Per colpa nostra molti animali stanno diventando più notturni
Secondo un nuovo studio i mammiferi di tutti i continenti cercano in questo modo di evitare gli umani, cambiando le proprie abitudini
Molte specie di mammiferi hanno cambiato il loro stile di vita diventando più notturne a causa delle attività umane. È il caso ad esempio degli elefanti del Mozambico, che di notte si spostano sulle strade e di giorno stanno nascosti nella foresta; o delle tigri del Nepal, che si muovono solo di notte nelle zone in cui ci sono fattorie e allevamenti; o ancora dei cinghiali che vivono vicino alle città e dei coyote della California. Secondo uno studio pubblicato a giugno sulla rivista Science, le attività quotidiane di 62 specie di mammiferi – cacciare, mangiare e interagire tra loro – avvengono di notte per un venti per cento in più di media. Dove gli animali non riescono a evitare la presenza delle persone spostandosi, perché vivono circondati da centri abitati, “si nascondono” nel buio, quando ci sono meno umani in giro.
Il primo a domandarsi se i mammiferi in generale stessero diventando più notturni è stato il biologo dell’Università di Berkeley Justin Brashares. Nel 2011, mentre stavano studiando gli effetti delle attività umane sui cicli di riproduzione delle antilopi che vivono all’interno e attorno al Parco nazionale di Ruaha, nel sud della Tanzania, Brashares e i suoi studenti si accorsero che le abitudini degli animali che vivevano dentro il parco erano molto diverse da quelle degli animali che invece ne restavano fuori. Le antilopi del parco erano più attive di giorno, quelle che vivevano più vicino ai centri abitati invece erano attive soprattutto di notte, nonostante i loro predatori, i leoni, caccino soprattutto nelle ore notturne. Insomma, sembravano avere più paura delle persone che dei leoni.
Per capire se anche altre specie di mammiferi evitassero i contatti con le persone in modo simile, Brashares e i suoi studenti hanno raccolto e messo insieme i risultati di 76 diversi studi su 62 specie di mammiferi. Il risultato di questo confronto è appunto che in media gli animali presi in considerazione si stanno adattando a fare più cose di notte, a prescindere dal continente (l’Antartide è escluso da questa ricerca), dall’habitat in cui vivono e dalle loro preferenze alimentari. Ci sono alcune eccezioni, di animali che prima facevano più cose di notte che di giorno: ma la tendenza generale è in senso opposto. La specie che più di tutte ha cambiato le proprie abitudini vivendo in contatto con le persone è l’orso malese, o orsi del sole: una volta solo il 19 per cento del tempo che passavano svegli era di notte, mentre ora la percentuale è salita al 90 per cento. Una cosa simile vale per gli armadilli comuni, che in passato svolgevano solo il 5 per cento delle proprie attività di notte e ora sono passati all’89 per cento.
Si è scoperto anche che le 62 specie animali studiate, diventando più notturne, non cercano solo di evitare i cacciatori e gli automobilisti, per loro pericolosi, ma anche i semplici escursionisti: sembra che temano tutti gli esseri umani. Esemplari delle stesse specie che vivono in ambienti più selvaggi non hanno invece cambiato le loro abitudini giornaliere, come nel caso delle antilopi della Tanzania. Non si può escludere però che ci siano altri fattori in gioco oltre alla paura: ad esempio l’inquinamento luminoso potrebbe aver cambiato il rapporto degli animali con le ore notturne.
Evitare le persone può favorire gli animali nel breve periodo, ma non si possono escludere conseguenze di lungo periodo, alcune delle quali potrebbero avere un grosso impatto sugli ecosistemi dove vivono questi animali. Le loro popolazioni potrebbero ridursi perché cercare cibo di notte è diverso rispetto a farlo di giorno, e perché nel buio non sono altrettanto capaci di spostarsi, trovare acqua e cibo e difendersi. Inoltre, come nel caso delle antilopi del parco di Ruaha, evitare le persone potrebbe renderli più vulnerabili ai predatori notturni – e quindi più abituati al buio di loro. Nel caso degli carnivori, poi, potrebbero esserci delle conseguenze sugli animali di cui si cibano: ad esempio, in California le nuove abitudini dei coyote vanno a vantaggio di molte specie diurne, come gli scoiattoli e gli uccelli, e a scapito di specie notturne, come i topi, i ratti e i conigli. L’intera catena alimentare potrebbe esserne alterata.
Chris Carbone dell’istituto di zoologia della Zoological Society di Londra ha commentato sul Guardian i risultati dello studio con stupore: «Siamo abituati a considerare l’impatto delle persone sull’ambiente in termini di perdita di habitat o dello spazio necessario per le specie che si spostano molto, ma qui si parla del tempo». Kaitlyn Gaynor, collaboratrice di Brashares e prima firmataria dello studio di Science, ha spiegato che per ridurre il fenomeno bisognerebbe preservare zone selvatiche completamente libere da attività umane, almeno per le specie più a rischio d’estinzione. Nei casi in cui questo fosse impossibile, si dovrebbero vietare alcune attività umane in certi orari del giorno.
Nel 2017, per via di un altro studio, si era tornati a parlare di una vecchia ipotesi secondo la quale in origine tutti i mammiferi erano animali notturni. È la cosiddetta ipotesi del “collo di bottiglia notturno”, secondo cui i mammiferi sarebbero potuti sopravvivere in un mondo dominato dai dinosauri (rettili, dunque animali a sangue freddo e per questo diurni) solo mantenendo abitudini notturne, in modo da incrociare più di rado i propri predatori. Lo studio del 2017 fornì nuove prove a sostegno di questa ipotesi (fondamentalmente le caratteristiche di occhi e naso della maggior parte dei mammiferi, molto adatti alla vita al buio) e dell’idea che solo con l’estinzione dei dinosauri i mammiferi abbiano cominciato a vivere di giorno. Secondo questa teoria, quindi, sarebbe in corso un fenomeno simile, ma con gli umani al posto dei dinosauri.