Lo tsunami in Indonesia ha sorpreso i sismologi
Il tipo di terremoto che lo ha generato di solito non produce onde così grandi
Sismologi e geologi stanno cercando di capire come il terremoto nelle vicinanze dell’isola di Sulawesi, Indonesia, abbia potuto produrre uno tsunami di grandi dimensioni, che ha portato alla devastazione della città di Palu. Terremoti come quello del 28 settembre scorso – di magnitudo 7.4 – raramente generano ondate consistenti spostando grandi quantità d’acqua, e per questo i ricercatori sono alla ricerca di informazioni per capire qualcosa di più. Dati e nuovi modelli potrebbero consentire di effettuare migliori valutazioni del rischio, riducendo il numero di morti nel caso di futuri terremoti con magnitudo simile a quello della settimana scorsa, che ha causato la morte di oltre 1.200 persone.
Il terremoto in Indonesia è stato prevalentemente orizzontale: la parte a est della faglia si è mossa verso nord, rispetto alla parte a ovest. Questo scorrimento ha prodotto una scossa ondulatoria, diversa da quella sussultoria che si verifica invece quando un lato della faglia si muove verticalmente verso l’alto rispetto all’altra sua parte. Solitamente gli tsunami si verificano in seguito a spostamenti verticali intorno alla faglia: il movimento del fondale verso l’alto sposta la grande colonna d’acqua che lo sovrasta, producendo poi le onde che si propagano dalla zona dell’epicentro del terremoto, fino a quando non trovano le coste a ostacolare il loro percorso.
In alcune circostanze anche una scossa ondulatoria può produrre uno tsunami, ma finora non si pensava che potesse generare uno tsunami con onde alte fino a 6 metri, come quelle che si stima abbiano raggiunto la costa di Palu. I sismologi stimano che lo spostamento sul fondale sia stato di circa mezzo metro, sufficiente per generare uno tsunami, ma non di dimensioni così grandi. Quindi che cosa è successo?
Una risposta certa non esiste ancora, ma molti sismologi concordano sul fatto che possa esserci stato un concorso di cause. L’ipotesi è che la scossa intensa abbia generato una grande frana sul fondale marino, che avrebbe contribuito a spostare una massa d’acqua molto grande, in direzione di Palu. La città si trova inoltre al fondo di una profonda insenatura, cosa che potrebbe avere contributo ad amplificare gli effetti dello tsunami, come ipotizza anche l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia italiano.
Seppure molto condivisa, quella formulata finora rimane un’ipotesi e saranno necessarie settimane prima di avere conferme, grazie alle osservazioni e ai dati raccolti nella zona. Ed è proprio la mancanza di strumenti adeguati a complicare il lavoro dei sismologi. In Indonesia ci sono pochi sensori, soprattutto per la valutazione della propagazione degli tsunami. Per rilevare la presenza degli tsunami, il governo indonesiano utilizza sismografi, dispositivi GPS e rilevatori di marea, che però forniscono misure approssimative e insufficienti.
Per fare un confronto: gli Statu Uniti utilizzano 39 sensori collocati sul fondo dell’oceano Pacifico per rilevare cambiamenti di pressione, anche molto limitati, sul fondale e che potrebbero indicare il passaggio di uno tsunami. I dati vengono incrociati con altre informazioni, consentendo un monitoraggio in tempo reale delle ondate.