La crisi della repubblica indipendente più piccola al mondo
Da qualche anno nell'isola di Nauru le cose vanno sempre peggio, e c'è chi dà una parte della colpa alla vicina Australia
Lo stato di Nauru, la repubblica indipendente più piccola al mondo, finisce spesso sui giornali internazionali perché ospita i controversi campi di detenzione per richiedenti asilo provenienti dall’Australia, più volte definiti prigioni a cielo aperto per i migranti. Nauru però non è solo questo: l’isola, estesa poco più di 20 chilometri quadrati e collegata per via aerea solo all’Australia, ha uno dei governi più disfunzionali del mondo, dove la separazione dei poteri è saltata da tempo e dove i ministri sono più dei parlamentari. La situazione è così grave e instabile che il sistema democratico di Nauru sembra rimanere in piedi solo per il sostegno incondizionato del governo australiano, che continua a chiudere un occhio su tutte le irregolarità compiute nell’isola pur di mantenere i rapporti privilegiati con il governo locale.
Nauru è uno stato molto particolare. Fa parte della regione della Micronesia, in Oceania, e l’isola più vicina al suo territorio è Banaba, nell’arcipelago di Kiribati, a 300 chilometri di distanza.
Nauru non è il più piccolo stato al mondo per estensione – la Città del Vaticano e il Principato di Monaco sono più piccoli – ma è il più piccolo con istituzioni repubblicane. Dopo essere stato una colonia dell’Impero tedesco, alla fine del Diciannovesimo secolo, Nauru divenne uno dei territori governati tramite un mandato della Lega delle Nazioni, l’organizzazione da cui poi nacque l’ONU: la sua gestione fu affidata all’Australia, alla Nuova Zelanda e al Regno Unito. Durante la Seconda guerra mondiale il paese fu occupato dai soldati giapponesi, e poi liberato dagli Alleati: dopo essere stato controllato dal Consiglio di amministrazione fiduciaria dell’ONU, un organo delle Nazioni Unite che si occupava delle nazioni non indipendenti, nel 1968 Nauru divenne uno stato indipendente, pur mantenendo legami strettissimi con l’Australia.
L’attuale crisi iniziò molti anni fa ma si acutizzò tra il 2013 e il 2014, quando a Nauru furono licenziati l’unico magistrato del paese, Peter Law, e l’allora presidente della Corte Suprema del paese, Geoffrey Eames, entrambi cittadini australiani che avevano preso provvedimenti che non erano piaciuti al governo. Nello stesso periodo, e per motivi simili, furono espulsi dal Parlamento tre deputati dell’opposizione e fu eliminata la possibilità di appellarsi alla Corte suprema australiana contro le decisioni dei tribunali nauruani, una misura che era stata stabilita da un accordo del 1976 e che era considerata centrale per la difesa dei diritti sia dei cittadini nauruani che dei richiedenti asilo mandati a Nauru dall’Australia. Kerry Weste, presidente dell’Australian Lawyers for Human Rights, organizzazione di avvocati che si occupa di diritti umani, disse: «L’Australia dovrebbe chiedere a Nauru di rispettare lo stato di diritto e assicurarsi di non essere in alcun modo complice di indebolire le strutture e le istituzioni che sono richieste affinché il sistema giudiziario di Nauru sia giusto e funzionale».
Le mosse del governo furono criticate duramente dalla comunità internazionale, che aveva definito quanto successo una violazione dello stato di diritto nel paese.
Dal punto di vista economico, a partire dagli anni dell’indipendenza Nauru fu uno dei paesi più ricchi al mondo, soprattutto grazie alle esportazioni di fosfato, una sostanza impiegata nella produzione di fertilizzanti e presente in grandi quantità nei giacimenti locali. Dopo diversi anni, però, il grande sfruttamento iniziale del territorio cominciò ad avere effetti negativi e le esportazioni ne risentirono; inoltre il governo dovette rinunciare alla legislazione che aveva reso il paese un paradiso fiscale, causando una riduzione netta dei capitali in entrata. Il risultato fu che Nauru continuò a indebitarsi sempre di più con l’Australia, fino a raggiungere livelli molto preoccupanti. Nel biennio 2017-2018 il governo australiano è stato l’origine diretta dei due terzi delle entrate totali di Nauru, pari a 179 milioni di dollari: i soldi sono arrivati sotto forme diverse, tra cui aiuti diretti e pagamenti per l’accoglienza dei richiedenti asilo. I rapporti tra i due paesi, ha scritto il Guardian, sono estremamente squilibrati, tipici di una relazione tra padrone e cliente.
Negli ultimi anni, ai problemi economici e del sistema giudiziario si sono aggiunti diversi scandali che hanno coinvolto la classe dirigente locale. Sono iniziate indagini per corruzione su politici nauruani di alto livello, come il presidente Baron Waqa, il ministro della giustizia David Adeang e una società di fosfati che opera nell’isola, la Getax. Il governo ha anche adottato leggi molto restrittive sulla libertà di espressione e di assemblea e i ministri sono diventati 12, superando la maggioranza richiesta per approvare le leggi nel Parlamento nauruano, dove siedono 19 deputati, rafforzando così in maniera notevole il potere esecutivo su tutti gli altri.
Secondo il Guardian, il modello di governance che l’Australia ha voluto proporre fino a poco tempo fa, basato su un’idea chiara di democrazia e di separazione dei poteri, sta subendo duri colpi proprio a causa dell’appoggio incondizionato del governo australiano per la leadership di Nauru. Molti sostengono che le comunità locali – poco più della metà degli abitanti di Nauru – siano estremamente riluttanti a criticare il governo o le sue politiche, perché quasi tutti lavorano per lo stesso governo o per delle società legate al governo. È difficile dire come e se finirà la crisi di Nauru, che riguarda molti aspetti della vita del paese e che ad oggi sembra essere praticamente senza soluzione.