La cosa costruita dall’umanità che si avvicinerà di più al Sole
È la sonda Parker Solar Probe, che la NASA spedirà nello Spazio domenica dopo un problema al primo lancio
Sabato la NASA avrebbe dovuto lanciare la sonda Parker Solar Probe, la più importante mai realizzata per analizzare il Sole, ma il lancio è stato posticipato a causa di un problema tecnico. I tecnici della NASA si sono accorti che il razzo che doveva portare la sonda nello Spazio aveva un problema quando il conto alla rovescia per il lancio da Cape Canaveral, in Florida, era già cominciato: dato che il problema non è stato risolto entro i 65 minuti in cui le condizioni meteorologiche sarebbero rimaste favorevoli per il lancio, tutto è stato posticipato di 24 ore. Dovrebbe quindi avvenire domani mattina.
Parker Solar Probe è stata progettata per studiare il vento solare, il flusso di particelle cariche emesso dall’alta atmosfera del Sole che in periodi di alta attività della stella raggiunge la Terra causando, oltre alle aurore polari, interferenze e problemi di comunicazione, soprattutto ai nostri satelliti. Non andrà a finire sulla sua incandescente superficie ma ci si avvicinerà fino a una distanza di 6,2 milioni di chilometri, cioè molto vicino in termini astronomici. Il Sole ha un diametro di 1,39 milioni di chilometri ed è a quasi 150 milioni di chilometri da noi. Per capire meglio cosa significa, considerate che se la distanza tra la Terra e il Sole fosse di un metro, Parker Solar Probe arriverebbe a soli quattro centimetri dal Sole.
Finora la sonda che più di tutte si era avvicinata al Sole era stata Helios-2, nel 1976: era arrivata a 43 milioni di chilometri dalla stella. Parker Solar Probe diventerà inoltre l’oggetto costruito dall’umanità a muoversi più velocemente della storia: arriverà alla velocità di 190 chilometri al secondo, cioè 609mila all’ora. La sua missione fu pensata per la prima volta 60 anni fa, ma all’epoca non c’erano ancora le tecnologie necessarie per far resistere un oggetto alle temperature della corona solare; sarebbe dovuta partire quasi dieci anni fa, ma poi ci furono vari ritardi per ragioni finanziarie.
Il razzo che manderà la sonda nello Spazio è un Delta-IV Heavy. La lancerà verso l’interno del Sistema Solare in modo da farle oltrepassare Venere in sei settimane e arrivare vicino al Sole dopo altre sei settimane. La sua missione durerà sette anni, durante i quali Parker Solar Probe farà 24 giri attorno alla nostra stella. Sarà alimentata, comprensibilmente, dall’energia solare e per resistere ai più di 1.000°C della corona solare ed evitare di essere distrutta dovrà sempre tenere orientato tra sé e il Sole uno scudo fatto di un composto del carbonio spesso 11,5 centimetri (si vede nella fotografia sopra), che manterrà la sonda a 30°C. I suoi pannelli fotovoltaici, che per funzionare dovranno esporsi fuori dallo scudo, saranno raffreddati da un circuito ad acqua.
L’ESA, l’Agenzia Spaziale Europea, ha in programma una missione molto simile a quella di Parker Solar Probe: si chiama Solar Orbiter (solitamente abbreviato in SolO) e dovrebbe essere lanciata nel 2020. La sonda arriverà a 42 milioni di chilometri dalla superficie del Sole più o meno verso la fine della missione di Parker Solar Probe. Non studierà le stesse cose della sonda della NASA ma raccoglierà dati complementari a quelli raccolti da Parker Solar Probe e potrà catturare immagini dirette del Sole dato che si troverà a una distanza maggiore.
Parker Solar Probe è stata chiamata così in onore del fisico Eugene Parker, che in un articolo scientifico del 1958 intitolato “Dynamics of the interplanetary gas and magnetic fields” ipotizzò per la prima volta l’esistenza di quello che poi fu chiamato “vento solare”. Sulla sonda si trova una memory card che contiene alcune fotografie di Parker, una copia del suo articolo del 1958 e i nomi di 1,1 milioni di persone appassionate di Spazio che hanno partecipato a un’iniziativa di comunicazione della NASA. Parker è la prima persona ancora in vita a cui la NASA dedica una sua missione; attualmente ha 91 anni ed è professore emerito all’Università di Chicago.