La settimana della moda a Milano, poco audace
Sono piaciuti soprattutto Moschino e Prada, tra molte collezioni ispirate agli anni Novanta e quella di Armani presentata a Linate
Si è appena conclusa la Settimana della moda di Milano, quando dal 18 al 24 settembre le principali aziende di moda hanno presentato le collezioni per la primavera/estate 2019. Etro e Missoni hanno anche festeggiato rispettivamente i 50 e i 65 anni dalla fondazione, Giorgio Armani ha organizzato la sfilata nell’hangar dell’aeroporto di Linate, Prada nella nuova torre della Fondazione, come aveva fatto nella stagione precedente mentre Gucci è assente e sfilerà a Parigi questa sera. Rispetto alla moda che si è vista a New York e Londra, che ha sfilato nelle due settimane precedenti, Milano è stata più conservativa e poco audace, non ha seguito i cambiamenti radicali del momento come la fluidità di genere (cioè gli abiti intercambiabili tra uomini e donne) e ha guardato soprattutto al passato, ripescando la tradizione e celebrando gli anni Novanta, nei vestiti come nelle modelle invitate a sfilare in passerella: Amber Valletta da Agnona, Stella Tennant da Salvatore Ferragamo e Shalom Harlow da Versace (che potrebbe essere presto venduta a un’azienda francese o statunitense).
La critica di moda del New York Times Vanessa Friedman ha scritto che gli stilisti hanno affrontato il problema di «riconoscere la storia cercando di non ripeterla. È un po’ lo stesso problema che ha al momento l’Europa. Perché non parlarne anche in passerella? Almeno gli stilisti si sono fatti le domande giuste, anche se le risposte non state tutte illuminanti o soddisfacenti. C’erano invece molti orli perfettamente tagliati e impeccabili trench di qualsiasi tipo, ma poche grandi idee».
Tra queste quella del direttore creativo di Moschino, Jeremy Scott, che ha usato la collezione per riflettere su uno dei crucci della vita contemporanea: la mancanza di tempo e il terrore di non riuscire a fare tutto. Ha immaginato come sarebbe una collezione non portata a termine, con scarabocchi temporanei su vestiti, calze e smalto, con i motivi del marchio, come le ciliegie, accennati e incompiuti, e con gli strumenti da lavoro, come metri e ditali, trasformati in abiti.
Come al solito, è piaciuta la collezione di Prada, che secondo alcuni esperti sta riguadagnando terreno rispetto a Gucci, diventata negli ultimi anni l’azienda di moda italiana di maggior successo. La fondatrice e direttrice creativa Miuccia Prada ha proposto uno stile insieme ribelle e conservatore, mettendo insieme cerchietti bombati da brava ragazza, golfini e gonnelline portati con calzettoni trasparenti fino al ginocchio, body in maglina con un profondo scollo a U: «l’uniforme della scolara e la semiologia della ribelle, ognuna intelligentemente minata dall’altra».