Il taglio al fondo per le periferie, spiegato
Il governo ha deciso di bloccare per due anni 1,6 miliardi di euro destinati a riqualificare le aree degradate (e l'opposizione per sbaglio ha votato a favore)
Il governo ha deciso di bloccare per due anni più di un miliardo e mezzo di euro destinati a progetti di riqualificazione delle periferie, un fondo che era stato approvato dai governi Renzi e Gentiloni. L’Associazione nazionale dei comuni italiani (ANCI) ha criticato duramente la decisione definendola un «furto» e decine di sindaci, compresi alcuni appartenenti alla Lega, hanno protestato.
La decisione di sospendere il fondo è stata presa lunedì 6 agosto quando il Senato, con il parere favorevole del governo, ha approvato all’unanimità un emendamento al cosiddetto “decreto milleproroghe”. Anche il PD e Liberi e Uguali hanno votato a favore dell’emendamento, nonostante il piano fosse stato approvato dai precedenti governi di centrosinistra. Per spiegare l’errore, alcuni senatori del PD hanno definito l’emendamento “involuto” e “truffaldino” (il testo, che potete trovare qui, sembra in realtà abbastanza chiaro, un dettaglio confermato al Post da diversi esperti della materia). Per diventare definitivo l’emendamento dovrà essere confermato dalla Camera alla ripresa dei lavori parlamentari il prossimo settembre.
Il capo politico del Movimento 5 Stelle Luigi Di Maio ha negato completamente l’episodio e ha dichiarato: «Non abbiamo bloccato i fondi per le periferie, i fondi alle periferie sono sbloccati da quell’emendamento». Non è vero, come dimostra il testo dell’emendamento dove si legge che le «convenzioni» relative al bando per la riqualificazione delle periferie sono «differite all’anno 2020». Significa che le “convenzioni”, che non sono altro che i “contratti” con cui il governo si impegna a dare ai comuni il denaro necessario a realizzare i progetti approvati, rimarranno bloccati fino al 2020.
Il denaro che sarebbe dovuto andare agli interventi sulle periferie è stato spostato verso un’altra voce di bilancio con cui lo stato vuole finanziare un intervento che permetterà ai comuni di utilizzare gli avanzi di bilancio bloccati dal “patto di stabilità”. Quest’anno i comuni si attendevano entrambi gli interventi: il finanziamento per i progetti di riqualificazione delle periferie e, contemporaneamente, lo sblocco degli avanzi di bilancio (una misura simile era stata già varata dai governi precedenti, quindi era doppiamente attesa). Il fatto che gli stanziamenti previsti per la prima siano stati usati per coprire parte della seconda è stata una completa sorpresa per i comuni e rischia di causare molti problemi.
Il fondo che è stato sospeso dall’emendamento nasce da un bando approvato dal governo Renzi nel 2016 a cui potevano partecipare comuni e città metropolitane presentando progetti per riqualificare aree periferiche degradate. Alla fine del 2016 il governo pubblicò la graduatoria dei 120 progetti selezionati. I primi 24 vennero immediatamente finanziati con 500 milioni di euro, i restanti 96, che costavano un totale di 1,6 miliardi di euro, furono invece finanziati nella seconda metà del 2017.
L’emendamento approvato lunedì ha sospeso per due anni questa seconda tranche di finanziamenti, lasciando invece inalterata la prima. Per i comuni coinvolti si tratta di un grosso problema. Al Post risulta ad esempio che alcuni comuni (come quello di Arezzo) abbiano già iniziato i lavori previsti dal piano. Molti altri hanno già speso il denaro necessario a realizzare la progettazione degli interventi, una procedura che tra l’altro è costosa e complessa e prevede gare d’appalto per affidare i lavori (il governo ha annunciato che queste spese saranno rimborsate). I progetti, inoltre, sono co-finanziati da investitori privati e da altri enti locali, che in tutto avevano già promesso di investire circa due miliardi di euro aggiuntivi per i diversi progetti. La sospensione del fondo rischia di spingere i privati a ritirarsi, rendendo quindi inutile l’intera progettazione già realizzata, che resterebbe sprovvista di coperture.
Tra i progetti a rischio ci sono quelli da 18 milioni di euro del comune di Milano, quelli da 58 milioni di euro del comune di Catanzaro e quelli da 40 milioni per la città metropolitana di Genova e per il comune di Messina, oltre a molti altri. I tagli sono stati contestati da sindaci e amministratori locali e regionali del PD, di Forza Italia, del Movimento 5 Stelle e della Lega, come il sindaco di Terni. Il presidente dell’ANCI, il sindaco di Bari Antonio Decaro, ha definito l’emendamento un “furto con destrezza” a danno dei comuni.
La sottosegretaria all’Economia, Laura Castelli, esponente del Movimento 5 Stelle, ha invece difeso l’emendamento con un lungo comunicato stampa in cui scrive, tra le altre cose, che il governo è intervenuto per «dare attuazione alla sentenza della Corte costituzionale n. 74 del 2018». Secondo Castelli, la sentenza stabilisce che i progetti per i quali il governo aveva già sottoscritto le convenzioni dovevano essere nuovamente valutati per stabilire se «abbiano davvero una funzione di rilancio per le periferie». In realtà, la sentenza citata da Castelli riguarda tutt’altro argomento. Deriva da un ricorso della regione Veneto che lamentava come una serie di fondi venissero utilizzati anche in ambiti di competenza delle regioni, ma senza che queste ultime venissero consultate. Tra questi fondi rientrava anche quello previsto dalla prima tranche di finanziamento ai comuni, quella che non è stata toccata dall’emendamento. Non rientra nella sentenza invece la seconda tranche, quella rimandata al 2020. Al Post risulta comunque che le richieste della regione Veneto siano state soddisfatte e che i lavori per i progetti della prima tranche procedano regolarmente.
Le ragioni che hanno spinto il governo ad approvare l’emendamento rimangono poco chiare. Alcuni sostengono che il finanziamento del piano periferie sia stato bloccato per mancanza di fondi: non c’erano risorse disponibili per finanziare sia il piano che lo sblocco degli avanzi di bilancio, così il governo ha deciso di privilegiare quest’ultimo. Secondo alcuni esponenti del PD si tratta di una misura punitiva nei confronti dei comuni guidati dal centrosinistra, che sarebbero la maggioranza dei 96 che hanno presentato piani per ottenere i finanziamenti.