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  • Sabato 28 luglio 2018

Il caso Juana Rivas

Una donna spagnola portò via i suoi figli accusando il marito italiano di violenze: ora è stata condannata per sottrazione di minori, fra molte polemiche

Juana Rivas (JORGE GUERRERO/AFP/Getty Images)
Juana Rivas (JORGE GUERRERO/AFP/Getty Images)

Negli ultimi due giorni in Spagna si è discusso molto della sentenza sul caso di Juana Rivas, una cittadina spagnola che nel 2016 portò via i suoi due figli dal marito italiano accusandolo di violenza domestica. Venerdì Rivas è stata condannata a cinque anni di carcere per sottrazione di minori – dopo essere andata via dall’Italia, per un periodo non si fece trovare dalle autorità – e le è stata tolta per sei anni la responsabilità genitoriale dei suoi figli. Dovrà inoltre pagare una multa di 30mila euro al marito, Francesco Arcuri, un italiano che nel 2009 era stato condannato per maltrattamenti, proprio ai danni di Rivas.

La sentenza è stata elaborata dal giudice Manuel Piñar, di cui si era già parlato in passato per casi simili: è stata definita molto dura da diversi esperti e penalisti ed è stata criticata da diverse organizzazioni che si occupano di violenza domestica. È una storia complicata anche per il fatto che coinvolge la giustizia di due paesi diversi – Italia e Spagna – e che ha già provocato manifestazioni e dibattiti.

I fatti, dall’inizio
Prima di scappare, Juana Rivas viveva con il marito italiano Francesco Arcuri e i due figli (oggi di 12 e 4 anni) a Carloforte, sull’isola di San Pietro, in Sardegna. Nel 2009 Rivas aveva accusato Arcuri di maltrattamenti; lui era stato condannato, ma poi i due erano tornati a vivere insieme e avevano avuto il secondo figlio (vale la pena specificare che uscire dal circolo di una relazione violenta è una cosa molto complicata: come sa bene chi si occupa di violenza, tornare insieme all’aggressore non è affatto una cosa inusuale). Nella primavera del 2016 Rivas tornò in Spagna insieme ai suoi due figli, e ci rimase. A luglio denunciò il marito per maltrattamenti, ma la causa fu inizialmente archiviata, perché il tribunale che si doveva occupare del caso sostenne di non essere competente: disse a Rivas che doveva rivolgersi alla giustizia italiana, visto che la presunta violenza domestica di cui accusava il marito si riferiva agli anni tra il 2012 e il 2016, quando la coppia viveva in Italia.

Le cose però cambiarono di nuovo poco dopo, perché la Procura generale spagnola intervenne nel caso di Rivas e chiese che fosse riaperta la causa al tribunale spagnolo, e che fosse lo stesso tribunale a inoltrare la denuncia alla giustizia italiana.

Il caso però fu riesaminato solo nel marzo 2017, per la mancanza di traduttori, e fu inoltrato nell’agosto 2017, quando Rivas aveva già deciso di nascondersi insieme ai suoi due figli. Era passato più di un anno dalla prima denuncia. La giustizia italiana non si è ancora pronunciata sui maltrattamenti.

Nel frattempo Arcuri aveva denunciato Rivas per sottrazione di minore e nel dicembre 2016 un giudice spagnolo stabilì che Rivas avrebbe dovuto consegnare i due figli al padre, cosa che lei inizialmente non fece (in una delle sentenze relative alla fuga di Rivas, una giudice di Granada confermò che c’erano stati maltrattamenti). Quando si consegnò alla polizia, fu arrestata e accusata di sottrazione di minori; i figli tornarono dal padre in Italia. Il padre intanto negò qualsiasi abuso, sostenne di essere stato vittima di una campagna mediatica ostile e disse di non avere mai picchiato la moglie: disse di avere ammesso le violenze nel 2009 solo per evitare una lunga battaglia legale, che avrebbe limitato il suo diritto di visita ai figli.

Venerdì, infine, il giudice Manuel Piñar ha letto la sentenza. Ha sostenuto che non ci fu alcun maltrattamento, perché tra il 2012 e il 2016 Rivas non denunciò episodi di violenza alle autorità italiane e non ne parlò nemmeno con le persone a lei più vicine. Ha anche appoggiato la tesi dell’accusa secondo cui Rivas aveva già deciso di separarsi dal marito prima di andare in Spagna con i figli, nel 2016, e aveva pensato di usare l’argomento delle violenze domestiche per assicurarsi la custodia dei figli e per ottenere altri vantaggi dal divorzio.

Le critiche
La sentenza del tribunale di Granada è stata criticata piuttosto duramente da diversi giornalisti e penalisti ed è finita anche in mezzo al dibattito politico spagnolo: la maggior parte dei critici si è concentrata soprattutto sulla formulazione della sentenza, più che sulla condanna per sottrazione di minori.

La giornalista Isabel Morillo ha sottolineato sul Confidencial come il giudice Piñar abbia voluto rimarcare in diversi passaggi di non avere trovato prove di violenza, ignorando la condanna per maltrattamenti del 2009 (secondo la ricostruzione del processo, Rivas era tornata a casa all’alba e Arcuri le aveva chiesto dov’era stata tutta la notte; ne era nata una discussione e Arcuri aveva colpito Rivas). In uno dei passaggi più controversi della sentenza, si legge: «Non si spiega né si comprende perché se fu maltrattata in Italia tra il 2012 e il 2016, ai livelli che lei stessa ha raccontato, di tortura e terrore, non abbia denunciato allora [il marito]», ignorando il fatto che nei casi di violenza domestica uno dei motivi delle poche denunce è proprio il clima costante di paura e violenza creato dall’aggressore. Piñar ha inoltre scritto: «Se [Rivas] avesse abitato in un paese con una cultura non contraria ai maltrattamenti», il suo comportamento sarebbe stato comprensibile, ma in Italia e in Spagna non è così. Morillo ha però sottolineato come secondo gli ultimi dati ufficiali, in Spagna solo in un caso di femminicidio ogni quattro la vittima aveva denunciato in precedenza il suo aggressore.

Un altro argomento usato dal giudice è stata la testimonianza di una psicologa sul figlio più grande di Rivas e Arcuri. Secondo la psicologa, il figlio pensa che entrambi i genitori lo amino e non presenta quegli squilibri psicologici che un bambino dovrebbe avere se si fosse messo in mezzo a episodi di violenza domestica. Morillo fa notare inoltre che il giudice ha deciso di ignorare un rapporto dei servizi sociali di Maracena (Granada) che era arrivato a conclusioni opposte, cioè aveva sostenuto che il figlio maggiore avesse vissuto esperienze violente: secondo il giudice il problema di questo rapporto è che «non specifica la metodologia utilizzata» e «manca di rilevanza probatoria».

Javier Ramajo, giornalista del Diario, ha scritto che il giudice Manuel Piñar non si è limitato a decidere sul reato di sottrazione di minori, ma ha voluto esprimere la sua opinione personale sulla vita di Juana Rivas. Per esempio, ha scritto Ramajo, il giudice Piñar ha accusato Rivas di «avere sfruttato l’argomento dei maltrattamenti» a suo favore, perché così a volte succede, e di averlo fatto usando i mezzi di comunicazione per far passare l’idea che Arcuri fosse «un mostro». «Sicuramente ci saranno stati momenti di tensione, disaccordo, litigi o discussioni, però da qui al maltrattamento c’è differenza», ha scritto il giudice Piñar in un altro passaggio della sentenza, ignorando di nuovo l’episodio di violenza del 2009 per cui era stato condannato Arcuri.

I precedenti del giudice e la reazione del governo
Sette anni fa, hanno ricordato alcuni giornali spagnoli, il giudice Piñar condannò a un anno e mezzo di prigione una donna che secondo lui aveva usato testimoni falsi in aula per sostenere l’accusa di violenze e minacce subite per mano dell’ex marito. Nella sentenza, il giudice criticava alcune norme in difesa delle donne, oltre che la stessa Procura generale spagnola:

«Quello che si dovrebbe rifiutare è il posizionamento ideologico della Procura generale di stato che sta impedendo la adeguata persecuzione di alcune denunce false di donne falsamente maltrattate… Con questo eccessivo zelo ideologico nella protezione della donna, si sta arrivando a togliere la dignità a certi maschi che sono sottoposti a procedure lunghe e rigorose, che con frequenza portano alla detenzione e alla vergogna pubblica, cosa che non fa altro che alimentare la violenza e far fare un passo indietro al principio di uguaglianza di fronte alla legge e alla fine anche allo stato di diritto»

Sulla condanna a Juana Rivas si è espresso anche il governo spagnolo. La vicepresidente del governo e ministra delle Pari opportunità, Carmen Calvo, ha detto di sperare che Rivas «non vada in prigione» fino a che non si arriverà a una condanna definitiva, e secondo l’agenzia spagnola Efe avrebbe ipotizzato la possibilità per il governo Socialista di concedere la grazia. Rivas, comunque, ha detto di voler fare appello contro la condanna del giudice Piñar.