Una nave commerciale italiana ha soccorso 108 migranti e li ha riportati in Libia
Non era mai successo ed è una violazione del diritto internazionale: non è ancora chiaro di chi sia la responsabilità dell'accaduto
Lunedì una nave battente bandiera italiana, la Asso 28, ha soccorso 108 migranti che avevano lasciato la Libia a bordo di un gommone, diretti verso le coste italiane. Secondo le prime ricostruzioni – della giornalista Alessandra Ziniti e del capo della ong spagnola Proactiva Open Arms, Oscar Camps, tra gli altri – i migranti sarebbero stati soccorsi in acque internazionali (le autorità italiane non hanno ancora confermato la storia). Invece che essere portati in Italia o in un altro “porto sicuro”, come stabiliscono diverse norme internazionali, la Asso 28 ha riportato i migranti a Tripoli, in Libia, in chiara violazione del diritto internazionale. È la prima volta che succede una cosa del genere, considerata molto grave da diversi osservatori, perché minerebbe alle fondamenta il diritto d’asilo.
Ziniti ha raccontato su Repubblica come potrebbero essere andati i fatti. La nave che ha soccorso i migranti in difficoltà è stata la Asso 28, una nave di supporto a una piattaforma petrolifera. Dopo avere trasportato a bordo i migranti, il comandante di Asso 28 avrebbe contattato il Centro di coordinamento del soccorso marittimo (MRCC) di Roma per sapere cosa fare: gli sarebbe stato detto di coordinarsi con la Guardia costiera libica, che gli avrebbe dato l’indicazione di riportare i migranti in Libia. Il comandante a quel punto avrebbe deciso di tornare verso Tripoli. Non ci sono ancora conferme che sia effettivamente andata così: la Asso 28 potrebbe avere deciso di contattare direttamente i libici e tagliare fuori il passaggio del MRCC italiano, come sembra suggerire anche un post pubblicato su Facebook dal ministro dell’Interno italiano, Matteo Salvini, che ha smentito che la Guardia costiera italiana abbia partecipato al coordinamento dei soccorsi.
In entrambi i casi il problema è che per il diritto internazionale – norme che l’Italia ha accettato, e che quindi è obbligata a rispettare – quello che ha fatto la Asso 28 non si può fare. La cosiddetta convenzione di Amburgo del 1979 e altre norme sul soccorso marittimo prevedono che gli sbarchi debbano avvenire nel primo “porto sicuro” sia per prossimità geografica sia dal punto di vista del rispetto dei diritti umani: è per questo motivo che i migranti non vengono riportati in Libia, un paese dove negli ultimi anni sono stati creati centri di detenzione senza regole, spesso gestiti da milizie armate e dagli stessi trafficanti, dove i migranti vengono torturati, venduti come schiavi e le donne stuprate.
Le informazioni disponibili su quanto accaduto a bordo della Asso 28 sono ancora troppo poche per stabilire di chi siano le responsabilità. Secondo Matteo Villa, esperto di migrazioni all’ISPI (Istituto per gli studi di politica internazionale), nel caso in cui la Asso 28 abbia contattato direttamente Tripoli, la responsabilità del respingimento collettivo sarebbe da attribuire solo al comandante della Asso 28, e non al governo italiano, anche se «si può sostenere che le navi commerciali abbiano sempre più timore di restare invischiate in stallo al largo delle coste italiane»: il riferimento è alle difficoltà incontrate nelle ultime settimane da alcune navi commerciali che avevano soccorso i migranti, e che poi erano state costrette per ore o giorni a rimanere ferme senza sapere bene cosa fare, come successo nel caso della nave Sarost.
#AssoVentotto e responsabilità 🇮🇹: qui sotto la mia opinione più dettagliata.
In sintesi, il punto di cui si dovrebbe davvero discutere è la situazione paradossale e di estrema incertezza su salvataggi in mare operati oggi nella zona SAR della #Libia. 👇
#Asso28 pic.twitter.com/qgiCyg4iaz— Matteo Villa (@emmevilla) July 31, 2018
Nel caso in cui la Asso 28 si fosse messa prima in contatto con le autorità italiane, la situazione sarebbe più confusa e la responsabilità potrebbe ricadere anche sul governo italiano, visto che le violazioni dei diritti umani compiute dalla Guardia costiera libica e nei centri di detenzioni libici sono note e molto ben documentate.
Se fosse accertata la responsabilità del governo italiano in questa faccenda – ed è complicato dirlo ora, ci si muove in una grande zona grigia – quello che è successo sarebbe incompatibile anche con il Testo Unico sull’immigrazione del 1998, che regola «l’ingresso, il soggiorno e l’allontanamento dal territorio dello Stato» dei migranti. L’articolo 10 del Testo parla dei respingimenti, cioè la pratica di allontanare uno o più migranti che secondo lo stato non sono nella condizione di poter essere accolti. Il Testo specifica chiaramente che il respingimento non può avvenire «nei casi previsti dalle disposizioni vigenti che disciplinano l’asilo politico, il riconoscimento dello status di rifugiato ovvero l’adozione di misure di protezione temporanea per motivi umanitari». La legge italiana, in sostanza, vieta di respingere persone che chiedono di ottenere una forma di protezione internazionale, cioè o l’asilo politico o la protezione per motivi umanitari: e a tutti deve essere garantito il diritto di farne richiesta.