Goldman Sachs e la crisi di Astaldi

Cosa succede quando alla sfortuna e a una serie di scelte imprenditoriali sbagliate si affianca la più spregiudicata banca d'affari di Wall Street

(ANSA/ Fabrizio Cassinelli)
(ANSA/ Fabrizio Cassinelli)

Questa settimana l’agenzia di rating Standard & Poor’s ha abbassato il rating di Astaldi, una delle più importanti società italiane di costruzione. Astaldi, con i suoi diecimila dipendenti e il suo fatturato annuale di 3 miliardi di euro, secondo S&P è in “default”, cioè in fallimento: non più in grado di pagare i suoi debiti. La società però non è tecnicamente fallita, almeno non per la legge italiana: Astaldi ha fatto una richiesta di concordato preventivo al tribunale di Roma.

Tecnicamente Astaldi è in una situazione di “pre-fallimento”, in cui proprietari e amministratori dell’azienda vengono limitati nelle decisioni che possono prendere sulla gestione della società e sono obbligati a presentare un piano di rilancio. In cambio, la legge permette loro di ritardare i pagamenti ai vecchi creditori in attesa della presentazione del piano. Visto che in base al concordato alcuni creditori non saranno pagati secondo scadenza, S&P ha deciso di considerare quello in corso un vero e proprio fallimento.

Le difficoltà di Astaldi sono strettamente legate al suo modello di business, ad alcune scelte discutibili fatte dal management e alla sfortuna, ma anche in qualche misura alle azioni spregiudicate della più spregiudicata tra le banche d’affari di Wall Street: Goldman Sachs. Andiamo con ordine. Per definizione, le società che si occupano di grandi opere come Astaldi lavorano a pochi importanti progetti, molto costosi ma anche potenzialmente molto lucrosi. Questo significa dipendere da pochi contratti molto grandi e avere margini di liquidità (cioè il denaro che la società ha in cassa in ogni momento) piuttosto bassi. Perdere un contratto o subire un ritardo in un pagamento possono quindi diventare rapidamente dei grossi problemi.

Una società di grandi costruzioni deve quindi scegliere bene quali lavori accettare. In questo, purtroppo, Astaldi è stata sfortunata (o poco prudente). Per esempio, la società ha in corso tre progetti ferroviari con l’Instituto de Ferrocarriles del Estado, l’ente ferroviario del Venezuela, un paese che da anni si trova in una grave crisi economica della quale non si vede la fine. Oggi sembra difficile che l’affare possa concludersi come era stato inizialmente pensato. L’esposizione della società, cioè l’ammontare del suo investimento, era pari a 433 milioni di euro. Alla fine del 2017 questo totale venne ridotto “in via cautelativa” a 230 milioni e la società iniziò a chiedere ai suoi creditori di rinegoziare le scadenze dei debiti.

Negli ambienti finanziari era noto da tempo che Astaldi fosse in difficoltà, sia per l’investimento in Venezuela sia per le difficoltà che duravano ormai da un decennio. Tra chi aveva notato le difficoltà di Astaldi c’era anche Goldman Sachs, la banca d’affari americana che poco tempo prima aveva fornito il suo aiuto per trovare nuovi finanziamenti (alla fine Astaldi ricevette prestiti da un consorzio formato tra gli altri da Unicredit, Intesa Sanpaolo, HSBC, BNP Paribas e JPMorgan Chase). Alla fine del 2017, quando le difficoltà di Astaldi con l’affare venezuelano divennero sempre più chiare, Goldman Sachs decise di scommettere contro la società.

A raccontare la vicenda è stato nel giugno scorso proprio Luca Casiraghi, giornalista di Bloomberg. Secondo Casiraghi, quando Astaldi dichiarò di aver svalutato il suo investimento in Venezuela, la banca iniziò a consigliare ai suoi clienti di prendere posizioni “corte” su Astaldi, cioè di scommettere sulle sue future difficoltà e sul suo fallimento (qui avevamo spiegato nel dettaglio cosa significa). La stessa banca iniziò a investire in CDS, “credit default swap”, cioè prodotti finanziari il cui pagamento scatta quando l’entità (una società, uno stato o anche una singola obbligazione) a cui sono agganciati fallisce (funzionano quindi come una specie di assicurazione contro il default).

Nel frattempo, mentre Goldman Sachs e i suoi clienti accumulavano CDS su Astaldi, la società preparava il suo piano di rilancio che passava da un aumento di capitale tramite la vendita di 300 milioni di euro in nuove azioni, più una serie di altre manovre per migliorare la situazione finanziaria della società. Le più importanti erano la vendita di una serie di beni (come la concessione di un importante ponte in Turchia) e la rinegoziazione di circa 350 milioni di euro di debiti (in sostanza, si trattava di chiedere ai creditori di accordarsi per rimandare la scadenza di alcuni pagamenti). A maggio Astaldi riuscì a ottenere una promessa di investimento da IHI, una grande società giapponese, e l’aiuto di JPMorgan, un’altra importante banca di Wall Street, nel collocamento delle sue azioni durante l’aumento di capitale.

Ma proprio mentre Astaldi sembrava avviarsi verso l’uscita dal momento peggiore della crisi, secondo Bloomberg Goldman Sachs cercò di forzare la mano. La scorsa primavera contattò il Banco do Brasil, che proprio in quelle settimane stava negoziando l’allungamento della scadenza di un prestito da 8,7 milioni di euro che aveva concesso alla società. Goldman riuscì ad acquistare il prestito per il 90 per cento del suo valore di facciata. Il prestito scadeva l’11 maggio. Casiraghi racconta che un manager di Goldman Sachs tirò fuori la faccenda del debito durante la conference call in cui i manager stavano illustrando il loro piano di rilancio. Era il 16 maggio. Dopo due ore e mezza, il manager di Goldman Sachs chiese più volte se il prestito fosse stato ripagato. I manager di Astaldi dovettero ammettere che il prestito non era stato ripagato. Quel giorno il titolo perse in borsa più del 9 per cento.

Goldman Sachs a quel punto interpellò l’ISDA, l’organismo internazionale che regola il mercato dei derivati. Voleva sapere se il mancato pagamento sul debito contratto con il Banco do Brasil potesse configurare un fallimento della società, in grado di far scattare i CDS che aveva accumulato contro Astaldi. Contro le previsioni della banca, Astaldi riuscì a raccogliere il denaro sufficiente a estinguere il debito entro i 15 giorni di “grace period” che le leggi internazionali permettono di utilizzare prima di considerare avvenuto il fallimento. Goldman Sachs ottenne una piccola vittoria, scrive Casiraghi, ossia il rimborso di un credito che aveva acquistato poche settimane prima a prezzo di sconto. Ma non riuscì a ottenere la vittoria principale: far considerare la società fallita, in modo da poter riscuotere i suoi CDS.

Da allora la situazione di Astaldi è peggiorata ulteriormente. L’aumento di capitale che avrebbe dovuto iniziare a giugno dipendeva in gran parte dalle banche che avevano deciso di aiutare il collocamento delle azioni impegnandosi ad acquistare quelle che eventualmente fossero andate invendute. La condizione per fornire questo appoggio era che Astaldi riuscisse a vendere la sua quota del 33,3 per cento della concessione del terzo ponte sul Bosforo, una delle principali e più remunerative opere realizzate dalla società. Ma proprio quando era necessario trovare un compratore, la Turchia è sprofondata in una crisi economica che ha tenuto gran parte degli investitori lontani dal paese.

L’aumento di capitale garantito dalle banche quindi è saltato e la famiglia Astaldi, che possiede più del 50 per cento delle azioni e più del 60 per cento del potere di voto in assemblea, non se l’è sentita di procedere all’aumento di capitale da sola, con il rischio di dover acquistare tutte le azioni andate invendute (con la possibilità quindi di spendere fino a un massimo di 300 milioni di euro). Il debito nel frattempo è salito a 1,89 miliardi di euro e, la scorsa settimana, la società è stata costretta a fare richiesta di concordato preventivo per avere il respiro sufficiente a presentare un piano di recupero.

Non è chiaro che fine abbia fatto la scommessa di Goldman Sachs, né se la banca abbia ancora questa scommessa aperta o se non abbia ceduto a qualcuno altro i suoi CDS. Le agenzie di stampa specializzate scrivono che in questi giorni l’ISDA sta valutando se considerare la richiesta di concordato un vero e proprio fallimento, come ha fatto S&P. In ogni caso, se non arriverà in questi giorni, il fallimento potrebbe comunque non tardare ancora molto. A dicembre Astaldi dovrà pagare un dividendo da 27 milioni di euro su un’obbligazione emessa in passato, ed entro il 2020 dovrà rimborsare un’obbligazione da 750 milioni di euro. La possibilità migliore per la società sembra oramai un’acquisizione da parte di un’altra azienda, e in questi giorni i giornali parlano apertamente dell’interessamento di Impregilo, l’altra grande società italiana di costruzioni. A quel punto, spetterà agli organismi internazionali come ISDA stabilire se Astaldi sia tecnicamente fallita prima di essere acquistata.