I servizi sociali norvegesi separano le famiglie troppo facilmente?
È un'accusa che circola da anni e riguarda soprattutto le famiglie straniere: se ne riparla per via di uno psichiatra condannato per possesso di materiale pedopornografico
Tra i paesi ricchi, la Norvegia è il secondo miglior paese per le condizioni in cui crescono i bambini e gli adolescenti, secondo l’Unicef, il fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia. Più volte negli ultimi anni si è però messo in discussione l’operato del Barnevernet, i servizi sociali norvegesi che si occupano dei minorenni, per il modo in cui ha separato alcuni bambini dalle proprie famiglie; mentre altri paesi sono stati in parte coinvolti per via dei casi che riguardavano famiglie di immigrati. Negli scorsi mesi se ne è parlato di nuovo perché uno degli psichiatri norvegesi che valutavano quando i bambini dovessero essere allontanati dalle proprie famiglie è stato condannato per possesso di materiale pedopornografico, ma nonostante le richieste dei genitori coinvolti i casi di cui si era occupato non sono stati riesaminati.
Le critiche al Barnevernet
In tutti i paesi dell’Europa occidentale i servizi sociali possono separare i bambini dalle proprie famiglie, che i genitori siano cittadini di quei paesi oppure immigrati residenti, se ci sono prove di abusi subiti dai bambini e viene giudicato che provvedimenti meno duri sarebbero inefficaci. Molto spesso capita che le famiglie contestino questo genere di misure, ma la Norvegia è l’unico paese in cui la questione ha causato dibattiti a livello internazionale.
Le prime critiche al Barnevernet di cui si è parlato fuori dalla Norvegia risalgono al 2011, quando due bambini di origine indiana di uno e tre anni furono tolti ai genitori: inizialmente il padre dei bambini accusò i servizi sociali norvegesi di averlo fatto per un pregiudizio culturale, dato che i bambini dormivano insieme ai genitori e mangiavano con le mani come è consuetudine in India. Successivamente l’uomo ammise che sua moglie aveva problemi psicologici, ma dopo le critiche ricevute il Barnevernet – che per ragioni di privacy non spiegò mai le ragioni della separazione, ma negò che c’entrasse il modo in cui i bambini dormivano e mangiavano – accettò di affidare i due fratelli a uno zio che li riportò in India.
Lo stesso anno un controverso investigatore privato polacco organizzò la fuga e l’espatrio di una ragazzina polacca e di un ragazzino russo dati in affidamento. Nel 2013 si parlò del caso di una donna brasiliana e sua figlia che si rifugiarono nell’ambasciata del Brasile a Oslo per non essere separate. Nel 2015 invece si parlò di una donna ceca che non riusciva a ottenere la custodia dei due figli e nemmeno a vederli spesso dopo aver divorziato dal marito, accusato da una maestra di asilo di averli molestati ma mai indagato per le accuse.
Sempre nel 2015, a maggio, i giornali svedesi criticarono la Norvegia e il Barnevernet perché i cittadini svedesi a cui erano stati tolti i figli non potevano far trasferire il proprio caso ai servizi sociali svedesi. Dag Sverre Aamodt, l’avvocato norvegese che ha rappresentato molti genitori nei casi contro il Barnevernet, disse al quotidiano svedese Dagens Nyheter che spesso i servizi sociali non avevano basi legali per cui ordinare le separazioni: «Il Barnevernet può criticare cose normali come una madre che coccola il figlio di due anni a letto un sabato mattina e un genitore che beve una birra di domenica pomeriggio. Chiunque sia in condizioni economiche vulnerabili ha paura del Barnevernet».
Ad agosto poi si parlò del caso di una donna lituana a cui erano stati tolti i due figli poi ritornati con la madre, in Lituania, grazie all’intervento di un parente. La donna raccontò di non aver capito per quale ragione i bambini le fossero stati tolti e sospettava che fosse per il tipo di vestiti che metteva alla figlia di 10 anni, giudicati troppo «provocanti» dai servizi sociali norvegesi. All’epoca Morten Moerkved, capo del Barnevernet della cittadina di Malvik, dove la donna viveva, disse all’agenzia di stampa Associated Press di non poter dare dettagli specifici sul caso ma aggiunse che i bambini vengono separati dalle famiglie solo nei casi in cui sono vittime di abusi oppure se ci sono «seri deficit» nel modo in cui vengono accuditi quotidianamente, per esempio quando i genitori sono molto spesso ubriachi, fanno uso di droghe o non li nutrono a sufficienza. Moerkved disse anche che a volte il fatto che un bambino vada a scuola vestito male o con abiti sporchi viene considerato un segnale d’allarme.
Commentando un altro caso Gunnar Toresen, il capo del Barnevernet della città di Stavanger, disse ad Associated Press che molte persone provenienti da altri paesi non hanno esperienza con i servizi sociali che intervengono all’interno delle famiglie e in alcuni casi separano i bambini dai genitori. A guardare i dati sugli affidamenti sembra in effetti che le famiglie immigrate siano particolarmente colpite: nel 2012, dei 6.737 bambini separati dalle famiglie, 1.049 erano figli di immigrati. Dal 2005 al 2015 inoltre almeno 500 bambini sono stati portati illegalmente in altri paesi dalla Norvegia per paura di un intervento del Barnevernet.
Secondo alcune persone che si occupano di questi casi, ci sono spesso dei problemi di incomprensioni culturali. Ieva Rise, un’avvocata di Oslo che ha rappresentato molte famiglie lituane, spiegò ad Associated Press che i problemi con il Barnevernet cominciano spesso perché i genitori non fanno i compiti a casa insieme ai figli o perché i pasti che preparano loro per il pranzo a scuola non vengono giudicati adeguati: «In Lituania e in Russia i bambini aiutano di più in casa fin da piccoli e anche questo può essere un problema». Gro Hillestad Thune, un’avvocata specializzata nei casi di diritti umani, citò invece l’uso di schiaffeggiare i bambini: in Norvegia è considerato un reato, mentre in altri paesi è una consuetudine.
La questione delle punizioni corporali, come gli schiaffi, era anche al centro del caso di Ruth e Marius Bodnariu, lei un’infermiera di origine norvegese e lui un informatico di origine rumena: nel novembre del 2015 i cinque figli della coppia, tra cui un bambino di tre mesi, furono prelevati dai servizi sociali norvegesi perché i due sculacciavano i bambini. I figli dei Bodnariu non avevano segni fisici di violenze, ma le bambine più grandi avevano raccontato delle sculacciate a scuola e in Norvegia anche le più leggere punizioni corporali sono proibite. Alla fine, dopo alcuni mesi, i Bodnariu riottennero la custodia dei propri figli e si trasferirono in Romania: nel frattempo si parlò moltissimo del caso sia in Norvegia che in Romania, con una grande mobilitazione del movimento pentecostale, di cui la famiglia fa parte, secondo cui i Bodnariu erano stati discriminati per la loro religione.
Leggendo gli articoli di giornale è difficile farsi un’idea completa dell’operato del Barnevernet, dato che per ragioni di privacy l’istituzione non diffonde dettagli sui singoli casi (e ce ne sono moltissimi altri di cui non si parla perché non hanno niente di controverso e hanno portato probabilmente al bene dei minori coinvolti). Sembra tuttavia che ci siano dei margini per criticarne l’operato. Nel 2016, 170 professionisti del campo della protezione dei bambini norvegesi, tra cui avvocati e psicologi, scrissero una lettera aperta in cui definivano il Barnevernet «un’organizzazione disfunzionale che commette errori di giudizio con gravi conseguenze a lungo termine».
Negli ultimi anni gli interventi del Barnevernet sono aumentati in generale, cioè anche considerando le famiglie norvegesi: dal 2008 al 2013 il numero di bambini e ragazzi tolti alle proprie famiglie dai servizi sociali è aumentato del 50 per cento, in parte come reazione all’omicidio di un bambino di otto anni da parte del patrigno nel 2005.
Negli anni l’operato del Barnevernet è stato sottoposto più volte alla Corte europea dei diritti dell’uomo (un tribunale internazionale che ha sede a Strasburgo ma non ha nulla a che fare con l’Unione Europea) oltre che all’attenzione dei media internazionali. Tra il 2016 e il 2017, otto diversi casi sono arrivati a questo tribunale. Al momento ce ne sono sette su cui è ancora atteso un giudizio.
Il caso dello psichiatra in possesso di materiale pedopornografico
Negli ultimi due anni non ci sono stati nuovi grossi casi di cui si è occupata la stampa internazionale ma all’inizio di agosto BBC è tornata a parlare del Barnevernet perché il suo giornalista Tim Whewell, che nel 2016 aveva seguito il caso dei Bodnariu, è andato in Norvegia per indagare sulla condanna dello psichiatra di cui parlavamo all’inizio. A partire dalla sua indagine, pubblicata il 4 agosto in un articolo intitolato “Lo scandalo nascosto della Norvegia”, BBC ha realizzato anche un documentario e un podcast.
La storia di cui Whewell si è occupato comincia nel 2015, quando la polizia norvegese ricevette un’informazione secondo cui uno degli psichiatri del Barnevernet di Oslo scaricava da internet immagini pedopornografiche. L’uomo, che ha 56 anni e il cui nome non è stato diffuso dalla polizia e dai media norvegesi per proteggere la privacy dei suoi figli, fu arrestato all’inizio del 2017. Dopo aver ammesso di aver scaricato quasi 200mila immagini e più di 12mila video pedopornografici e di aver guardato materiale di questo tipo per almeno vent’anni, lo scorso aprile è stato condannato a 22 mesi di carcere ed è stato radiato dall’ordine dei medici.
Quando lavorava per il Barnevernet, lo psichiatra era stato una delle persone incaricate di stabilire se i bambini in osservazione dovessero essere allontanati dai genitori e dal 2012 aveva fatto parte di una commissione di esperti deputata a valutare i rapporti indipendenti sulla situazione dei bambini seguiti. Per questo alcuni genitori a cui è stata tolta la custodia dei figli pensano che i casi di cui si è occupato andrebbero rivisti: finora il Barnevernet ha rifiutato di farlo perché lo psichiatra condannato non era l’unica persona a dare un giudizio sulle condizioni psicologiche dei bambini, dato che lavorava sempre con un collega, e perché la decisione di allontanare un minorenne dalla sua famiglia viene sempre decisa da un tribunale. I genitori però sostengono che l’uomo non fosse in grado di empatizzare con i loro figli, un giudizio simile a quello di Nini Ring, la giudice che lo ha condannato: secondo lei lo psichiatra non era in grado di capire la sofferenza dei bambini filmati nei video pedopornografici.
Tra i genitori intervistati da Whewell a proposito della storia dello psichiatra ci sono due donne i cui casi sono diversi rispetto a quelli delle famiglie di cui si era parlato in passato a livello internazionale, perché non hanno origini straniere e non vivono in condizioni economiche difficili. Tra questi è emblematico il caso di Inez, una donna che nel 2013 fu separata dai suoi quattro figli più piccoli e arrestata con l’accusa di aver commesso delle violenze su di loro perché aveva dato uno schiaffo a uno dei bambini che stava mordendo un fratello. Nel 2016 Inez è stata scagionata dalle accuse – sostenute solo dalle dichiarazioni dei figli date in risposta a domande molto suggestive degli assistenti sociali – ma non ha tuttora riavuto la custodia dei suoi due figli minori. Un rapporto realizzato da due psicologi sostiene che Inez sia una madre capace e che la custodia dei figli dovrebbero esserle restituita, ma lo psichiatra condannato e un suo collega avevano giudicato parziale questo rapporto in quanto membri della commissione atta a valutarlo. Per questo Inez è una delle persone che più si sta impegnando perché i casi su cui lo psichiatra ha lavorato vengano rivisti.
In Norvegia, almeno fino alla diffusione dell’inchiesta di Tim Whewell, non si è parlato molto del caso dello psichiatra in relazione all’operato del Barnevernet e per ora non è in programma una revisione dei casi in cui è stato coinvolto, anche se è stata condotta un’indagine a campione. Dato che moltissime persone hanno letto e guardato l’inchiesta di Whewell, i giornali norvegesi hanno cominciato a occuparsi di questa storia, ma finora non ci sono state grosse novità. Katrin Koch, presidente della commissione di esperti per cui anche lo psichiatra condannato ha lavorato, ha detto al quotidiano Aftenposten che i servizi sociali dovrebbero riesaminare i casi a cui lo psichiatra aveva lavorato prima del 2010, ma che per quanto riguarda il suo lavoro nella commissione, i suoi giudizi non sono stati diversi da quelli degli altri membri della commissione sugli stessi casi.