Ora May è nei guai, con Brexit
I leader europei hanno inaspettatamente bocciato il piano della prima ministra britannica, che ora si trova in una posizione molto complicata
La prima ministra britannica Theresa May ha subito un’inattesa e brusca sconfitta politica al Consiglio europeo in corso a Salisburgo, dove i principali leader dei paesi europei hanno sostanzialmente respinto il cosiddetto “Chequers plan”, il suo piano per attuare Brexit che le è già costato le dimissioni di due ministri e che è al centro di una delicata lotta interna nel suo partito. Il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk ha detto molto chiaramente che il piano «non funzionerà», una posizione inaspettatamente dura che il Guardian ha definito «un’imboscata» e che secondo i giornali internazionali è stata dovuta principalmente alla volontà del presidente francese Emmanuel Macron e della cancelliera tedesca Angela Merkel.
May, visibilmente scocciata e turbata, ha detto ai giornalisti che il suo governo proverà a trattare finché sarà possibile, ma che è pronto ad attuare Brexit senza un accordo, un’ipotesi che allarma gli osservatori e gli investitori. May sperava di portare a casa da Salisburgo una vaga e parziale rassicurazione da parte dei suoi omologhi europei, in vista della conferenza del Partito Conservatore in programma il prossimo fine settimana. Ora invece i suoi avversari interni hanno nuovi e concreti motivi per attaccarla, e per mettere in discussione il suo approccio a Brexit, considerato troppo morbido dall’ala più radicale del partito.
L’uscita del Regno Unito avverrà ufficialmente il 29 marzo 2019, ma per ragioni tecniche un accordo dovrà essere trovato entro novembre: significa che stanno iniziando i “giorni decisivi”, quelli veri, e che May è in una posizione contrattuale molto svantaggiosa. Secondo il Guardian, Macron e Merkel – i leader europei più potenti – sono stati i sostenitori della linea dura, che secondo alcune fonti sarebbe stata provocata in parte dal tono del discorso tenuto da May mercoledì sera sempre a Salisburgo, durante il quale aveva attaccato il responsabile europeo dei negoziati per Brexit Michel Barnier. Gli stessi funzionari europei hanno detto che non si aspettavano un esito simile, e che la mossa di Macron vuole aggiungere pressioni e incertezze alla posizione di May, rendendo i negoziati più difficili.
Il principale problema, però, rimane quello legato al confine tra Irlanda e Irlanda del Nord, e alla sua regolamentazione dopo Brexit. La frontiera irlandese è lunga circa quattrocento chilometri. I problemi da risolvere hanno a che fare con le persone che ogni giorno passano dalla Repubblica di Irlanda – uno stato che fa parte dell’UE – all’Irlanda del Nord, che invece fa parte del Regno Unito. Le questioni riguardano soprattutto le persone e le merci che attraversano quello stesso confine, che al momento non ha alcuna frontiera. Si stima che nelle comunità di confine viva circa un milione di persone. Il timore è che misure troppo dure o poco efficienti possano alimentare vecchie divisioni o complicare molto la vita a tante persone.
L’uscita del Regno Unito dal mercato unico e dall’unione doganale europea prevederebbe, in teoria, che il confine tra Irlanda e Irlanda del Nord diventi un confine “duro”, con controlli e dazi: altrimenti la separazione doganale tra Regno Unito e Unione Europea avrebbe una falla, visto che dall’Irlanda del Nord le stesse merci potrebbero poi arrivare in Inghilterra, Galles o Scozia. Entrambe le parti vogliono evitare questa conseguenza di Brexit, e hanno garantito all’Irlanda – la più preoccupata, in tutto questo – che anche in caso di fallimento delle trattative sarà previsto un piano B, un’assicurazione sul fatto che il confine rimarrà libero. Questo piano è detto “backstop”, e Unione e Regno Unito sono d’accordo sulla sua necessità ma non sulle modalità con cui attuarlo.
Per evitare di chiudere il confine, l’Unione Europea propone di concedere all’Irlanda del Nord una specie di statuto speciale, che la unisca dal punto di vista doganale ed economico all’Irlanda e all’Unione, permettendo di mantenere i confini aperti. Questo comporterebbe però che rimanga separata dal resto del Regno Unito, con delle regolamentazioni speciali sulle merci che viaggiano via mare. May ha sempre rifiutato questa soluzione, e ha ripetuto più volte che non vuole isolare l’Irlanda del Nord dal resto del paese. Il “Chequers plan” prevede che le merci e le persone continuino a circolare liberamente attraverso il confine irlandese, e che contemporaneamente Unione e Regno Unito concordino, durante un periodo di transizione 20 mesi, un nuovo accordo per la circolazione delle merci e delle persone che preveda l’assenza di controlli al confine per tutto il territorio britannico, in modo che non ci sia bisogno di regole speciali per l’Irlanda del Nord.
All’Unione Europea questa soluzione non piace, perché darebbe al Regno Unito una posizione privilegiata di accesso al mercato unico europeo, al quale in teoria ha rinunciato con Brexit. Per questo, i principali leader europei hanno respinto il “Chequers plan”, mandando apparentemente a monte la cosa su cui May lavora da mesi e sulla quale sta rischiando tutto il suo consenso e la sua carriera. La scadenza per trovare un accordo sul confine irlandese è per ottobre, ma May ha già fatto intendere di non ritenere possibile che si arrivi a un compromesso in così poco tempo.
In un discorso tenuto venerdì pomeriggio nella sua residenza di Downing Street, May ha detto di aver trattato l’Unione Europea con rispetto, e di pretendere lo stesso. Ha spiegato di non ritenere accettabili le due offerte dell’Unione Europea: quella di mantenere il Regno Unito nel mercato unico europeo, tipo la Norvegia, perché «sarebbe una presa in giro del referendum»; e quella di un accordo di libero scambio simile a quello con il Canada (il CETA), perché mantenendo l’Irlanda del Nord nell’unione doganale europea il Regno Unito ne risulterebbe diviso. Ha quindi fatto intendere che manterrà la sua proposta del “Chequers plan”.
Entrambe le parti quindi minacciano di far saltare tutto e di procedere con Brexit senza un accordo, se la propria posizione non verrà soddisfatta. Lo ha detto May, che probabilmente manterrà la posizione davanti al suo partito la prossima settimana, e lo ha detto Tusk, che ha detto che «il momento della verità» sarà il Consiglio europeo di ottobre, quando le trattative «potrebbero crollare». L’opposizione britannica chiede che May formuli un nuovo accordo con l’Unione, mentre David Davis, ex ministro britannico di Brexit che si dimise lo scorso luglio perché riteneva troppo morbido l’approccio di May, sostiene che l’unica soluzione per evitare un’uscita senza accordo sia di ritornare alla proposta europea formulata a marzo, che prevedeva la permanenza del Regno Unito nel mercato unico europeo, seppur con molte limitazioni.