C’è una tregua a Tripoli, ammesso che duri
I leader di diverse milizie hanno firmato un accordo per sospendere le violenze, ha detto l'ONU, mettendo (forse) fine a dieci giorni di guerriglia nella capitale della Libia
Alcune delle milizie coinvolte negli scontri degli ultimi dieci giorni a Tripoli, la capitale della Libia, hanno trovato l’accordo per una tregua. L’intesa, raggiunta anche grazie alla mediazione del segretario generale dell’ONU Ghassan Salamé, prevede la riapertura dell’aeroporto di Meitiga, la protezione della popolazione civile, la garanzia che le proprietà pubbliche e private non verranno violate e la fine degli scontri. La tregua è stata appoggiata anche dai governi di Francia, Italia, Regno Unito e Stati Uniti, cioè i paesi occidentali più coinvolti nella politica libica.
Under the auspices of SRSG @GhassanSalame, a ceasefire agreement was reached + signed today to end all hostilities, protect civilians, safeguard public and private property + reopen Meitiga Airport in #Tripoli #Libya pic.twitter.com/0J5bu4OsLq
— UNSMIL (@UNSMILibya) September 4, 2018
Le violenze a Tripoli erano iniziate la scorsa settimana, quando alcune milizie provenienti dal sud della capitale e ostili al governo di accordo nazionale – quello guidato dal primo ministro Fayez al Serraj e appoggiato dall’ONU – avevano attaccato alcuni quartieri meridionali della città. L’attacco aveva provocato la reazione delle milizie fedeli a Serraj, e l’inizio degli scontri: tra le altre cose, erano state danneggiate alcune infrastrutture petrolifere, era stato chiuso l’aeroporto, era stato sgomberato un centro di detenzione per migranti dove si trovavano centinaia di persone e c’era stata un’evasione di massa dalla prigione di Ain al Zara, vicino alla capitale. Negli scontri erano state uccise almeno 47 persone e moltissime altre erano state costrette a lasciare le proprie case.
Le violenze avevano anche provocato molta tensione nei rapporti diplomatici tra Italia e Francia. Diversi esponenti del governo italiano avevano incolpato la Francia degli scontri: l’avevano accusata di essere responsabile dell’intervento militare che nel 2011 portò alla destituzione dell’ex presidente Muammar Gheddafi, che evitò probabilmente una catastrofe umanitaria ma che contribuì a creare il caos attuale nel paese, e di sostenere oggi il principale rivale del governo Serraj, cioè il generale Khalifa Haftar. Secondo alcuni osservatori la milizia alla guida dell’offensiva di Tripoli, la Settima Brigata, è vicina proprio ad Haftar, che controlla la Libia orientale e che vorrebbe conquistare tutto il territorio nazionale.
Anche se molti gruppi e fazioni politiche operanti a Tripoli hanno accettato la tregua insieme al governo guidato da Serraj, è difficile dire cosa succederà ora e se il cessate il fuoco verrà rispettato. Il governo mantiene a fatica il controllo dell’area di Tripoli, che come molte altre zone della Libia è pervasa dalla presenza di decine di milizie armate che si contendono il potere. Claudia Gazzini, esperta di Libia per l’International Crisis Group, ha detto che l’escalation di violenze degli ultimi giorni è stato «il risultato dell’insoddisfazione per l’attuale status quo, la realizzazione che i fondi statali sono bloccati dai gruppi armati con base a Tripoli e il desiderio di cambiare questa realtà sul campo. Questo è quello che ha portato i gruppi armati da fuori Tripoli a voler intervenire».