L’Italia è diventata un paese razzista?
Se n'è parlato per le recenti notizie di aggressioni contro neri e stranieri: siamo andati a vedere i numeri e ci sono brutte notizie e altre che fanno ben sperare
di Davide Maria De Luca – @DM_Deluca
Nelle ultime settimane una sequenza di aggressioni violente a danno di neri, rom e stranieri ha occupato le prime pagine dei giornali italiani. Uno dei casi più gravi è stato quello di una bambina rom colpita alla schiena da un proiettile sparato da una pistola ad aria compressa, lo scorso 18 luglio. Oggi la bambina rischia lesioni permanenti alla spina dorsale. Negli ultimi giorni si è parlato invece dell’aggressione subita dall’atleta Daisy Osakue, che a Torino è stata ferita ad un occhio dal lancio di un uovo e ora rischia di non poter partecipare agli Europei di atletica. Di casi simili, comunque, ce ne sono stati diversi.
Il giornalista Luigi Mastrodonato ha messo insieme 33 aggressioni a sospetta matrice razziale o xenofoba avvenuti negli ultimi due mesi e li ha inseriti in una mappa: cliccando su ciascun segnaposto si possono leggere i dettagli di ciascuna aggressione (cliccando in alto a sinistra c’è la legenda, che spiega i diversi colori dei segnaposto).
«Il veleno del razzismo continua a creare barriere nella società», ha commentato il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che sul tema delle aggressioni è intervenuto diverse volte nelle ultime settimane. Il PD ha annunciato che organizzerà una grande manifestazione anti-razzista per settembre, e ha aggiunto che durante le feste dell’Unità di quest’estate si celebreranno “mille iniziative antirazziste“. L’UNHCR, l’organizzazione delle Nazioni Unite incaricata di proteggere i rifugiati, ha espresso «profonda preoccupazione per il crescente numero di attacchi nei confronti di migranti, richiedenti asilo, rifugiati e cittadini italiani di origine straniera». Molti altri in questi giorni hanno iniziato a chiedersi se l’Italia non sia diventata un paese razzista e intollerante e se il nuovo governo non abbia una responsabilità per quello che sta accadendo.
I numeri delle aggressioni
Le accuse hanno provocato una forte reazione nella maggioranza di governo e nei media che gli sono vicini. Il ministro dell’Interno Matteo Salvini ha detto che «non esiste alcuna emergenza» e che, in ogni caso, la colpa è della «immigrazione di massa permessa dalla sinistra negli ultimi anni». Anche il capo politico del Movimento 5 Stelle, Luigi Di Maio, ha detto che non c’è alcuna emergenza, mentre per il quotidiano La Verità «è il Pd che istiga all’odio razziale». Secondo Il Giornale, «non c’è emergenza xenofobia» e «il trend di aggressioni e di atti discriminatori nei confronti di extracomunitari si mantiene costante di anno in anno». Al centro dello scontro sembrano esserci quindi i numeri e le statistiche sulle aggressioni subite da stranieri o persone che semplicemente appaiono diverse, con le forze di maggioranza che sostengono che i crimini d’odio non siano affatto aumentati e i partiti di opposizione e una parte della società civile che sostengono il contrario.
Non è facile stabilire chi ha ragione e, in ogni caso, contare il numero di aggressioni non è una misura sufficiente per concludere se e quanto l’Italia sia divenuta un paese più intollerante di come lo era prima.
È comunque possibile partire da alcuni punti fermi: in Italia, come in altri grandi paesi europei, i crimini d’odio motivati da ragioni etniche, religiose e razziali sono in aumento da anni, anche se le cause di questo incremento sono difficili da stabilire. Il problema principale è che in Italia non esiste una banca dati centralizzata che raccoglie statistiche di crimini motivati da odio razziale (una categoria ampia, che include sia le aggressioni di cui si è parlato in queste settimane, sia tutti gli altri atti di discriminazione che costituiscono reato), né esiste un’agenzia pubblica incaricata di monitorare il fenomeno e produrre rapporti periodici. Un problema di cui ha scritto tra gli alti il giornalista Lillo Montalto sul sito Euronews. La comparazione con Francia e Regno Unito è abbastanza impietosa. Il governo francese produce un rapporto annuale che quest’anno è lungo ben 412 pagine. Quello britannico realizza un rapporto annuale più sintetico, 33 pagine, ma ugualmente ricco di dati e statistiche. In Italia l’unico documento ufficiale disponibile è un PDF di tre pagine che raccoglie tutti i dati dal 2010 al 2017.
Per farsi un’idea di quel che accade nel nostro paese è quindi necessario districarsi in una giungla di dati, spesso incompleti, parziali e difficile da paragonare, che provengono da fonti governative e ministeriali, istituzioni internazionali e organizzazioni non governative. Un parziale tentativo di rimediare a questa lacuna è stato fatto nel 2010 con la creazione dell’Osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori (OSCAD), una piccola struttura del ministero dell’Interno che non ha nemmeno un suo sito internet. L’unico documento realizzato dall’OSCAD disponibile online è il documento di tre pagine che raccoglie tutte le segnalazioni ricevute dall’Osservatorio fino al 31 dicembre 2017: un totale di 2.030 (più del 60 per cento delle quali sono motivate da razzismo e xenofobia). Il sistema usato dal’OSCAD è particolarmente rigido e include nel suo conteggio soltanto quei reati che le forze di polizia catalogano come “crimini d’odio” (l’OSCAD si limita a raccogliere le denunce di questo tipo dal database delle forze dell’ordine).
L’attacco subito da Daisy Osakue, ad esempio, non sarebbe incluso in queste statistiche, poiché non è stato classificato come attacco motivato dall’odio, anche se la stessa Osakue ha spiegato che probabilmente i suoi aggressori volevano colpire una delle ragazze di origine nigeriana che sono spesso costrette a prostituirsi nella zona dove è avvenuta l’aggressione. Un tentativo di raccogliere informazioni più ampio e flessibile è quello realizzato dall’associazione Lunaria, che pubblica il rapporto “Cronache di ordinario razzismo“, basato sulle segnalazioni di aggressioni razziste e xenofobe comparse sulla stampa. I numeri che riporta sono molto più alti di quelli dell’OSCAD. Dal gennaio 2007 al marzo 2018, Lunaria ha individuato 6.534 episodi di razzismo, 557 nel 2017 e 169 nei primi tre mesi del 2018. Basandosi solo su dati provenienti dalla stampa, però, questa banca dati deve essere usata con prudenza.
Per avere un’idea più precisa bisogna quindi affidarsi a un ulteriore set di dati, quello raccolto dall’Ufficio per le istituzioni democratiche e i diritti umani (ODIHR) dell’OSCE, l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa. I dati elaborati dall’ODIHR provengono dall’OSCAD e dal ministero dell’Interno (e, quindi, come nota lo stesso ODIHR, soffrono delle stesse limitazioni). La sua banca dati però è una delle pochissime che mostrano il numero di episodi di crimini motivati dall’odio su base annuale e quindi permette di valutare se questo tipo di crimini sia in aumento o in diminuzione. Secondo l’ODIHR, i reati motivati dall’odio sono passati da 71 nel 2012 a 803 nel 2016 (il dato 2012, però, potrebbe essere particolarmente basso a causa di problemi nel sistema di rilevazione). Più della metà di questi episodi sono indicati come crimini legati a razzismo o xenofobia.
Quello che emerge da questo quadro di dati incompleto e lacunoso è che i crimini motivati dall’odio appaiono in aumento, ma che questo aumento è iniziato molto prima dell’insediamento del nuovo governo. È un fenomeno di lungo periodo che appare indirettamente confermato anche dai risultati della Commissione “Jo Cox” sull’intolleranza, la xenofobia, il razzismo e i fenomeni di odio, una Commissione parlamentare che ha svolto i suoi lavori nel corso dell’ultima legislatura. La Commissione sostiene che la diffusione di discorsi d’odio e xenofobi – che costituiscono in tutta Europa la parte più significativa dei crimini motivati dall’odio – ha conosciuto negli ultimi una vera e propria “esplosione” sui social network, che ha influenzato anche la stampa nazionale. Quello che sembra più difficile stabilire con i dati attualmente a disposizione è se l’insediamento dell’attuale governo abbia prodotto una ulteriore accelerazione di questo trend (non è assurdo ipotizzare una qualche tipo di connessione: ci arriviamo).
Considerando quindi i dati a nostra disposizione, cosa possiamo dire se li confrontiamo con quelli del resto d’Europa?
I crimini d’odio in Europa
La difficoltà nell’ottenere dati sul fenomeno dei crimini d’odio emerge nuovamente quando si tenta una comparazione internazionale. La definizione di crimini d’odio è diversa da paese a paese, così come la sensibilità delle forze dell’ordine e della magistratura nei confronti di questo tema. Di conseguenza, le statistiche variano enormemente e sono difficili da comparare le une con le altre. Si può dire però qualcosa sul trend all’interno di ciascun paese: l’andamento dei crimini d’odio è in crescita da anni in tutti i principali paesi europei, anche se è difficile stabilire quanto questo aumento sia dovuto a una moltiplicazione effettiva dei reati e quanto invece alla maggior facilità per le vittime di denunciarli. Un altro elemento che emerge dai dati è che in Italia vengono denunciati meno crimini d’odio rispetto agli altri grandi paesi europei.
In Francia, i dati sui crimini d’odio sono raccolti ogni anno dalla Commission Nationale Consultative des Droits de l’Homme. Nel suo ultimo rapporto, la commissione riporta che nel 2017 ci sono state 8.700 denunce per atti discriminatori (nel 2016, 7.664 casi sono stati riferiti alla magistratura, mentre secondo l’ODIHR nello stesso periodo in Italia sono stati 803). Tra queste 8.700 denunce, 950 erano costituite da minacce o vere e proprie aggressioni fisiche e altri tipi di violenza. Secondo la commissione, se si esclude il picco di crimini registrato nel 2015 (quello degli attentati terroristici a Parigi contro i giornalisti della rivista Charlie Hebdo e gli spettatori del teatro Bataclan), i crimini d’odio sono in crescita da diversi anni. Come l’Italia, anche la Francia utilizza categorie piuttosto rigide per compilare le sue statistiche: un crimine viene ritenuto crimine d’odio solo se corrisponde a una specifica fattispecie di reato. I numeri, anche se più alti rispetto al nostro paese, appaiono quindi paragonabili.
Il Regno Unito invece utilizza una definizione più flessibile. Non si considera l’aderenza a una specifica fattispecie di reato, ma la valutazione viene lasciata alle forze di polizia e ai giudici che, dal 2007, considerano crimine d’odio «ogni reato che viene percepito dalla vittima o da qualsiasi altra persona come motivato da ostilità o pregiudizio». Nei documenti ufficiali, quindi, gesti come dipingere graffiti razzisti vengono esplicitamente considerati crimini d’odio. Anche a causa di questi criteri più elastici, il numero di crimini d’odio nel Regno Unito risulta molto alto. Tra marzo 2016 e marzo 2017, l’Home Office ha riportato quasi 70 mila casi, una cifra praticamente raddoppiata rispetto al 2011-2012. Questo metodo di conteggio contribuisce a fornire statistiche particolarmente alte anche per le aggressioni violente. Tra 2016 e 2017 ce ne sono state ben 4.750 che hanno causato danni fisici alle vittime.
Le comparazioni tra diversi paesi mostrano anche un altro elemento. Sia in Francia che nel Regno Unito i dati su base mensile mostrano che la quantità di crimini d’odio denunciati è direttamente influenzata dagli avvenimenti politici e di cronaca. In Francia, ad esempio, questo tipo di crimine è aumentato in corrispondenza di attentati compiuti da fondamentalisti islamici, mentre nel Regno Unito sono aumentati durante la campagna per il referendum su Brexit. Non sembra quindi assurdo ipotizzare che le statistiche in futuro mostreranno un incremento nel nostro paese in corrispondenza di avvenimenti politici che hanno avuto un simile impatto.
Come si misura il razzismo?
Con i pochi dati a nostra disposizione è difficile poter fare una comparazione internazionale affidabile, ma si possono comunque stabilire alcuni punti fermi. L’Italia sembra essere un paese dove i crimini d’odio motivati da razzismo e xenofobia sono in lenta crescita, anche se non sembrano aver raggiunto i livelli toccati da paesi come Francia e Regno Unito. È difficile però farsi un’idea precisa del fenomeno, viste le profonde differenze nei sistemi di classificazione di questo tipo di reati e vista l’arretratezza del nostro paese nella raccolta dei dati. Inoltre, è possibile che una parte delle differenze nei numeri si spieghi con la maggiore o minore propensione delle vittime a denunciare.
Ma se in queste settimane sono state soprattutto le statistiche sulle aggressioni ad aver attirato l’attenzione, i numeri dei crimini d’odio non sono sufficienti a misurare se e quanto un paese è razzista o xenofobo. In altre parole, non esiste una risposta univoca alla domanda: come si misura il razzismo?
È un problema che media, accademici e politici cercano da tempo di affrontare, anche se le ricerche sul tema sono ancora relativamente poche. Uno dei pochi studi che cercano di fare chiarezza in questo campo è stato realizzato nel 2011 dall’Università di Amsterdam insieme all’Università di Oslo e al Pacific Graduate Institute in California. Lo studio ha portato all’elaborazione di un “indice transnazionale della xenofobia basata sulla paura”. Gli autori dello studio hanno limitato lo scopo della loro ricerca alla componente della xenofobia basata sulla paura, escludendo quella spesso altrettanto importante dell’odio e del disprezzo.
Secondo i ricercatori, il modo migliore di misurare questo tipo di xenofobia è sottoporre a un campione rappresentativo della popolazione in esame un elevato numero di domande e quindi “pesare” queste domande in maniera differente. I ricercatori hanno spiegato che dire di essere d’accordo con un’affermazione come «l’immigrazione è fuori controllo» non è necessariamente sintomo di un alto livello di xenofobia, mentre bisogna avere convinzioni più radicate per approvare una frase come «mi sento a disagio ad avere a che fare con gli stranieri». In Italia, nessuno ha ancora realizzato una ricerca che abbia come linea guida l’indice elaborato dai ricercatori, ma nel corso degli anni sono stati realizzate decine di sondaggi che ponevano agli intervistati domande simili. Interpretando i risultati sulla base delle conclusioni dello studio emerge un quadro per certi versi sconfortante, ma con alcuni margini di interpretazione.
Come ha notato Davide Mancino, giornalista esperto di analisi dei dati che ha messo insieme i risultati di numerosi sondaggi realizzati dal Pew Reasearch Center, l’Italia risulta sistematicamente uno dei paesi con le opinioni più negative nei confronti degli stranieri e delle persone di religione ebraica e musulmana. Gli italiani, più di britannici, francesi e tedeschi, ritengono l’immigrazione un problema. Percentuali molto elevate chiedono controlli più severi alle frontiere e ritengono l’impatto complessivo dell’immigrazione negativo.
I dati del Pew Research Center sono confermati anche da altri sondaggi, come quelli presentati nell’ultimo Eurobarometro speciale sull’immigrazione, un sondaggio realizzato dalla Commissione Europea. Secondo l’Eurobarometro, l’opinione degli italiani sull’immigrazione e sugli stranieri è quasi sempre poco più negativa della media europea e in molti casi decisamente più negativa. Gli italiani forniscono risposte più simili a quelle degli abitanti dell’Europa sud-orientale (greci, bulgari, ungheresi e rumeni) e molto più negative di quelle espresse degli abitanti dell’Europa settentrionale. Anche portoghesi e spagnoli risultano essere sistematicamente più aperti degli italiani.
La maggior parte delle domande di questi test, però, è abbastanza generica. Secondo gli autori dello studio che ha elaborato l’indice di xenofobia, le domande rilevano più che altro convinzioni non troppo radicate. Sostenere che l’immigrazione sia un problema oppure che le frontiere dovrebbero essere controllate in maniera più sicura, sostengono i ricercatori, è esattamente il tipo di affermazioni che non necessariamente indica un alto livello di xenofobia. Il quadro appare più positivo quando le domande poste nel corso dei sondaggi sono più specifiche e in cui si chiede agli intervistati di prendere posizioni più nette. Un recente e discusso studio realizzato da IPSOS Mori e More in Common, un’associazione no profit che lotta contro la xenofobia, mostra che alle affermazioni più “pesanti”, che indicano alti livelli di xenofobia, la risposta degli italiani è meno netta.
Ad esempio, il 72 per cento degli italiani sentiti sostiene il principio dell’asilo politico e il diritto di chi fugge da guerre o persecuzioni di trovare rifugio in altri paesi, compresa l’Italia (solo il 9 per cento è contrario a questo principio). Il 41 per cento sostiene di essere solidale con i rifugiati, mentre solo il 29 per cento dice di essere distaccato e il 27 per cento dice di essere neutrale. Se si parla di migranti in generale, solidali e distaccati si equivalgono intorno al 30 per cento. Ancora più inaspettato è il numero di italiani che dicono di essere preoccupati dal clima di crescente razzismo e discriminazione che si percepisce in Italia: il 61 per cento del totale dice di essere preoccupato, mentre soltanto il 17 per cento sostiene di non esserne allarmato. Infine, messi di fronte alla scelta tra movimenti in difesa della nazione e movimenti a favore dei diritti umani, solo l’11 per cento sceglie i primi, mentre più del triplo opta per i secondi.
Oggi alla domanda “l’Italia è diventato un paese razzista?” non esiste quindi una risposta netta. Le statistiche sui crimini d’odio sono lacunose e incomplete, ma dai pochi dati a disposizione si può dire che questo tipo di reati è in aumento, come in molti altri paesi europei, anche se non sembra ancora aver raggiunto i livelli di Francia e Regno Unito. Non sappiamo se le posizioni anti-immigrazione del nuovo governo e la retorica xenofoba che ha attraversato la campagna elettorale abbiano prodotto un aumento di queste violenze, ma le esperienze di Francia e Regno Unito fanno pensare che sia possibile.
Questi dati però raccontano solo una parte della storia. Le ricerche realizzate fino ad ora indicano che gli italiani hanno una percezione particolarmente negativa di immigrati e stranieri, ma questo non significa automaticamente che l’Italia sia divenuta un paese xenofobo: moltissimi italiani credono ancora nel rispetto dei diritti umani e nel principio della solidarietà, e la maggior parte di loro sembra accogliere il clima ostile che si respira nei confronti degli stranieri con timore, più che con sollievo.