Pedro Sánchez ha un problema: il Venezuela
Il governo spagnolo – di sinistra – è tra i più aperti in Europa sull'accoglienza dei migranti che arrivano via mare, ma ha posizioni molto più incerte sui migranti venezuelani
In Spagna il governo di Pedro Sánchez, il più fragile della storia repubblicana del paese, sta passando dei problemi a causa della crisi in Venezuela.
Negli ultimi mesi il numero di cittadini venezuelani che hanno lasciato il loro paese e che si sono trasferiti in Spagna è aumentato sempre di più, ha raccontato Politico, soprattutto a causa del collasso dell’economia venezuelana, dell’iperinflazione e della persistente mancanza di cibo e medicine. Diversi paesi americani che si oppongono al regime venezuelano di Nicolás Maduro, tra cui Colombia, Perù e Stati Uniti, hanno introdotto nuove politiche per aiutare i venezuelani a ottenere la residenza e i permessi di lavoro temporanei nei rispettivi territori, un modo per mostrare la propria opposizione a Maduro e per stare dalla parte dei suoi oppositori: il governo spagnolo, però, non ha fatto niente di tutto questo, nonostante sia di sinistra – e quindi generalmente più favorevole all’accoglienza dei migranti e degli stranieri – e nonostante stia subendo da tempo la grande pressione dei partiti di opposizione, tra cui i conservatori del Partito Popolare (PP).
La ragione di questa apparente contraddizione dipende dal particolarissimo rapporto che la politica spagnola ha da molto tempo con quella venezuelana: una sorta di «ossessione» di cui si era riparlato per esempio durante l’ultima campagna elettorale nazionale, quella che precedette il voto del giugno 2016. Il nodo della questione è soprattutto il rapporto di amicizia che i partiti di sinistra spagnoli hanno mantenuto nel tempo con il regime di Maduro, e prima ancora con quello dell’ex presidente Hugo Chávez, colui che diede vita all’ideologia politica definita chavismo.
Al centro delle critiche è finito soprattutto Podemos, partito di sinistra che lo scorso giugno appoggiò in Parlamento la nascita del governo del PSOE pur non partecipando direttamente alla sua composizione. Da tempo si critica Podemos perché tre suoi importanti dirigenti, tra cui il leader Pablo Iglesias, lavorarono come consulenti al governo di Chávez in qualità di esperti accademici; inoltre il partito è stato accusato di avere ottenuto finanziamenti illegali dal governo venezuelano, cosa che però non è stata provata in maniera definitiva. Negli ultimi anni, nonostante Maduro abbia trasformato il Venezuela in un paese autoritario limitando le libertà fondamentali, arrestando gli oppositori politici e contribuendo a una crisi economica di dimensioni enormi, Podemos non si è mai distanziato del tutto dal regime venezuelano e in generale la sinistra spagnola ha continuato ad avere atteggiamenti ambigui, duramente criticati a più riprese dall’opposizione.
Ora su questo argomento il governo spagnolo si trova in una situazione di debolezza e difficoltà, poco giustificabile di fronte a molti suoi elettori e ai suoi alleati europei. Gli oppositori di Sánchez – che da diverso tempo mantengono stretti legami con i dissidenti venezuelani – hanno iniziato a fare pressioni sul governo accusandolo di tenere una linea troppo morbida verso il regime di Maduro e chiedendo di adottare nuove politiche che facilitino l’integrazione dei migranti venezuelani in Spagna. Per esempio Pablo Casado, nuovo leader del PP e considerato il rappresentante dell’ala più a destra del partito, ha chiesto un meccanismo più rapido per aiutare i venezuelani che «scappano dalla dittatura». Le parole di Casado mostrano bene l’unicità del caso spagnolo di fronte all’immigrazione venezuelana: il PP è stato il partito spagnolo che negli ultimi mesi ha adottato le posizioni più intransigenti nei confronti dei migranti sempre più numerosi arrivati in Spagna via mare, contestando in modo particolare le politiche di accoglienza adottate finora dal governo Sánchez. Rispetto alla questione venezuelana, però, i ruoli si sono ribaltati.
Finora le opposizioni hanno comunque ottenuto risultati controversi: nonostante Sánchez abbia appoggiato le ultime sanzioni approvate dall’Unione Europea contro diversi funzionari venezuelani e abbia denunciato l’illegittimità delle elezioni che si sono tenute in Venezuela a maggio, il suo governo ha continuato a sostenere che il «dialogo» – e niente di più – sia l’unico modo per il Venezuela per uscire dalla crisi. Per Sánchez prendere una posizione troppo netta e dura contro il regime di Maduro potrebbe essere un guaio, perché potrebbe aprire una crisi con Podemos, forza politica necessaria per la sopravvivenza dell’attuale governo.
Tra gennaio e giugno del 2018, i richiedenti asilo venezuelani in Spagna sono stati 11.805, quasi tanto quelli del 2017; nello stesso periodo, il 90 per cento di tutte le richieste di asilo di venezuelani nell’Unione Europea sono state fatte in Spagna. Finora lo status di rifugiato politico è stato concesso a pochissimi venezuelani – solo 16 in tutto il 2017 – ma la sola presentazione della domanda garantisce ai richiedenti diversi benefici, tra cui la residenza legale e un permesso di lavoro. Oggi la Spagna è la quarta destinazione dei venezuelani che scelgono di lasciare il loro paese, dopo Colombia, Perù e Stati Uniti.