La Catalogna un anno dopo il referendum sull’indipendenza
In occasione del primo anniversario del voto ci sono state proteste anche molto intense, e una soluzione sembra ancora lontana
Lunedì, in occasione del primo anniversario del referendum sull’indipendenza della Catalogna, a Barcellona ci sono state diverse manifestazioni filo-indipendentiste. Le proteste sono state organizzate dalla Piattaforma 1-Ottobre, che riunisce tra gli altri le due principali organizzazioni indipendentiste catalane – l’Assemblea nazionale catalana (ANC) e Òmnium – e i Comitati di difesa della Repubblica (CDR), gruppi nati nel 2017 con l’obiettivo di applicare la dichiarazione di indipendenza “annunciata” dal precedente governo regionale, quello guidato dall’ex presidente Carles Puigdemont. In serata la situazione è diventata piuttosto tesa soprattutto quando alcuni manifestanti radicali hanno tentato di occupare il Parlamento catalano, fermati però dai Mossos d’Esquadra.
Durante tutta la giornata di lunedì ci sono stati cortei e concentramenti in diversi punti della città, con bandiere indipendentiste, striscioni inneggianti alla Repubblica catalana e urne uguali a quelle usate nel referendum tenuto in tutta la Catalogna l’1 ottobre 2017, organizzato dall’allora governo di Puigdemont e considerato illegale dal più importante tribunale spagnolo e dal governo. Da allora in Catalogna le cose sono cambiate poco: i leader indipendentisti arrestati dopo i fatti dell’autunno scorso sono ancora in carcere in attesa del processo, lo scontro con lo stato spagnolo non si è risolto e Puigdemont si trova ancora all’estero, senza possibilità di tornare in Spagna a meno di essere arrestato con l’accusa di ribellione, che prevede fino a 30 anni di carcere.
Gli eventi delle ultime settimane, comunque, hanno mostrato che ci sono almeno due cose nuove da tenere d’occhio: il dialogo avviato tra gli indipendentisti catalani e il governo socialista di Pedro Sánchez, e la posizione sempre più complicata del presidente catalano Quim Torra, considerato un indipendentista radicale ma ora criticato dalle frange più estreme dell’indipendentismo.
Il governo Sánchez, che si è insediato lo scorso giugno dopo la mozione di sfiducia votata dal Parlamento spagnolo contro l’ex primo ministro conservatore Mariano Rajoy, ha parlato da subito dell’importanza di aprire un “dialogo” con gli indipendentisti catalani e ha fatto loro alcune concessioni: per esempio ha autorizzato il trasferimento in Catalogna dei leader indipendentisti incarcerati a Madrid. Le aperture di Sánchez sono considerate da molti un passo importante per provare a normalizzare i rapporti con la leadership catalana, soprattutto dopo gli anni di chiusura del governo Rajoy, anche se finora non hanno portato a progressi significativi: il governo socialista, così come il precedente, ha escluso infatti a priori la possibilità di concedere un referendum sull’indipendenza della Catalogna e si è limitato a parlare solo di una maggiore autonomia, un’eventualità che non soddisfa molte forze indipendentiste.
C’è poi da considerare che negli ultimi mesi, ha scritto il País, all’interno dell’indipendentismo hanno preso forma due diverse correnti: da una parte ci sono quelli che pensano che vada abbassata la tensione con il governo spagnolo, soprattutto gli esponenti di Esquerra Republicana (ERC), principale partito indipendentista di sinistra; dall’altra ci sono quelli che credono che tenere alta la tensione sia l’unica via possibile per riuscire a ottenere qualcosa, in particolare il presidente Torra e l’ex presidente Carles Puigdemont. Le proteste di lunedì hanno mostrato come si sia però creata una specie di cortocircuito in questa seconda fazione: i settori più radicali dell’indipendentismo, quelli che finora avevano avuto soprattutto l’appoggio di Torra, hanno cominciato a chiedere le dimissioni dell’attuale governo, accusato di non fare abbastanza per la nascita della Repubblica catalana. È difficile dire cosa succederà nei prossimi mesi nel campo dell’indipendentismo, e se le pressioni provenienti da diverse parti porteranno Torra e il suo governo a dimettersi.