L’Argentina dimezzerà il numero di ministri
E imporrà tasse sulle esportazioni, come ai tempi di Cristina Kirchner: sono le soluzioni estreme adottate dal presidente Macri per contrastare la crisi
Lunedì sera il presidente argentino Mauricio Macri ha annunciato nuove misure straordinarie per fronteggiare la crisi economica che ha colpito il paese. In un discorso alla televisione durato mezz’ora e iniziato con un’ora di ritardo Macri ha annunciato che il numero di ministeri del governo sarà dimezzato, in modo da “focalizzare maggiormente” gli sforzi del governo nell’affrontare la crisi. Non è ancora chiaro quali ministeri saranno eliminati e accorpati.
La misura più importante però è stata l’annuncio dell’imposizione di nuove tasse sulle esportazioni che colpirà alcuni dei principali prodotti argentini venduti nel mondo, granoturco, grano e carne. Gli esportatori di questi prodotti dovranno pagare allo stato 4 pesos per ogni dollaro di valore esportato (la tassa sarà quindi influenzata dal cambio). «Sappiamo che è una cattiva tassa che è contro quello che noi vogliamo stimolare, cioè le esportazioni», ha detto Macri, «ma vi chiedo comprensione: è un’emergenza e abbiamo bisogno del vostro supporto». Con questa tassa, Macri spera di ridurre la vendita di pesos che sta producendo un crollo della moneta nazionale.
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Per il presidente argentino è una completa marcia indietro. Tra le prime misure che Macri aveva intrapreso, dopo essere stato eletto presidente nel 2015, c’era stato proprio il taglio delle imposte sulle esportazioni introdotte dal suo predecessore, Cristina Kirchner, che aveva usato diverse forse di imposte e di controllo dei capitali per conservare la parità tra peso argentino e dollaro e mantenere nel paese sufficienti riserve di valuta straniera con cui ripagare il debito pubblico denominato in dollari.
Come diversi economisti ed esperti avevano annunciato, ripristinare qualche forma di controllo sulle esportazioni si è rivelato necessario anche per Macri, dopo che l’innalzamento dei tassi di interesse da parte della banca centrale non aveva sortito risultati apprezzabili. Al momento la banca centrale argentina paga un tasso di interesse del 60 per cento, ma questo non è servito a evitare che il peso perdesse il 50 per cento del valore dall’inizio dell’anno, il 16 per cento soltanto nell’ultima settimana.
Il problema è che tra gli investitori internazionali c’è una crisi di fiducia nella capacità del governo argentino di ripagare il suo debito pubblico e quindi, nel timore di una nuova bancarotta seguita da un ulteriore deprezzamento del peso, chi possiede beni denominati in valuta argentina – titoli di stato, ma anche privati – sta cercando di liberarsene, producendo un crollo nel valore della moneta.
A peggiorare la situazione ha contribuito la più grave siccità degli ultimi 50 anni, che ha seriamente danneggiato i raccolti di soia, uno dei principali beni esportati dall’Argentina. Il risultato di tutti questi fattori è stata una recessione economica, che ha messo sotto ulteriore stress il paese e il governo. Macri ora sta cercando di guadagnare tempo, nell’attesa di negoziare l’arrivo nel paese della prima tranche di un prestito da 50 miliardi di dollari da parte del Fondo Monetario Internazionale, con il quale spera di stabilizzare la situazione e tranquillizzare gli investitori.