenuta frullandolo a crudo: l’idea ebbe successo e nel 2016 Becker lasciò il lavoro e fondò una sua azienda, la Caulipower, che ora vende pizza di cavolfiore surgelata e preparato per impastarla a casa in 9.000 negozi negli Stati Uniti, tra cui grosse catene come Walmart e Safeway. Altri grandi gruppi alimentari hanno proposto una loro versione e di recente anche Oprah Winfrey ha lanciato una sua linea di pizze di cavolfiore surgelate, in collaborazione con Kraft.
A rendere il cavolfiore allettante ha contribuito anche il recente successo della nuova cucina israeliana, che non ha niente a che fare con bagel, salmone e sottaceti – cioè la cucina ebraica ashkenazita dell’Est Europa, che associamo all’Upper West Side di New York – ma che è una rielaborazione in chiave moderna della tradizione mediorientale, fatta di hummus, falafel, baba ganoush e tabulè. Tra gli chef che l’hanno fatta conoscere in Europa e negli Stati Uniti ci sono Meir Adoni con il suo famoso ristorante Nur a New York; Eyal Shani, che ha reinventato la piteria con il suo Miznon, aperto a Tel Aviv, Parigi, Vienna e New York; e Yotam Ottolenghi, chef britannico di origine israeliana che gestisce cinque ristoranti a Londra e autore di libri di cucina di grande successo, a partire da Jerusalem del 2008 (in Italia sono pubblicati da Bompiani: l’ultimo, Simple, appena uscito in Regno Unito e Stati Uniti, arriverà in Italia per Natale). Ottolenghi cura anche un blog di cucina sul Guardian, dove pubblica settimanalmente ricette facili da provare a casa, molto lette e condivise.
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Shani e Ottolenghi sono tra gli chef che più di tutti hanno contribuito al rilancio del cavolfiore. Shani è famoso proprio per il suo cavolfiore intero, spalmato d’olio, avvolto in un cartoccio e infilato nel forno: è il piatto forte di Miznon, accompagnato con hummus e tahina, la salsa al sesamo. Ottolenghi l’ha reso protagonista di molte ricette, come la bistecca di cavolfiore con tahina, succo di limone e capperi, l’insalata con melograno e pistacchio, e il pasticcio di cavolfiore con cipolle. Come scrive David Sax, autore di The Tastemakers, un libro di storie di piatti contemporanei, «il successo della nuova cucina israeliana ha improvvisamente dato al cavolo una nuova vita».
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Tutto questo si traduce nella crescita delle vendite di cavolfiore e derivati. Negli Stati Uniti la vendita di piatti surgelati a base di cavolfiore è aumentata del 108 per cento nell’ultimo anno, quella dei cibi per bambini a base di cavolfiore è salita del 34 per cento. Da Green Giant, storica azienda americana di verdure surgelate e in lattina, è l’ortaggio più venduto. Il suo vicepresidente Jordan Greenberg ha ricordato che quando venne introdotto il riso di cavolfiore tra i prodotti, a fine 2016, «ne raccoglievamo due ettari a settimana; ora ne raccogliamo fino a 14 ettari a settimana»: più di 100 mila cavolfiori al giorno. Ora l’azienda propone cavolfiore arrostito, purè (al posto delle patate), crocchette (sempre al posto delle patate), pizza e riso (come sostituti della versione con carboidrati). Sempre nel 2017 le vendite di prodotti sostitutivi a base di cavolfiore sono raddoppiate rispetto al 2016, per un totale di 15 milioni di euro. In Italia, stando ai dati di Coldiretti, le vendite di cavolfiore sono in lieve ma costante ascesa; la produzione è la stessa ma è aumentata la quota di prodotto esportata negli Stati Uniti. Anche Orogel, uno dei principali marchi italiani di surgelati, conferma che nell’ultimo anno le vendite di cavolfiore sono aumentate del 28 per cento.
Per finire secondo Badaracco la fortuna del cavolfiore, che dopo tutti questi anni non è ancora finita, è legata anche alla situazione politica americana. I periodi di benessere spingono le persone a sperimentare cibi nuovi, quelli di recessione a rifugiarsi nel comfort food, tradizionale e rassicurante. Dopo le elezioni del 2016 l’atmosfera è a metà strada tra le due: gli americani non si sono ulteriormente impoveriti ma si sentono vulnerabili e questo si riflette nella ricerca di piatti non rischiosi ma nemmeno banali, che abbiano un minimo di novità. Per questo il cavolfiore, con i suoi tanti abbinamenti, preparazioni e nuove versioni – come quella verde, viola o arancione – è ancora la risposta giusta.