E allora il PD?
Che aria tira nel partito, tra annunci di primarie (con un solo candidato), cene annunciate su Twitter e richieste di sciogliere tutto e ricominciare
È stato un finesettimana molto intenso per il Partito Democratico, ma non per la sua attività di opposizione bensì per il suo dibattito interno. Il presidente del partito, Matteo Orfini, ha detto che il partito andrebbe sciolto e rifondato da zero; il segretario Maurizio Martina gli ha risposto che non vuole saperne e che invece a gennaio si svolgeranno regolarmente il congresso e le primarie per scegliere il nuovo segretario (al momento c’è un solo candidato: il presidente del Lazio Nicola Zingaretti).
Nel frattempo l’ex ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda, che del PD è un semplice iscritto, ha detto su Twitter di aver organizzato una cena con Matteo Renzi, Paolo Gentiloni e Marco Minniti per discutere il futuro del partito e del resto del centrosinistra. Zingaretti ha risposto che anche lui organizzerà una cena, ma i suoi ospiti saranno elettori del partito, come studenti, operai e imprenditori. Qualche ora dopo Calenda ha scritto di aver annullato l’invito, “in questo contesto è inutile e dannoso”.
In altre parole il partito si trova in una fase di transizione, senza una chiara linea politica e senza un leader forte: e quasi tutte le sue energie sono rivolte al suo interno, non tanto per scegliere il suo nuovo leader quanto per scegliere come scegliere il suo nuovo leader. In questo contesto, la novità principale è quella annunciata da Martina: la decisione – ancora soltanto dichiarata – di avviare il congresso in modo da celebrare le primarie per la scelta del segretario il prossimo gennaio. In questo modo il nuovo segretario avrà tutto il tempo per organizzare la campagna elettorale in vista dell’elezioni europee del prossimo maggio. Il problema è che – volendo fare le primarie a gennaio o ai primi di febbraio – i tempi sono molto stretti: il voto tra gli iscritti del partito che precede le primarie dovrebbe avvenire probabilmente nel periodo delle vacanze natalizie.
In ogni caso, Martina non ha il potere di indire da solo congresso e primarie. Anche se dovesse dimettersi dall’incarico, la decisione su cosa fare e in quali tempi farlo spetta comunque all’Assemblea nazionale del PD, una sorta di parlamento interno del partito composto da circa duemila membri ed eletto allo scorso congresso. C’è ancora la possibilità che il congresso venga ulteriormente rimandato, anche se chi preferisce questa soluzione sembra al momento una minoranza nel partito.
Quel che è certo è che al momento c’è un solo candidato al ruolo di segretario: Nicola Zingaretti, presidente del Lazio. Zingaretti è un ex politico dei Democratici di Sinistra e in passato era vicino all’area del PD guidata da Pier Luigi Bersani (che poi è uscita per fondare LeU). Non ha mai avuto una particolare notorietà al di fuori del Lazio, ma negli anni si è costruito la fama di leader che riesce a vincere in condizioni avverse: la sua vittoria alla provincia di Roma nel 2008 fu concomitante con la sconfitta subita da Francesco Rutelli nella corsa a sindaco e alla sconfitta del centrosinistra alle elezioni politiche; la sua vittoria alle regionali in Lazio nel 2013 fu netta rispetto al pareggio ottenuto dal centrosinistra alle politiche. Infine, alle regionali dello scorso 4 marzo è riuscito a ottenere in regione centomila voti più di quelli raccolti dal PD alle elezioni politiche, per le quali si votava lo stesso giorno.
Fino a oggi la sua candidatura ha ricevuto il sostegno della minoranza del partito uscita dall’ultimo congresso, l’area guidata dall’ex ministro della Giustizia Andrea Orlando, e anche quello di AreaDem, la corrente centrista composta soprattutto da ex membri della Margherita e guidata dell’ex ministro della cultura Dario Franceschini, che da quando è nato il PD ha sempre fatto parte della corrente di maggioranza (anche quando era stato lo stesso Franceschini a perdere il congresso). Anche l’ex presidente del Consiglio Paolo Gentiloni ha detto più volte di apprezzare Zingaretti, ma non si è ancora espresso in maniera definitiva, così come molti altri dirigenti del partito.
Molti stanno aspettando infatti di capire quando sarà effettivamente il congresso e chi sarà lo sfidante di Zingaretti. Gli avversari naturali di Zingaretti sono i sostenitori dell’ex segretario Matteo Renzi, che costituivano la maggioranza all’ultimo congresso. I renziani però sono al momento senza un forte candidato, e i nomi che circolano sono sempre gli stessi. L’ex ministro delle Infrastrutture Graziano Delrio, un moderato che avrebbe potuto raccogliere consensi trasversali nel partito, ha più volte rifiutato l’incarico; tra gli altri nomi che sono circolati sui giornali ci sono quelli di Matteo Richetti e dell’ex viceministro Teresa Bellanova, ma una decisione non è stata presa.
Un altro possibile candidato è l’ex ministro dell’Interno Marco Minniti, che non è un sostenitore di Renzi ma che molto probabilmente avrebbe il suo appoggio se si candidasse. Lo stesso Matteo Renzi ha detto che non intende candidarsi, ma dopo l’annuncio ha fatto un tour tra le Feste dell’Unità che a molti è sembrato una preparazione di una possibile candidatura. Una decisione definitiva sarà probabilmente comunicata tra la fine di ottobre e l’inizio di novembre, quando Renzi radunerà i suoi sostenitori prima a Firenze, durante l’evento annuale alla Stazione Leopolda, e poi a Salsomaggiore per una convention più ristretta.
Oltre alle divisioni personali, i sostenitori di Zingaretti e quelli di Renzi hanno anche posizioni politiche differenti. Nei suoi primi interventi da candidato segretario, come l’intervista concessa a Repubblica a fine agosto, Zingaretti aveva parlato della necessità di tornare a occuparsi di temi come le diseguaglianze sociali e ha detto di non voler seguire la strada del presidente francese Emmanuel Macron, che ritiene troppo centrista e poco vicino a quelle che secondo lui sono le vere istanze della sinistra.
Renzi e i suoi sostenitori sostengono invece che al momento la priorità del partito dovrebbe essere l’opposizione dura e la critica dell’attuale governo, un tema su cui ritengono Zingaretti troppo timido. Inoltre non apprezzano la vicinanza di Zingaretti a sindacati come la CGIL, che ha criticato con forza diversi provvedimenti presi dal PD durante il governo Renzi, come il Jobs Act e la Buona scuola. Per i renziani, inoltre, Macron è un importante simbolo della lotta ai “populismi” e quindi non andrebbe attaccato.