Il dibattito sulla prostituzione, in Spagna
Qualche settimana fa è stato creato un sindacato per le lavoratrici del sesso, ma il governo sta cercando di bloccarlo: qual è la cosa giusta da fare?
A fine agosto, in Spagna è nato ufficialmente il primo sindacato per difendere i diritti dei lavoratori e delle lavoratrici del sesso. La notizia sarebbe già rilevante di per sé, ma in Spagna è diventata una delle più discusse delle ultime settimane perché il governo ha detto di essere contrario al sindacato e che cercherà di farlo chiudere. Questo ha fatto nascere un grosso dibattito su quale sia la cosa giusta da fare con la prostituzione, ed è un dibattito che divide anche persone su posizioni di sinistra, progressiste e femministe: da una parte chi sostiene che la prostituzione vada sempre osteggiata perché sintomo di sfruttamento delle donne, dall’altra chi vorrebbe tutelare il diritto delle donne di fare liberamente ciò che vogliono, anche prostituirsi.
Che cosa è successo in Spagna
In Spagna prostituirsi non è un reato, ma non è nemmeno un’attività lavorativa regolamentata: ciò che è illegale sono le attività collaterali alla prostituzione, come ad esempio lo sfruttamento. Lo scorso 30 agosto, la ministra spagnola del Lavoro, Magdalena Valerio, è venuta a sapere che il BOE, la gazzetta ufficiale spagnola, aveva convalidato l’autorizzazione della Direzione Generale del suo ministero a creare un nuovo sindacato: Otras (Altre), nato per proteggere i diritti dei lavoratori e delle lavoratrici del sesso. Otras raggruppa soprattutto donne di Barcellona, ma la sua organizzazione è nazionale e vuole anche rappresentare gli uomini che lavorano in questo settore.
Magdalena Valerio aveva subito commentato che le avevano fatto «un gol all’incrocio dei pali», perché la procedura era stata sì convalidata dal suo ministero, ma a sua insaputa. Il 3 settembre, la direttrice generale del ministero Concepción Pascual si era dunque dimessa assumendosi personalmente la responsabilità di quanto accaduto. E il governo socialista di Pedro Sánchez, che sulla prostituzione volontaria ha posizioni abolizioniste, aveva immediatamente annunciato l’intenzione di contestare ed eliminare la costituzione di questo nuovo sindacato.
Da settimane, in Spagna, è di conseguenza ricominciato un grande dibattito sulla questione della prostituzione: tra i vari partiti, dentro al movimento femminista e anche tra i sindacati. Ci sono ovviamente posizioni diversissime, semplificate da quanto hanno subito dichiarato alcune importanti organizzazioni sindacali del paese.
L’UGT (Unión General de Trabajadores, storicamente vicina al Partito Socialista) è molto critica sul nuovo sindacato: dice che la sua creazione rischia di «normalizzare una forma di commercio in cui le merci sono i corpi degli esseri umani». CCOO (Comisiones Obreras, vicino al Partito Comunista) ha chiesto «una riflessione collettiva sulla situazione legale e personale delle migliaia di donne e di uomini interessati». Mentre le due organizzazioni che rappresentano, nel paese, la tradizione anarchico-sindacale hanno detto di essere favorevoli a Otras: la sezione catalana della Confederazione Generale del Lavoro (CGT) ha difeso «la regolamentazione del lavoro sessuale» per mettere fine «all’economia sommersa» e la sezione femminista della Confederazione Nazionale del Lavoro (CNT) si è chiesta se «l’idea che le puttane si organizzino dia enormemente fastidio perché, in questo modo, la società patriarcale non può più decidere per loro».
La prostituzione può essere una scelta?
Quando si parla di prostituzione bisognerebbe distinguere tra quella esercitata da persone che la praticano per scelta – e che preferiscono che le si descriva come “lavoratori e lavoratrici del sesso” piuttosto che con il termine “prostitute” – e le donne che invece sono costrette a prostituirsi, che sono soprattutto straniere e che sono vittime di tratta sessuale. Nel dibattito pubblico generale e in tutto il mondo questa distinzione prevale invece poco: si tende a considerare la questione come un fenomeno monolitico e la posizione più diffusa è che “tutte le prostitute siano delle vittime”. O di uno sfruttamento vero e proprio da parte di altri, o di un’oppressione interiorizzata.
All’interno dei movimenti femministi la prostituzione è uno degli argomenti più divisivi. Da una parte ci sono femministe che sostengono che la prostituzione non possa essere in nessun caso una libera scelta, che sia anzi una delle forme della violenza patriarcale e dello sfruttamento capitalista e che, dunque, liberalizzare la prostituzione sia funzionale al patriarcato e al capitalismo. Dall’altra ci sono persone che tengono invece in considerazione la parola delle lavoratrici del sesso e difendono l’autodeterminazione delle donne in qualsiasi caso, anche quando quella scelta in qualche modo non piace: in questa prospettiva, semplificando, ogni donna può fare del proprio corpo ciò che vuole, e sempre secondo questa prospettiva trasformare l’attività delle prostitute per scelta in un vero e proprio lavoro contribuirebbe ad eliminare lo sfruttamento di chi si prostituisce solo perché costretto.
Dal punto di vista legale la prostituzione può essere regolata secondo tre modelli principali: quello proibizionista, che consiste nel vietare la prostituzione e nel punire la prostituta; quello abolizionista, che vuole scoraggiare la prostituzione non vietandola o regolamentandola, ma punendo tutta una serie di condotte collaterali (come favoreggiamento, induzione, sfruttamento, etc.); quello regolamentarista, che ha come linea guida la legalizzazione e la regolamentazione della prostituzione, e che può avvenire in modi differenti. Ci sono poi due sottoinsiemi: il primo, che potremmo definire neo-regolamentarista, che vuole rimuovere le leggi per depenalizzare l’attività sessuale fra adulti consenzienti; e poi il secondo, che viene invece definito “modello svedese”.
Il “modello svedese” è stato adottato in Svezia nel 1999 e si basa sulla criminalizzazione del cliente: le violazioni sono punibili con delle multe o con il carcere fino a sei mesi. La Svezia è stata poi seguita in questa legge da Norvegia, Islanda e Francia. Questo modello si basa sul principio che la prostituzione è una violenza dell’uomo contro la donna, in qualsiasi caso, e sostiene in sostanza una posizione abolizionista: ha l’obiettivo di vietare la prostituzione spostando la responsabilità sul cliente invece che sulla prostituta, che viene considerata automaticamente come una vittima passiva dello sfruttamento sessuale. Quando in Svezia venne approvata la legge, le opinioni delle lavoratrici del sesso rimasero completamente escluse dal dibattito politico.
In Spagna la prostituzione non è né vietata né regolamentata, così come in Italia, e la legge punisce le attività connesse. Secondo alcune osservatrici, nel paese ci sono due elementi fondamentali che stanno indirizzando il dibattito e di cui un’eventuale proposta di legge dovrà tenere conto. Il primo è l’enorme consumo di prostituzione in un paese a basso reddito: la Spagna è infatti, secondo alcune ricerche, il primo paese consumatore d’Europa. Lo status giuridico indefinito consente non solo che venga apertamente praticata, ma che sia anche socialmente accettata. Il secondo fattore è la grande spinta del femminismo spagnolo, che è tra i più forti in Europa a causa della sua capacità di mobilitazione. Il femminismo spagnolo, come quello del resto del mondo, è come abbiamo visto fortemente diviso sulla questione. E poiché in Spagna il femminismo è entrato nella politica istituzionale, la disputa che lo divide troverà una probabile estensione nei vari partiti politici.
E quindi, in Spagna?
Il governo socialista di Sanchez si proclama femminista e ha fatto dell’uguaglianza di genere una delle sue priorità. Carmen Calvo, vicepresidente del governo e ministra per l’Uguaglianza, ha da sempre una posizione molto chiara sulla questione della prostituzione: «Non è il mestiere più vecchio del mondo, ma la schiavitù più antica e più grave della storia». La ministra del Lavoro Valerio ha subito chiesto che venisse trovato un modo per contestare lo statuto del nuovo sindacato, si è affrettata ad affermare che l’approvazione del sindacato è stata fatta «come un semplice atto amministrativo» senza entrare nella sostanza della richiesta e che il suo governo non appoggerà «il sindacato di un’attività che non è legale e che viola i diritti delle donne. Un governo socialista e femminista non lo farà». La governatrice dell’Andalusia Susana Díaz ha chiesto a sua volta che il governo «faccia quello che deve fare per fermare il tentativo di legalizzare la prostituzione, la tratta e lo sfruttamento sessuale delle donne».
Dall’altra parte, la segretaria generale del nuovo sindacato Otras, Concha Borrell, ha parlato della reazione del governo come di una «follia assoluta»: «Non puoi limitare i diritti di un intero gruppo che al momento non ha una minima legge che tuteli il suo lavoro. Non ci sono contratti, non ci sono congedi per malattia e, naturalmente, non c’è alcuna pensione».