In Romania si farà il referendum contro i matrimoni gay
Si terrà a ottobre e propone di introdurne il divieto in costituzione, in modo da rendere molto difficile una loro futura legalizzazione
La Corte Costituzionale romena ha dichiarato legittimo il referendum che chiederà ai cittadini del paese se vogliono modificare la costituzione per vietare, in futuro, la legalizzazione dei matrimoni tra persone dello stesso sesso. Il referendum si terrà il 6 e il 7 ottobre, ed è stato organizzato su proposta di un’organizzazione chiamata Coalizione per la Famiglia che nel 2016 è riuscita a raccogliere tre milioni di firme.
Il quesito chiederà ai cittadini se vogliono cambiare l’articolo della costituzione romena che regola il matrimonio, che al momento è definito come l’unione tra «sposi», in modo che indichi esplicitamente che si tratta di un’unione tra un uomo e una donna. In Romania né il matrimonio gay né le unioni civili sono legali, ma se l’articolo sarà cambiato come propone il referendum diventerà sostanzialmente impossibile legalizzarli, se anche un futuro governo volesse farlo: bisognerebbe nuovamente cambiare la costituzione, cosa che richiede un largo consenso.
Dopo la raccolta firme, che aveva superato abbondantemente la soglia delle 500mila richieste per proporre un referendum, il referendum aveva ricevuto il sostegno della Chiesa ortodossa, di quella cattolica e di quella copta. Aveva già ricevuto l’approvazione della Camera romena nel maggio del 2017, con 232 voti a favore e 22 contrari, e la settimana scorsa è passato anche al Senato, con 107 voti a favore e 13 contrari. La larghissima maggioranza delle forze politiche romene sostiene il referendum: le uniche eccezioni sono il presidente Klaus Iohannis, centrista e contrario agli estremismi religiosi, e l’Unione Salva Romania (USR), un partito di opposizione nato come movimento anti-corruzione che comprende esponenti progressisti e conservatori, e che infatti ha una linea un po’ confusa sulla questione dei diritti della comunità LGBT.
La Romania, che conta 20 milioni di abitanti, è un paese socialmente conservatore e dove la Chiesa ortodossa esercita una forte influenza. Le associazioni LGBT locali da mesi protestano contro il referendum, sostenute tra gli altri da Amnesty International, ma sono praticamente senza appoggi nelle forze politiche parlamentari. Un referendum con lo stesso obiettivo si tenne già nel 2013 in Croazia, ed ebbe successo nel modificare la costituzione. Perché risulti valido, al referendum dovrà partecipare almeno un terzo degli aventi diritto.