L’esercito del Pakistan sta provando a fare la pace con l’India
Un generale pakistano ha preso l'iniziativa, scrive il New York Times, e c'entrano anche Donald Trump e la Cina di Xi Jinping
Da alcuni mesi l’esercito del Pakistan sta tentando di avviare colloqui di pace con i militari dell’India, finora senza ottenere grandi disponibilità. La notizia è piuttosto importante – Pakistan e India litigano per una disputa di confine nella regione del Kashmir da decenni – ed è stata data dal New York Times, che ha parlato con diversi diplomatici occidentali e funzionari pakistani. Il principale promotore di questo avvicinamento, ha scritto la giornalista Maria Abi-Habib, è il capo dell’esercito pakistano, il generale Qamar Jared Bajwa, da cui prende il nome la “dottrina Bajwa”: una novità di enorme rilevanza nell’attuale politica estera del Pakistan.
I tentativi di avvicinamento del Pakistan all’India non sono solo il risultato della volontà dell’esercito, che in Pakistan è da sempre molto potente e presente nella vita politica del paese, ma anche di una serie di cambiamenti avvenuti nel mondo negli ultimi anni: tra gli altri, c’entrano Donald Trump e la Cina del presidente Xi Jinping.
La nuova politica estera pakistana verso l’India ruota attorno alla cosiddetta “dottrina Bajwa”, cioè l’idea che la sicurezza del Pakistan nella regione del sudest asiatico sia legata alla situazione economica del paese. È una dottrina nata all’interno dell’esercito, che in Pakistan controlla di fatto la politica estera e quella legata alla difesa, ed è basata sull’idea che sia necessario per il Pakistan stabilizzare con l’India i propri rapporti politici per poter sviluppare quelli commerciali. Da diverso tempo, infatti, il Pakistan è in una situazione economica piuttosto critica, anche per la progressiva sospensione degli aiuti statunitensi dovuta al persistente appoggio del governo e dei militari pakistani a gruppi jihadisti e terroristici, come i talebani: a gennaio l’amministrazione di Donald Trump aveva sospeso gli aiuti annuali al Pakistan di oltre 1 miliardo di dollari, mentre la scorsa settimana l’esercito statunitense ha annunciato la cancellazione di altri 300 milioni di dollari di aiuti. Quest’anno il Pakistan ha già ricevuto un prestito di diversi miliardi di dollari dalla Cina e nelle prossime settimane ne chiederà probabilmente un altro di 9 miliardi di dollari al Fondo Monetario Internazionale.
Le pressioni politiche ed economiche statunitensi si sono unite a quelle del governo cinese, storico alleato del Pakistan. Quest’anno la Cina ha incluso a sorpresa il governo pakistano nella lista dei soggetti sospettati di finanziare il terrorismo, misura che renderà più complicato per il Pakistan recuperare fondi sui mercati internazionali. La Cina si lamenta soprattutto per la libertà di movimento goduta da miliziani cinesi musulmani estremisti nel Pakistan occidentale, che sono attivi nel sabotare i grandi progetti infrastrutturali cinesi nel paese. In generale la Cina chiede da tempo al governo pakistano di pacificare il suo confine con l’India, sperando che una più grande stabilità dell’area possa andare a vantaggio delle ambizioni economiche cinesi e del commercio regionale.
Lo sviluppo della “dottrina Bajwa” è stato possibile grazie all’azione del generale pakistano Jared Bajwa, considerato molto più moderato dei suoi predecessori, per lo meno in relazione ai rapporti tra Pakistan e India.
Bajwa ha potuto sfruttare i suoi rapporti personali con il capo dell’esercito indiano, il generale Bipin Rawat, con cui aveva trascorso un periodo nella Repubblica Democratica del Congo dieci anni fa all’interno di una missione di peacekeeping delle Nazioni Unite. C’è poi da considerare che la “dottrina Bajwa” potrebbe avere trovato un alleato nel nuovo primo ministro pakistano, l’ex campione di cricket Imran Khan, vincitore delle elezioni tenute lo scorso luglio e considerato “uomo dell’esercito”. Il nuovo governo ha mandato segnali favorevoli al dialogo con l’India e nel suo discorso di vittoria Khan ha parlato della necessità che i rapporti tra India e Pakistan «vadano avanti».
Nonostante i tentativi del generale Bajwa, per il momento non si è arrivati a nulla di concreto, per diverse ragioni. Per esempio perché i due interlocutori – cioè i due eserciti – non occupano lo stesso spazio e la stessa importanza nei rispettivi paesi: se l’esercito pakistano è molto potente ed è in grado di condizionare pesantemente le scelte politiche del governo, lo stesso non si può dire dei militari indiani, che difficilmente potrebbero raggiungere un accordo di pace sul Kashmir con il Pakistan senza il coinvolgimento del governo civile. Inoltre, ha scritto il New York Times citando fonti diplomatiche a New Delhi, il primo ministro indiano Narendra Modi sarebbe preoccupato dell’esito delle elezioni del prossimo anno e teme che eventuali colloqui di pace con il Pakistan possano pregiudicarlo nei sondaggi.