Il dilemma delle aziende europee che fanno affari in Iran
La reintroduzione delle sanzioni statunitensi ha complicato non poco le cose: e per le società europee è come stare tra due fuochi
Lunedì gli Stati Uniti hanno reintrodotto alcune delle sanzioni commerciali all’Iran che erano state sospese nel 2015, a seguito della firma dell’accordo sul nucleare iraniano. La reintroduzione delle sanzioni, frutto del ritiro degli Stati Uniti dall’accordo, era stata ampiamente annunciata dal presidente statunitense Donald Trump, nonostante l’opposizione di molti capi di stato e di governo europei. Per l’Europa il problema non è solo di immagine – far saltare l’accordo sul nucleare significa mandare all’aria anni di faticosi negoziati e indebolire la credibilità dell’Europa di fronte a stati terzi – ma anche economico: le sanzioni americane, infatti, potrebbero danneggiare le aziende europee che dopo la firma dell’accordo avevano iniziato a investire nel paese. Martedì, per esempio, Trump ha fatto un tweet in cui dice: «Chiunque faccia affari con l’Iran non farà affari con gli Stati Uniti».
The Iran sanctions have officially been cast. These are the most biting sanctions ever imposed, and in November they ratchet up to yet another level. Anyone doing business with Iran will NOT be doing business with the United States. I am asking for WORLD PEACE, nothing less!
— Donald J. Trump (@realDonaldTrump) August 7, 2018
Lunedì Federica Mogherini, Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, ha diffuso un comunicato congiunto con i ministri degli Esteri francese, Jean-Yves Le Drian, tedesco, Heiko Maas, e britannico, Jeremy Hunt, in cui si legge: «Siamo determinati a proteggere gli operatori economici europei nei loro affari legittimi con l’Iran». In effetti la Commissione europea ha già iniziato ad adottare alcune contromisure per evitare conseguenze troppo negative sulle attività delle aziende europee in Iran, in particolare riattivando il cosiddetto “blocking statute”, un regolamento risalente agli anni Novanta che, almeno sulla carta, dovrebbe permettere alle società europee di ignorare le nuove sanzioni statunitensi senza il rischio di essere a loro volta penalizzate. Diversi esperti ritengono però che le misure adottate dall’Unione Europea non siano sufficienti e che la reintroduzione delle sanzioni statunitensi finirà per danneggiare seriamente diversi operatori economici europei.
La questione non è semplice, soprattutto per la struttura delle sanzioni americane, molto diversa da quella delle sanzioni europee.
Il problema delle sanzioni americane risiede nella loro “extraterritorialità”. Mentre le sanzioni europee possono essere applicate solo alle aziende e ai cittadini europei, per quelle statunitensi il discorso è diverso, perché sono fatte di due componenti. C’è una componente primaria che si applica a cittadini e aziende americane, a cui è imposto il divieto di commerciare e di sbloccare i conti di particolari individui del paese che si vuole colpire. C’è poi una componente secondaria, extraterritoriale, che si rivolge a soggetti non americani: prevede che qualsiasi società, ovunque abbia la sede, debba rispettare le sanzioni americane quando vengono usati i dollari per compiere le transazioni, e quando le stesse aziende hanno succursali negli Stati Uniti o sono controllate da americani.
Il risultato è che alcune grandi aziende europee proveranno ad aggirare i limiti imposti per esempio facendo le transazioni direttamente in euro, ma potrebbe non bastare. I margini di manovra della UE per proteggere le sue aziende sono molto limitati. I problemi sono essenzialmente due, entrambi importanti.
Il primo riguarda il piano annunciato dalla Commissione europea per prevenire il collasso dell’accordo sul nucleare, scenario praticamente inevitabile in caso di fuga delle aziende europee arrivate in Iran dopo la firma dell’accordo. Al centro del piano c’è la riattivazione del cosiddetto “blocking statute”, una misura usata dall’Europa nel 1996 per neutralizzare gli effetti extraterritoriali delle sanzioni americane sulle società europee che volevano investire in Libia, Iran e Cuba, tutti paesi allora presi di mira dagli Stati Uniti. La misura fu introdotta per tutelare i cittadini europei danneggiati dalle aziende che decidevano di rispettare le sanzioni extraterritoriali: quindi se un’azienda stava facendo affari in Iran non poteva smettere nel caso in cui la motivazione fosse stata legata agli effetti delle sanzioni americane. Il fatto è che da allora a oggi sono stati pochi i paesi europei ad avere adottato leggi nazionali per implementare la misura, e solo uno, l’Austria, ha iniziato un procedimento contro una società che ha violato il “blocking statute” – procedimento peraltro poi abbandonato.
Come ha spiegato il sito Euractiv, l’Unione Europea può anche decidere di autorizzare «eccezionalmente» un operatore economico a rispettare le sanzioni americane in violazione del “blocking statute”, nella misura in cui facendo il contrario ci sarebbe il rischio di colpire gli interessi dell’azienda stessa o dell’Unione Europea. Finora, comunque, la Commissione Europea non ha ricevuto alcuna richiesta di questo tipo.
Il secondo problema è che, anche aggirando le nuove sanzioni imposte all’Iran, ci sono altri problemi: da anni sono in vigore altre sanzioni – queste mai rimosse – approvate contro l’appoggio dato dal governo iraniano a gruppi considerati terroristici, come il libanese Hezbollah. I soggetti più colpiti da queste sanzioni sono stati i soldati delle Guardie rivoluzionarie, un corpo militare iraniano d’élite molto vicino agli ambienti più conservatori del regime e legato direttamente ad Ali Khamenei, la Guida suprema, la carica politica e religiosa più importante del paese. Il fatto è che le Guardie rivoluzionarie sono potentissime e dominano i settori più strategici dell’economia iraniana: per molte aziende europee fare affari in Iran comporta il rischio di imbattercisi, che significa ogni volta il rischio di essere colpite a loro volta dalle sanzioni americane.
È ancora presto per dire quali saranno le conseguenze delle sanzioni statunitensi sulle aziende europee che dopo l’accordo del 2015 avevano iniziato a investire in Iran. L’impressione, comunque, è che abbiano due possibilità: o rispettare le sanzioni americane e affrontare le conseguenze in Europa per avere violato il “blocking statute”, oppure continuare a fare affari in Iran rischiando di essere colpite dalle sanzioni approvate dagli Stati Uniti.