Dorando Pietri, che arrivò primo ma non vinse
La storia dell'italiano che 110 anni fa finì la maratona olimpica prima di tutti ma fu squalificato, per un episodio che ricordiamo anche grazie a una foto
Nel pomeriggio del 24 luglio 1908 si corse a Londra la maratona delle quarte Olimpiadi moderne: l’italiano Dorando Pietri arrivò al traguardo per primo, ma non vinse. Pietri, esausto, impiegò circa 10 minuti a percorrere gli ultimi 500 metri, e pochissimo prima del traguardo i giudici lo aiutarono a stare in piedi e avanzare. In quel momento fu scattata una foto che è ancora oggi famosissima. Fu quindi squalificato e la medaglia d’oro andò allo statunitense John Hayes. Di Hayes oggi non si ricorda più nessuno; anche dopo 110 anni, invece, Pietri continua a essere conosciuto e celebrato come il simbolo di quelli che non vincono, ma ci provano fino alla fine.
Pietri era nato a Villa Mandrio di Correggio, vicino a Reggio Emilia, nel 1885. Da ragazzo lavorò come garzone in una pasticceria di Carpi e intorno ai diciott’anni si iscrisse a un’associazione sportiva locale, con la quale iniziò a fare gare di ciclismo: ma il ciclismo era uno sport da poco, e ancora non esisteva il Giro d’Italia. Nel 1904 a Carpi arrivò il famoso podista Pericle Pagliani per una gara dimostrativa, a cui partecipò anche Pietri: perse, ma fece vedere delle ottime qualità. Pietri iniziò quindi a fare gare di fondo e mezzofondo e si qualificò per la maratona di Atene del 1906, ai Giochi Olimpici intermedi, che si tennero per celebrare il decimo anniversario delle Olimpiadi moderne. Al 25esimo chilometro era primo con cinque minuti di vantaggio sul secondo corridore, ma si dovette ritirare perché non stava bene.
Non è dato sapere se Pietri ne facesse uso, ma in quegli anni molti podisti credevano che l’alcol e alcune altre sostanze fossero d’aiuto a reggere lo sforzo. Si dice per esempio che lo statunitense Thomas Hicks – che vinse la maratona Olimpica di Saint Louis nel 1904, dopo che un altro corridore fu squalificato per aver fatto diversi chilometri in macchina – gareggiò dopo aver bevuto un mix di brandy, uova sbattute e stricnina, che ancora doveva essere usata come veleno per topi. Era insomma piuttosto comune, per le sostanze assunte o per l’eccessivo sforzo, che certi corridori collassassero o ci andassero molto vicino.
Le Olimpiadi di Londra furono le prime ad avere una cerimonia di apertura e, prima che per la non-vittoria di Pietri, fecero parlare perché il lanciatore Ralph Rose, portabandiera degli Stati Uniti, si rifiutò di abbassare la bandiera del suo paese davanti al re britannico Edoardo VII. Si dice che un altro atleta statunitense commentò l’episodio dicendo che la bandiera statunitense «non si inchina davanti a nessun monarca al mondo».
La maratona di Londra arrivò diversi giorni dopo. Alla partenza – alle 14.30 del 24 luglio 1908, dal castello di Windsor – c’erano 56 atleti. Pietri pesava 60 chili ed era alto poco meno di un metro e sessanta: il più basso tra i partecipanti. Alcuni giorni dopo, il 30 luglio, sarebbe uscito sul Corriere della Sera un articolo firmato da Pietri e dal titolo “Come ho corso”, che parlava tra le altre cose di come gli inglesi iniziarono la maratona:
E poi noi non sappiamo come partire perché nessuno ce l’ha insegnato: ci mettiamo in moto, come farebbe un qualsiasi pedone dopo una fermata, ma senza slancio. Invece tutti gli inglesi partono secondo un sistema che hanno accuratamente studiato. Prima del segnale della partenza stanno chinati carponi, colle mani a terra. Appena la pistola dello start spara, si slanciano innanzi con un grande salto: questo movimento dà subito loro un vantaggio di tre o quattro metri sui corridori italiani.
La maratona olimpica di Londra si corse con un gran caldo. Le cronache di allora dicono che Pietri partì senza andare a tutta, per conservare le energie, e verso metà gara cominciò a recuperare posizioni sugli altri atleti, che avevano seguito il ritmo alto imposto dai corridori inglesi. Pietri si portò nelle prime posizioni e verso la fine seppe –grazie a persone che in bici facevano avanti e indietro tra i vari corridori – che il primo della gara, il sudafricano (quindi al tempo britannico) Charles Hefferon, stava cedendo. In “Come ho corso” Pietri scrisse:
Quando siamo a quattro chilometri e mezzo dallo stadio Hefferon non ha più di 200 metri di vantaggio. La folla mi incita. Lo capisco dal suono delle voci, degli applausi; ma non la vedo. Quando passo Hefferon egli mi guarda a lungo con un’occhiata tanto triste e poi si sdraia a terra.
A circa due chilometri dall’arrivo, dopo averne corsi 40, Pietri era quindi da solo in testa. “Come ho corso” finisce però prima del suo ingresso nel White City Stadium: lo stadio di quelle Olimpiadi, che non esiste più dal 1985.
Ad un tratto, ad uno svolto, do un balzo.
Vedo là in fondo una massa grigia, che pareva un bastimento col ponte imbandierato.
È lo stadio.
E poi non ricordo più.
I resoconti e alcune immagini spiegano che Pietri entrò nello stadio, dove avrebbe dovuto fare solo un giro di pista, cioè qualche centinaio di metri, e si mise a correre nella direzione sbagliata. Glielo fecero notare e piuttosto rintronato iniziò a correre nella parte giusta. Fece però gli ultimi metri molto lentamente e alla fine i giudici dovettero addirittura aiutarlo a stare in piedi e rialzarsi, dopo che cadde. Si dice che lo fecero anche perché nel frattempo stava arrivando il secondo: lo statunitense John Hayes. Pare che dopo l’episodio della bandiera i britannici non volessero far vincere una gara così importante a uno statunitense, e che – un po’ per quello e un po’ per compassione – aiutarono Pietri in ogni modo.
Pietri terminò la maratona per primo e poi fu portato via in barella, forse svenuto. Finì la gara in due ore e 54 minuti, ma ci mise dieci minuti a percorrere gli ultimi 500 metri. Hayes finì la sua maratona in due ore e 55 minuti. Nel frattempo arrivarono gli altri atleti: furono 27 in tutto, perché gli altri si erano ritirati, e il 27esimo ci mise più di quattro ore.
Hayes fece reclamo contro l’evidente e illecito aiuto dato a Pietri e dopo averne discusso per diversi minuti i giudici squalificarono Pietri e diedero l’oro a Hayes. Tra lo statunitense e Pietri i presenti avevano però fatto il tifo per Pietri. Tra loro, seduto tra il pubblico vicino al traguardo, c’era anche Arthur Conan Doyle: quello di Sherlock Holmes, che era lì come corrispondente del Daily Mail. Scrisse che «nessun romano antico seppe cingere il lauro della vittoria alla sua fronte meglio di quanto non l’abbia fatto Dorando nell’Olimpiade del 1908» e che era «terribile eppure affascinante quella lotta tra un obiettivo lì davanti e un protagonista esausto».
La regina consorte Alessandra decise comunque di dare a Pietri una coppa d’oro.
Dopo la maratona di Londra, Pietri diventò una celebrità in tutto il mondo. Cominciò delle tournée negli Stati Uniti, in cui corse diverse maratone in cambio di compensi in denaro. Il 25 novembre 1908 al Madison Square Garden di New York partecipò a una maratona su pista contro Hayes, vincendola. Guadagnò tanti soldi che investì male, finché morì nel 1942 per un’emorragia cerebrale. Nel 1948 Londra ospitò di nuovo le olimpiadi e l’italiano Pietro Palleschi si finse Dorando Pietri: disse di non essere morto e sfruttò la cosa per fare interviste e presenziare a eventi commemorativi. La notizia arrivò in Italia e qualcuno fece notare che Palleschi era un impostore.
Pietri, quello vero, è stato ricordato da diversi libri, da una storia a fumetti uscita nel 2012 su Topolino, da una canzone di Irving Berlin, da una fiction Rai, da una scena di Fantozzi (in quel caso il traguardo è il cartellino da timbrare), dal re d’Inghilterra (che diede il suo nome a un cavallo) e da un francobollo. Il primo italiano a vincere una maratona olimpica fu Gelindo Bordin, nel 1988.