Cosa succede con le Olimpiadi del 2026
La città di Torino si è sfilata dalla candidatura condivisa con Milano e Cortina, che ora stanno pensando a un piano B
Entro mercoledì il Comitato Olimpico Nazionale Italiano (CONI) deve presentare al Comitato Olimpico Internazionale (CIO) la propria candidatura per ospitare le Olimpiadi invernali del 2026, ma a poche ore dalla scadenza c’è ancora grande confusione e incertezza sulle città che saranno incluse nel progetto.
Nelle scorse settimane si era concretizzata la candidatura congiunta di Milano, Torino e Cortina, sulla quale il governo si era detto favorevole e che sembrava soddisfare tutte le amministrazioni coinvolte, pur con alcuni problemi. Martedì, però, la sindaca di Torino Chiara Appendino ha fatto sapere di non accettare alcune condizioni poste dall’omologo milanese Beppe Sala, che chiedeva che Milano avesse una posizione prioritaria nella candidatura, e più in generale chiedeva un sostegno più diretto del governo nel progetto. Il giorno stesso, riferendo al Senato, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega allo Sport Giancarlo Giorgetti ha detto che non esistono più le condizioni affinché il governo appoggi la proposta a tre. Al Corriere, ha spiegato di aver preferito bloccare ora le trattative perché non c’erano le condizioni per portarle avanti, e per evitare di farlo «fra due mesi, magari tra accuse reciproche e dopo aver speso anche dei soldi». Mercoledì ci sono stati comunque dei tentativi di mediazione per ritrovare l’accordo sul cosiddetto “tridente” Milano-Torino-Cortina, ma sembra difficile possano riuscire.
Inizialmente, Milano, Torino e poi Cortina avevano deciso di candidarsi autonomamente per ospitare le Olimpiadi del 2026. Poi, alla fine di luglio, il presidente del CONI Giovanni Malagò aveva proposto di fare una candidatura unica, dicendo di aver ottenuto l’approvazione di Sala, del sindaco di Cortina Gianpaolo Ghedina e di essere in attesa di quella di Appendino. Fin da subito era emerso un problema: Torino non voleva fare da «città stampella», aveva detto Appendino, e Malagò aveva dovuto assicurare che le tre città sarebbero state in condizioni paritarie. Alla fine, dopo un po’ di tensioni, Appendino aveva accettato e la proposta della candidatura unitaria era stata approvata dal CONI. I costi erano stati stimati in 376,65 milioni di euro: meno, secondo il CONI, di quanto sarebbero costate le singole candidature.
La proposta del CONI però non era stata apprezzata da Sala, che da subito aveva chiesto che a Milano fosse concessa la “governance” sulla candidatura, cioè un primato rispetto alle altre città nell’organizzazione delle Olimpiadi, in virtù delle capacità dimostrate con Expo 2015 e del sempre maggiore prestigio di Milano a livello internazionale. Il CONI aveva deciso di non indicare una città capofila, rimandando la decisione, ma questo aveva portato Sala a sfilarsi dal progetto: Milano rimaneva disponibile a ospitare le gare, ma non ad organizzare le Olimpiadi.
Dopo settimane di trattative tra Sala, il CONI e il governo, lunedì il sindaco di Milano aveva scritto una lettera per ribadire un’ultima volta quelle che da tempo sosteneva essere le due condizioni di Milano per la candidatura: che le fosse attribuita la governance, e che il nome della città fosse più visibile degli altri sul logo delle Olimpiadi, per «rafforzare il brand della città». Le richieste di Sala avevano ricevuto il consenso di Cortina, ed erano state definite «accettabili» da Malagò. Sabato, la sindaca aveva risposto a un’ultima richiesta di un parere sulla candidatura a tre da parte del governo con una lettera che chiedeva maggiori garanzie sugli investimenti economici, e manteneva aperta la possibilità che Torino presentasse una candidatura autonoma.
Martedì, perciò, il sottosegretario allo Sport Giancarlo Giorgetti aveva detto davanti alle commissioni congiunte di Camera e Senato che la candidatura a tre era fallita, attribuendosene la responsabilità e spiegando di non aver « sentito l’atmosfera giusta tra i rappresentanti delle città coinvolte».
Subito dopo il fallimento della candidatura a tre, sono iniziate altre trattative. Sala, insieme ai governatori di Lombardia e Veneto Attilio Fontana e Luca Zaia, ha detto di voler portare avanti la candidatura di Milano-Cortina, senza Torino, per non sprecare gli sforzi fatti negli scorsi mesi. Il vice presidente del Consiglio Matteo Salvini si è detto favorevole a questa candidatura, mentre il suo omologo Luigi Di Maio ha detto che le città avrebbero dovuto usare fondi propri.
Mercoledì mattina ci sono stati ulteriori sviluppi: il governatore del Piemonte Sergio Chiamparino ha detto di aver sentito Zaia e di aver rilevato che c’è ancora margine per una candidatura unica Milano, Torino e Cortina. Sempre mercoledì, Malagò ha chiesto ad Appendino di ripensarci, aggiungendo che «questa non è una sfida o una prova muscolare». Secondo Malagò, una candidatura a tre avrebbe più possibilità di vincere rispetto a quella delle sole Milano e Cortina.
Appendino ha risposto agli ultimi appelli arrivati mercoledì ribadendo sostanzialmente quanto detto negli scorsi giorni. «Torino non c’è perché la proposta manca completamente di chiarezza» ha detto alla Stampa, riferendosi a come si pensa di finanziare le Olimpiadi senza i fondi statali. Appendino ha negato che sia stata Torino a far saltare la tripla candidatura, attribuendo l’insuccesso del progetto alle mancate risposte fornite dal governo.
Al momento non è ancora chiaro quale sarà la proposta ufficiale che il CONI presenterà a Losanna. La città che ospiterà le Olimpiadi invernali del 2026 sarà scelta ufficialmente nel settembre del 2019, proprio a Milano. La scadenza ufficiale per presentare la candidatura al CIO è a gennaio, ma il CIO chiede che siano presentate informalmente entro ottobre. Le altre città che stanno decidendo se candidarsi ufficialmente sono Calgary, in Canada; Erzurum, in Turchia; e Stoccolma, in Svezia.