Cosa sta succedendo in Argentina
Il paese è di nuovo in crisi, la moneta ha perso il 20 per cento del suo valore in due giorni e il governo ha chiesto al Fondo Monetario Internazionale di accelerare l'invio degli aiuti
L’Argentina si trova di nuovo in una difficile crisi economica. La sua moneta ha perso il 20 per cento del suo valore in una settimana e la banca centrale è stata costretta ad adottare misure estreme per cercare di stabilizzare una situazione ancora molto grave. Giovedì il governo guidato dal presidente Mauricio Macri ha chiesto al Fondo Monetario Internazionale di anticipare la consegna del prestito da 50 miliardi di dollari che era stato chiesto lo scorso maggio.
La crisi di questi giorni si deve ai timori da parte degli investitori – cioè chi presta soldi all’Argentina comprando i suoi titoli di stato – che il paese non sia più in grado di ripagare i suoi debiti. «Siamo di fronte a una mancanza di fiducia nei mercati», ha detto il presidente Macri in un appello televisivo. Nel timore che di fronte alla crisi il governo cerchi di stampare denaro per ripagarlo, causando quindi inflazione e un ulteriore crollo nel valore del denaro, chi possiede il peso argentino o beni denominati in questa moneta sta cercando di liberarsene. Dall’inizio dell’anno le vendite hanno quasi dimezzato il valore della moneta argentina.
Macri è un conservatore liberale in economia, e sta conducendo una serie di riforme per liberalizzare il commercio con l’estero e per ridurre la spesa pubblica, tra cui un taglio delle pensioni particolarmente impopolare. Prima di lui la presidente Cristina Kirchner, esponente della sinistra populista, aveva invece introdotto una serie di misure protezionistiche e controlli ai movimenti dei capitali, oltre ad avere alzato molto la spesa pubblica, che ora Macri sta cercando di riportare sotto controllo.
A maggio un altro improvviso calo del peso aveva fatto perdere alla moneta argentina quasi il 20 per cento del suo valore. All’epoca il crollo venne spiegato con la fuga degli investitori internazionali dai mercati emergenti, in seguito al rialzo dei tassi di interesse negli Stati Uniti (un rialzo che sta tornando a rendere conveniente investire là i propri capitali). Da maggio la situazione del paese è ulteriormente peggiorata. L’inflazione è arrivata oramai a più del 30 per cento, il livello più alto al mondo dopo quello del Venezuela. La più grave siccità degli ultimi 50 anni ha danneggiato gravemente il raccolto di mais e soia, due delle sue principali esportazioni.
Il rialzo nel prezzo del petrolio, unito al crollo del peso a maggio, ha reso le bollette energetiche molto più costose, contribuendo a innescare quella che sembra diventerà una recessione. A maggio l’economia argentina si è contratta del 5 per cento e a giugno di un altro 6,7 per cento. Secondo le stime, il PIL del paese dovrebbe calare di quasi il 2 per cento nel corso del 2018, e questo se la situazione non peggiorerà ulteriormente.
Una recessione, a sua volta, riduce il volume dell’economia e porta a un calo delle entrate fiscali, rendendo ancora più difficile sostenere la spesa pubblica. Normalmente, un governo risponderebbe finanziando la parte venuta a mancare aumentando l’emissione di debito pubblico, ma l’Argentina, a causa della crisi di sfiducia nei suoi confronti, non può ricorrere a questa misura. L’unica soluzione è tagliare ulteriormente la spesa pubblica, aggravando la recessione.
Per impedire al paese di entrare in questa spirale, la banca centrale argentina è ricorsa a soluzioni estreme e ha portato i tassi di interesse al 60 per cento, un livello definito “surreale” da Daniel Gallas, corrispondente economico per il Sud America di BBC. Significa che le banche e le altre istituzioni finanziarie che decidono di depositare i loro pesos nei conti della banca centrale si vedranno corrisponde un interesse del 60 per cento. Gli investitori però non sembrano credere che il peso varrà ancora qualcosa, da oggi a quando quegli interessi saranno pagati, e per il momento il crollo della moneta non si è arrestato.
La speranza di Macri e del suo governo è che la situazione possa stabilizzarsi grazie all’arrivo dei 50 miliardi di dollari chiesti al Fondo Monetario Internazionale. In cambio il governo si è impegnato a mantenere un bilancio disciplinato sul medio periodo e azzerare il deficit entro il 2020.
L’accordo è stato accolto con proteste in varie parti del paese. Molti ricordano il ruolo avuto dal FMI nella crisi del 2001, quando gli stessi funzionari del fondo ammisero di aver commesso una serie di errori nella gestione della crisi che portò alla bancarotta del paese. Un argentino su cinque si ritrovò senza lavoro e milioni finirono in povertà. Anche per questa ragione, l’accordo con il FMI questa volta prevede margini più ampi per finanziare la spesa sociale e attutire gli effetti negativi che produrranno i tagli necessari a raggiungere il pareggio di bilancio. Sarà una situazione molto delicata da gestire per Macri, che oltre ai rischi economici dovrà prepararsi alle elezioni politiche del 2019.