Il ponte di Brooklyn ha un problema: il narcotrafficante messicano “El Chapo”
Bisogna chiuderlo ogni volta che il noto criminale deve presentarsi in tribunale a Brooklyn, e presto capiterà due volte al giorno
Ormai da più di un anno succede che la polizia di New York sia obbligata di tanto in tanto a chiudere al traffico il ponte di Brooklyn, il più famoso della città, che collega Brooklyn a Manhattan. Il blocco del traffico avviene ogni volta che la polizia penitenziaria deve trasportare Joaquín Guzmán Loera, trafficante di droga messicano più noto con il soprannome “El Chapo”, dalla sua prigione di massima sicurezza a Lower Manhattan all’aula del tribunale dove si stanno tenendo le prime udienze del processo a suo carico, a Brooklyn. La situazione potrebbe peggiorare da novembre, quando inizierà il processo vero e proprio e El Chapo potrebbe dover andare in tribunale due volte al giorno, in coincidenza con gli orari di punta.
Spostare El Chapo in una prigione di Brooklyn risolverebbe il problema del traffico sul ponte, ma è un’eventualità che viene considerata troppo rischiosa dalle autorità. El Chapo non è considerato solo il trafficante di droga più potente del mondo, ma anche il più esperto di evasioni: in Messico è riuscito a scappare due volte da carceri di massima sicurezza, una nascondendosi in un carrello della biancheria, l’altra attraverso un tunnel di 800 metri. Per questo motivo, quando fu estradato lo scorso anno negli Stati Uniti, le autorità considerarono più sicuro detenerlo nella prigione di massima sicurezza a Lower Manhattan.
I disagi causati dalla chiusura del ponte sono stati anche usati dagli avvocati di El Chapo come argomento per chiedere il trasferimento del processo. Secondo gli avvocati, il blocco del traffico potrebbe colpire direttamente i membri della giuria che arrivano a Brooklyn per il processo, influenzando il loro giudizio sul caso. Il giudice titolare del caso, Brian M. Cogan, ha detto martedì che gli argomenti citati dagli avvocati di El Chapo erano «preoccupazioni valide», ma ha aggiunto di voler comunque mantenere il processo a Brooklyn. Il giudice Cogan ha anche detto che sta lavorando con le autorità locali per trovare una soluzione al problema, anche se per ora non sono state presentate proposte concrete.
El Chapo, 61 anni, è probabilmente il narcotrafficante più famoso dai tempi di Pablo Escobar, il colombiano che negli anni Settanta e Ottanta inventò il moderno traffico di droga; ed è certamente quello con la vita più rocambolesca. Nacque negli anni Cinquanta in un paesino piuttosto isolato dello stato del Sinaloa, uno dei più poveri di tutto il Messico. All’epoca quasi tutte le famiglie di piccoli agricoltori, come i Guzmán Loera, integravano i pochi guadagni che ottenevano dai campi coltivando oppio e marijuana. El Chapo lasciò la scuola in terza elementare per aiutare la sua famiglia e divenne presto molto bravo nel gestire la “seconda impresa”, quella della droga. Negli anni Ottanta cominciò a lavorare come “controllore aereo” per un’organizzazione criminale che trasportava droga negli Stati Uniti usando una flotta di piccoli aeroplani, e poi divenne lui stesso leader di un altro gruppo. Col passare degli anni divenne sempre più potente e conosciuto, e la sua organizzazione criminale sempre più violenta. Nel 2012 il dipartimento del Tesoro statunitense lo definì il trafficante di droga più potente al mondo.
Le autorità messicane lo cercarono per molti anni prima di riuscire ad arrestarlo, anche perché, come ha scritto il giornalista Patrick Keefe in lungo articolo pubblicato sul New Yorker, nello stato di Sinaloa aveva una fama «simile a quella di Zorro». Dopo due evasioni riuscite, El Chapo è stato arrestato di nuovo dalle autorità messicane e nel gennaio 2017 estradato negli Stati Uniti, dove è accusato di riciclaggio di denaro, traffico di droga, sequestro di persona e omicidio.