Cos’è il 20 settembre, la data delle vie XX settembre
In quel giorno, nel 1870, l'esercito italiano prese Roma dopo la breccia di Porta Pia: fu la fine dello Stato Pontificio
Intorno alle 9 del mattino del 20 settembre 1870 l’artiglieria dell’esercito italiano guidata dal generale Raffaele Cadorna aprì una breccia larga trenta metri nelle mura di Roma a pochi passi da Porta Pia, dopo un cannoneggiamento di quattro ore. Un battaglione di fanteria e uno di bersaglieri entrarono nella città. Alle 10:35 lo Stato Pontificio dichiarò la propria resa e sventolò bandiere bianche dalla cupola di San Pietro e dalle mura di Castel Sant’Angelo. La data della presa di Roma, uno degli ultimi capitoli del Risorgimento, venne celebrata rinominando in molte città italiane una via centrale in via XX settembre; fu anche proclamata festa nazionale, prima di essere abolita nel 1929 dai Patti Lateranensi stipulati tra l’Italia fascista e la Santa Sede.
Già nel 1860 Camillo Benso conte di Cavour, allora presidente del Consiglio dei ministri del Regno di Sardegna, disse in un discorso: «La nostra stella, o Signori, ve lo dichiaro apertamente, è di fare che la città eterna, sulla quale 25 secoli hanno accumulato ogni genere di gloria, diventi la splendida capitale del Regno italico». Nel 1860 buona parte dei territori della penisola erano stati annessi militarmente grazie alle Guerre d’indipendenza e attraverso lo strumento dei plebisciti.
Da una parte c’era il regno da poco costituito, dall’altro quel che rimaneva dello Stato Pontificio, che per circa mille anni aveva controllato buona parte dell’Italia centrale con il potere temporale dei papi, esercitato come se questi fossero comuni sovrani. Il processo di unificazione dell’Italia aveva portato alla progressiva perdita dei territori papali, che al tempo della proclamazione del Regno d’Italia contavano solamente parte del Lazio. Attraverso i canali della diplomazia, e un contatto fidato a Roma, Cavour propose al papa una piena indipendenza per i cattolici; inizialmente sembrò che papa Pio IX fosse disposto ad accettare la proposta, ma le trattative nei mesi seguenti fallirono e non se ne fece nulla.
Il problema di Roma era complicato dalla presenza nei territori pontifici di un presidio francese, che era lì per offrire assistenza e protezione al papa. Cavour fece pressioni per ottenere da Napoleone III, l’imperatore di Francia, l’impegno a eliminare il presidio. Le trattative portarono a una bozza d’accordo nella quale la Francia si impegnava a rimuovere il presidio a patto che le forze italiane non attaccassero lo Stato Pontificio. Ma la morte di Cavour, nel giugno del 1861, fece naufragare il progetto.
Le attività diplomatiche proseguirono negli anni seguenti e nel 1863 con la “Convenzione di Settembre” si raggiunse un accordo con i francesi simile a quello abbozzato con Cavour. La Francia si sarebbe ritirata in cambio di un impegno italiano a non invadere lo Stato Pontificio. L’Imperatore riconosceva comunque il diritto all’Italia di intervenire su Roma nel caso di una rivoluzione, cosa che di fatto sanciva numerosi diritti per il regno d’Italia sulla futura capitale.
Le cose si complicarono nel 1867. Davanti alla fase di stallo diplomatico, nel mese di novembre i volontari di Giuseppe Garibaldi tentarono l’invasione del Lazio. I francesi reagirono sbarcando a Civitavecchia e unendosi alle forze pontificie contro i garibaldini. Contravvenendo alla Convenzione di Settembre, i francesi decisero di mantenere un presidio. L’occupazione francese rallentò la diplomazia e portò a un nuovo periodo di stallo, con l’Italia che cercava di portare all’attenzione delle potenze europee la questione di Roma.
Nell’agosto del 1870 terminò la costituzione di una spedizione militare per l’Italia centrale. L’obiettivo ufficiale era quello di mantenere inviolate le frontiere tra terre italiane e Stato Pontificio, ma si ventilava anche la possibilità di intervento militare a Roma nel caso di insurrezioni, per evitare che queste potessero diffondersi ai territori italiani. Una specie di pretesto diplomatico, che di fatto poteva consentire all’esercito di sfondare le mura della città. L’8 settembre, Vittorio Emanuele II inviò una lettera a Pio IX manifestando l’intenzione di entrare nello Stato Pontificio.
Il 20 settembre fu aperta la breccia di Porta Pia, a nordest della città. Dopo le prime esitazioni la popolazione partecipò con entusiasmo, come raccontano le cronache dell’epoca:
Molti cittadini romani cominciano a girare per le strade armati alla meglio e con bandiere tricolori. Una folla considerevole s’avvia alle Quattro Fontane (strada di Porta Pia); accoglie ed accompagna con entusiasmo indescrivibile, con plausi e canti e lacrime di gioia l’esercito liberatore che occupando gli sbocchi delle vie traverse si dirige sulla gran piazza di Monte Cavallo dirimpetto al palazzo del Quirinale.
(Gazzetta del Popolo, 25 settembre 1870)
La capitale d’Italia, già trasferita da Torino a Firenze nel 1864, divenne infine Roma con una legge promulgata il 3 febbraio 1871. La dichiarazione di Roma capitale sancì la fine del potere temporale dei papi; Pio IX si ritrovò di fatto confinato entro le mura leonine e si dichiarò prigioniero in Vaticano dando luogo a una lunga contesa diplomatica – la cosiddetta Questione Romana – che si sarebbe protratta per 59 anni. Pio IX preparò anche il Non expedit, un duro documento di indirizzo nel quale invitava i cattolici italiani a non partecipare più alla vita politica. L’anno seguente il governo italiano provò a riconciliarsi con il papato, ma il tentativo servì a poco.
Soltanto nel 1929, con la sottoscrizione dei Patti Lateranensi, le cose si appianarono. Il regime di Benito Mussolini si dimostrò molto generoso nei confronti del Vaticano, offrendo l’esenzione dal servizio militare per il clero, leggi su matrimonio e divorzio conformi a quelle della Chiesa e un risarcimento di 1,75 miliardi di lire. L’accordo riconosceva l’indipendenza e la sovranità della Santa Sede e fondava lo Stato della Città del Vaticano. Solo nel 1984 il presidente del consiglio Bettino Craxi e il cardinale Agostino Casaroli firmarono una revisione per rimuovere la clausola che definiva la religione cattolica religione di stato.