La genealogia genetica sta cambiando le indagini sugli omicidi negli Stati Uniti
Molti vecchi casi sono stati risolti grazie a un database di profili genetici messo in piedi da genealogisti dilettanti, ma molto più ricco di quello dell'FBI
Nell’ultimo anno negli Stati Uniti sono stati trovati i responsabili di una serie di omicidi irrisolti – avvenuti anche più di quarant’anni fa, come quelli del cosiddetto “killer del Golden State” – grazie a una nuova tecnica d’indagine: la genealogia genetica. La tecnica consiste nel combinare un’analisi del DNA – più approfondita rispetto a quella solitamente usata dalle forze dell’ordine americane – e il metodo di ricerca delle fonti solitamente usato per ricostruire gli alberi genealogici. Le cose sorprendenti della genealogia genetica sono due: ha permesso di risolvere vecchi casi irrisolti e dati per irrisolvibili in pochissimo tempo; non è stata sviluppata dalla polizia bensì da esperti di alberi genealogici un tempo dilettanti, usando un database gratuito di profili genetici creato da un altro dilettante.
Come si risolve un doppio omicidio di 31 anni fa in un weekend
Uno dei casi di omicidio risolti con la genealogia genetica è quello dei ragazzi canadesi Tanya Van Cuylenborg e Jay Cook, uccisi nello stato di Washington nel 1987. Dal furgone che i due avevano usato per andare negli Stati Uniti furono trovate tracce di DNA del presunto assassino, ma gli investigatori non riuscirono a ricollegarle a nessuno. Per capire le potenzialità della genealogia genetica, la storia di come il loro caso è stato risolto è esemplare.
Nel 2017 la polizia dello stato di Washington si mise a collaborare con Parabon NanoLabs, un’azienda della Virginia che si occupa di analisi del DNA, per creare un identikit del presunto assassino usando le informazioni sull’aspetto esteriore che si possono ricavare da un’analisi del DNA più complessa di quelle solitamente fatte dalle forze dell’ordine. Lo scorso aprile Parabon diede il profilo genetico ottenuto a CeCe Moore, un’ex attrice 49enne che circa dieci anni fa iniziò a tenere un blog sulla genealogia della sua famiglia per poi costruirsi una carriera, anche televisiva, da genealogista genetica. Un venerdì sera, ha raccontato il Washington Post, Moore caricò il profilo genetico del presunto assassino di Van Cuylenborg e Cook su GEDmatch, un database di profili genetici che chiunque può consultare gratuitamente online. Dopo otto ore di analisi, il sito le restituì questo risultato: tra i propri profili, che sono più di un milione, ne aveva trovati due che avevano sufficiente DNA in comune con quello del presunto assassino da essere suoi secondi cugini. Le due persone corrispondenti a questi due profili non avevano DNA comune, dunque non appartenevano allo stesso ramo della famiglia del killer.
Sapendo queste cose Moore si mise a costruire gli alberi genealogici dei due secondi cugini, risalendo fino ai bisnonni di ciascuno dei due, alla ricerca di un punto di intersezione: per farlo consultò gli archivi dei certificati di morte e di matrimonio e quelli dei giornali locali, e fece anche ricerche sui social network. La soluzione le arrivò da un necrologio: parlava di una persona imparentata con uno dei due secondi cugini, ma citava una donna che aveva uno dei cognomi della famiglia dell’altro secondo cugino. La donna era l’intersezione che Moore stava cercando: da lei risalì all’identità del figlio, William Earl Talbott II, che nel 1987 viveva vicino a dove furono ritrovati i corpi di Van Cuylenborg e Cook. Il lunedì successivo all’inizio delle sue ricerche, durate un weekend, Moore fece il nome di Talbott alle autorità: la polizia si impossessò di una tazza usa e getta che l’uomo aveva gettato via, ne rilevò tracce di DNA e trovò che il suo profilo combaciava con quello del presunto assassino di Van Cuylenborg e Cook. A maggio l’uomo fu formalmente accusato.
Da dove arriva GEDmatch e come funziona
La genealogia genetica e le tecniche di ricostruzione degli alberi genealogici su cui si basa ci sono dai primi anni Duemila. Sono state sviluppate grazie alle società che vendono test del DNA e strumenti per ricostruire il proprio albero genealogico usando le informazioni del proprio codice genetico. La prima a offrire questi servizi è stata FamilyTreeDNA ma la più famosa del settore è 23andMe, che come tante altre accetta clienti anche dall’Italia.
Nel 2009 23andMe cominciò a lavorare con i test del DNA autosomici, più approfonditi di quelli usati fino a quel momento: chi li fa può scoprire in quale percentuale i propri antenati erano originari di diverse aree geografiche. Quindi potrebbero dirvi, ad esempio, che siete all’87 per cento europei, all’8,4 per cento asiatici, al 3,3 per cento mediorientali e all’1,3 per cento africani. Si chiamano così perché a differenza di altri test analizzano i 22 cromosomi autosomi, cioè tutti quelli che abbiamo, fatta eccezione per quelli sessuali: ciascuno di essi è in parte ereditato dalla madre e in parte dal padre, per questo si portano dietro informazioni che legano ai propri antenati. Questi tipi di test permettono di costruire alberi genealogici molto più grandi di quelli che si potevano fare in precedenza.
GEDmatch funziona grazie ai test autosomici. Su questo sito, la cui homepage è molto semplice e assomiglia a quelle dei siti degli anni Novanta, chiunque si registri può caricare online il proprio profilo genetico ottenuto da società come 23andMe in modo gratuito. Un programma informatico trova nel database di GEDmatch i profili genetici che hanno qualcosa in comune con quello caricato.
GEDmatch esiste dal 2010. Lo hanno messo in piedi, per passione, Curtis Rogers, un uomo d’affari in pensione che oggi ha 79 anni e vive in Florida, e John Olson, un ingegnere di circa sessant’anni che vive in Texas. Rogers era appassionato di genealogia fin da ragazzo e aveva costruito il proprio albero genealogico grazie a FamilyTreeDNA: contattando i propri lontani parenti trovati attraverso il sito era riuscito a trovare le varie connessioni tra loro, però si era anche reso conto che tutta l’operazione sarebbe stata più veloce e semplice se fosse stato un software a creare l’albero. Per questo chiese a Olson di aiutarlo a realizzarlo. Nel 2010 i due crearono GEDmatch.com il cui nome è ispirato al GEDCOM, il formato di file per creare alberi genealogici sviluppato dalla chiesa mormone.
Attraverso il passaparola, negli anni su GEDmatch sono stati raccolti i profili genetici di un milione di persone: alcune di loro, adottate alla nascita, lo hanno usato per trovare i propri genitori biologici; altre per trovare i donatori di sperma che avevano reso possibile la propria nascita. Per coprire le spese di gestione del sito – l’equivalente di 170mila euro all’anno in spazio sui server – Rogers e Olson hanno introdotto la possibilità di sottoscrivere un abbonamento mensile da 10 dollari per avere accesso a funzioni speciali.
Se siete appassionati di serie tv poliziesche americane, forse a questo punto vi starete chiedendo che differenza c’è tra il database di GEDmatch e il CODIS, cioè il database di profili genetici dell’FBI, e perché per il caso di Tanya Van Cuylenborg e Jay Cook non sia stato sufficiente consultare quello, dato che contiene i profili di 17,3 milioni di persone. In breve, il fatto è che le informazioni genetiche archiviate nel CODIS sono molto più limitate di quelle presenti su GEDmatch e non sufficienti per cercare lontani legami di parentela.
Più nel tecnico, i confronti del DNA fatti dalle forze dell’ordine di tutto il mondo dagli anni Novanta si basano sull’analisi di una ventina di “microsatelliti” o “STR” non codificanti, cioè piccole sequenze ripetute di DNA che distinguono ogni persona dalle altre senza dare informazioni sul suo aspetto perché non sono nella parte di DNA che determina i caratteri fisici: anche per questo sono stati scelti per le analisi del DNA della polizia, per dare maggiori garanzie di privacy. Sia i profili genetici del CODIS sia quelli della Banca Dati Nazionale del DNA delle forze di polizia italiane (che esiste dal febbraio del 2017) si basano sui microsatelliti. I profili genetici di GEDmatch, ottenuti dai test autosomici, sono basati e tengono traccia di 600mila pezzetti di DNA invece che di 20 o 24. Per chi ha qualche base di genetica: guardarne così tanti è necessario per trovare i polimorfismi a singolo nucleotide (SNP), piccole variazioni che distinguono tra loro due geni che si trovano nella stessa posizione in due cromosomi omologhi. Per chi non ha basi di genetica, basti sapere che con i test autosomici si testano molti pezzi di DNA in più rispetto a quelli normalmente analizzati dai laboratori della polizia e che questi pezzi permettono di stabilire quanti gradi di parentela ci siano tra due persone della stessa famiglia.
Un’altra differenza tra il CODIS e il database di GEDmatch poi riguarda le regole sul loro uso: GEDmatch è aperto e non c’è modo di sapere se e come la polizia lo usi per un’indagine; il CODIS invece in molti stati americani non può essere usato per cercare parenti della persona indagata.
Negli ultimi anni negli Stati Uniti i laboratori di antropologia forense hanno cominciato a commissionare analisi degli SNP per provare a chiudere i vecchi casi irrisolti – la polizia dello stato di Washington aveva chiesto l’aiuto di Parabon NanoLabs per la stess ragione – ma generalmente i test fatti dalle squadre scientifiche della polizia analizzano solo qualche centinaia di SNP invece delle centinaia di migliaia presi in considerazione dai siti di genealogia. Questo perché i protocolli per gli investigatori non sono ancora stati del tutto aggiornati per usare la tecnologia più avanzata dei test autosomici: è comprensibile visto che di mezzo ci sono questioni etiche di cui tener conto, prime fra tutte quelle che riguardano la privacy dato che gli SNP rivelano molte cose sull’aspetto delle persone. Inoltre i test autosomici costano molto di più di quelli che prendono in considerazione solo i microsatelliti.
Cos’altro è stato fatto con la genealogia genetica finora
GEDmatch è stato usato anche per risolvere uno dei più noti casi di cronaca nera rimasti irrisolti, quello del cosiddetto “killer del Golden State”, un uomo accusato di aver commesso oltre 10 omicidi e circa 50 stupri tra il 1974 e il 1986. Alla fine del 2017 Paul Holes, un investigatore prossimo ad andare in pensione, decise di provare a risolvere il caso usando GEDmatch: facendosi aiutare da un genealogista genetico che ha chiesto di restare anonimo creò un falso profilo su GEDmatch e caricò il profilo del presunto assassino sul sito. In questo modo trovò un suo lontano parente e potè identificare il presunto killer: Joseph James DeAngelo. L’analisi diretta del suo DNA ha permesso di vedere che combaciava con quello trovato insieme a uno dei corpi.
Il caso del killer del Golden State e quello degli omicidi di Van Cuylenborg e Cook non sono stati gli unici a essere risolti grazie alla genealogia genetica: tra gli altri, CeCe Moore e Parabon hanno recentemente identificato il presunto responsabile dell’omicidio di April Tinsley, una bambina di 8 anni stuprata e uccisa nell’Indiana nel 1988. Parabon NanoLabs, che a maggio ha cominciato una collaborazione continuativa con CeCe Moore, ha cercato più di cento profili genetici legati a omicidi nel database di GEDmatch e di almeno venti ha trovato cugini di terzo grado o parenti più prossimi. Tra i casi su cui investigatori e genealogisti genetici stanno collaborando al momento c’è quello del cosiddetto “killer dello Zodiaco”, che alla fine degli anni Sessanta uccise almeno cinque persone. In aggiunta al lavoro sui casi di omicidio, poi, sono state identificate varie persone trovate morte ma mai identificate: se ne è occupata l’organizzazione no profit DNA Doe Project, che sta analizzando i profili genetici di circa 40mila persone sepolte senza che se ne conoscesse l’identità.
Steve Armentrout, l’amministratore delegato di Parabon, pensa che comunque in futuro le tecniche di genealogia genetica potranno essere usate anche sui nuovi casi criminali, non solo su quelli rimasti irrisolti per anni. Non sempre le tecniche di genealogia genetica possono risolvere un caso: alcuni profili genetici possono non avere abbastanza corrispondenze nel database di GEDmatch per individuare una persona specifica e in alcuni casi quello che si trova è solo una lista di potenziali cognomi o un’area di provenienza. I successi ottenuti finora però lasciano pensare che gli investigatori useranno la genealogia genetica sempre più spesso.
Le questioni etiche
I giornali e le televisioni americani hanno parlato moltissimo del caso del killer del Golden State, dato che riguardava un serial killer molto noto. Per questo è cominciato un dibattito sulla genealogia genetica, le questioni etiche che la riguardano e GEDmatch in particolare. Curtis Rogers ha detto all’Atlantic che prima che si riparlasse del killer del Golden State non aveva idea che degli investigatori stessero usando GEDmatch – che a differenza di Ancestry.com e 23andMe non aveva regole contro l’uso dei suoi dati da parte della polizia – per cercare di risolvere dei casi di omicidio.
Inizialmente Rogers si arrabbiò, perché pensava che fosse un uso scorretto del database che era stato costruito da chi usava il sito. Molte di queste persone, in reazione alle notizie sull’indagine di Paul Holes, cancellarono i propri profili su GEDmatch, tuttavia molte altre persone scrissero a Rogers per ringraziarlo. Tra queste la figlia di un presunto serial killer, ormai morto, che chiese di poter caricare su GEDmatch il proprio profilo genetico per aiutare le famiglie delle presunte vittime di suo padre ad avere delle certezze sulla morte dei propri cari. La lettera di questa donna in particolare convinse Rogers ad aggiornare i termini d’uso di GEDmatch, scrivendo esplicitamente che profili genetici ottenuti dalle forze dell’ordine possono essere caricati per provare a identificare gli autori di «crimini violenti».
Sui giornali l’uso di GEDmatch nelle indagini di polizia è stata criticata per varie ragioni. Alcuni hanno ipotizzato che le tecniche di genealogia genetica, che non sono state sviluppate da professionisti del campo forense, possano anche portare a incolpare un innocente. Altri hanno espresso dei dubbi sul fatto che la polizia abbia usato i dati genetici in modo responsabili e altri ancora hanno sottolineato che dato che quello di GEDmatch è un database aperto a tutti e non gestito da una grossa organizzazione potrebbe essere hackerato e manipolato.
Blaine Bettinger, un genealogista oltre che avvocato legato a GEDmatch, ha detto all’Atlantic che «le forze dell’ordine continuano a usare database genetici superati» ma che preferirebbe che si facessero un proprio database invece che usare quello di GEDmatch, in modo che le indagini fossero regolate in modo appropriato. Inoltre, secondo Bettinger, mentre è lecito che gli strumenti della genealogia genetica vengano usati per identificare i serial killer e gli stupratori, è discutibile che in futuro possano essere usati per crimini minori, come quelli legati alle droghe: «Mi fa stare in ansia. Lasciamo il nostro DNA dappertutto, è su ogni cosa che tocchiamo. Devono essere fissati dei limiti». L’espressione «crimini violenti» nei nuovi termini d’uso di GEDmatch dovrebbe proprio servire a evitare che la polizia lo usi per cercare i responsabili di crimini minori, ma Rogers e gli altri gestori del sito non possono controllare che non lo faccia.
Debbie Kennett, una ricercatrice del dipartimento di genetica, evoluzione e ambiente dell’University College di Londra, ha detto al Washington Post che le competenze dei genealogisti genetici che collaborano con la polizia dovrebbero essere certificate e che dovrebbero essere scritte delle lineeguida per utilizzare i profili genetici nelle indagini, come ne esistono di molto rigide per l’uso degli attuali database genetici usati dalle forze dell’ordine. Anche perché la genealogia genetica non è infallibile: «Tra le persone adottate ci sono stati dei casi in cui qualcuno è stato riunito ai genitori biologici sbagliati perché i dati sono stati interpretati male e se può succedere nelle ricerche sulle adozioni può succeder anche nelle indagini criminali, ma con conseguenze molto più gravi».
CeCee Moore ha detto di non aver mai fatto degli errori nelle sue analisi, ma condivide alcune delle preoccupazioni di Kennett: per questo sta scrivendo una proposta di lineeguida per chi fa il suo lavoro, che sottolineano tra le altre cose che sono sempre i test del DNA fatti dalla polizia a portare agli arresti.