La nube tossica dell’ACNA, 30 anni fa
Fu uno degli episodi più gravi nel costante inquinamento di un'intera valle tra Liguria e Piemonte, i cui effetti sono visibili ancora oggi
Il 23 luglio di 30 anni fa una grande nube tossica si sollevò dallo stabilimento ACNA di Cengio, in provincia di Savona: in poche ore raggiunse numerosi comuni sul confine tra Liguria e Piemonte, causando intossicazioni e forti preoccupazioni tra la popolazione. La fuoriuscita di gas tossici era solo l’ultima di una lunga serie di incidenti e danni ambientali causati dall’ACNA, contro la quale si battevano da tempo i comuni della val Bormida, valle che dall’entroterra di Savona si estende fino al Basso Piemonte lungo il corso del fiume Bormida. La vicenda dell’ACNA e dei decenni che furono necessari per riuscire a chiuderla è esemplare nella storia dell’ambientalismo in Italia: l’incidente del 1988 contribuì alla fine dello stabilimento, mentre i danni ambientali per la val Bormida e i suoi comuni sono evidenti ancora oggi.
Dagli esplosivi ai colori
L’Azienda Coloranti Nazionali e Affini (ACNA) aveva alle spalle una storia secolare, iniziata nel 1882 con la costruzione di una fabbrica per la produzione di dinamite a Cengio, piccolo comune nella provincia di Savona a meno di un chilometro dal confine col Piemonte. L’area era stata scelta per la sua vicinanza alla Bòrmida, che offriva ampia disponibilità di acqua, e per essere poco distante dal porto di Savona. Il dinamitificio si sviluppò rapidamente nei primi anni del Novecento in seguito alla crescente domanda di esplosivi nelle guerre per la creazione del cosiddetto Impero coloniale italiano. L’impianto dava lavoro a centinaia di persone ed era visto come un’importante risorsa economica della zona, fino ad allora sviluppata solo in senso agricolo.
I benefici per l’occupazione avevano comunque un caro prezzo, soprattutto dal punto di vista ambientale. Già all’inizio del Novecento era diventato evidente che le lavorazioni di tritolo e acido solforico causavano danni all’ambiente: le acque sporche di lavorazione riversate nella Bormida facevano sì che quasi tutta la valle percorsa dal fiume fosse inquinata. L’acqua di alcuni pozzi nei comuni vicini a Cengio, come Saliceto, Monesiglio e Camerana fu dichiarata non potabile già nel 1909 per una contaminazione di fenolo: sarebbe stato uno dei primi provvedimenti nella storia dello stabilimento.
Negli anni Venti l’impianto fu rilevato dall’Italgas e convertito alla produzione di sostanze coloranti, nell’ambito di una serie di acquisizioni di altre fabbriche dedicate alla produzione di composti chimici. Fu nel 1929 che Italgas costituì formalmente l’ACNA. In quel periodo divenne ancora più evidente la presenza sul territorio di due fazioni contrapposte: da un lato c’erano gli abitanti di Cengio e degli altri comuni liguri che beneficiavano dell’occupazione offerta dalla fabbrica, mentre dall’altra c’erano i piemontesi che dovevano fare i conti con l’inquinamento causato dall’impianto e che attraverso la Bormida interessava buona parte del fondo valle fino alla confluenza del fiume con il Tanaro, nei pressi di Alessandria.
Nonostante gli investimenti voluti dal regime fascista, le condizioni economiche dell’ACNA divennero presto precarie, tanto da spingere l’Italgas a disfarsene nei primi anni Trenta, vendendola alla Montecatini. Le cose migliorarono negli anni seguenti grazie a una nuova parziale conversione dell’attività produttiva, orientata nuovamente verso gli esplosivi e i gas tossici utilizzati per la guerra in Abissinia.
L’ACNA e l’ambiente
Dopo la Seconda guerra mondiale e con la fine del fascismo, che rendeva praticamente impossibili manifestazioni e proteste della popolazione, gli abitanti della val Bormida si organizzarono per protestare uniti contro l’inquinamento della loro valle. La manifestazione più grande fu organizzata nel maggio del 1956, ma senza portare a grandi progressi. I sindacati erano per mantenere aperto lo stabilimento, che dava lavoro a centinaia di persone, e il governo italiano non voleva perdere un importante polo chimico, decidendo negli anni Sessanta un rinnovo della concessione per l’utilizzo delle acque dalla Bormida.
Nei quasi 30 anni successivi, i comuni piemontesi segnalarono di continuo casi di inquinamento dei pozzi e delle falde, causate dalla presenza dello stabilimento. I danni erano spesso evidenti a occhio nudo: le acque si tingevano di strani colori e puzzavano per qualche giorno, poi la situazione sembrava migliorare fino al successivo episodio. Indagini e accertamenti avrebbero in seguito dimostrato una scorretta gestione dei rifiuti tossici, con sversamenti delle sostanze nelle acque di scarico, che finivano poi nel fiume.
Negli anni Ottanta la provincia di Asti insieme ad altre amministrazioni cittadine denunciò l’ACNA per i danni ambientali, ci furono lievi condanne per i dirigenti in primo grado, cui fecero seguito assoluzioni in appello. Morti sospette per cancro alla vescica spinsero i sindacati a costituirsi parte civile, ma si ritirarono dal processo su presunte pressioni da parte dell’azienda. I sindacati confermarono la posizione mantenuta per decenni, dimostrando l’interesse per il mantenimento dei posti di lavoro, che in molti casi superava quello per tutelare l’ambiente e la popolazione della val Bormida.
L’attivismo nella valle da parte piemontese raggiunse il suo picco nel 1987, quando fu fondata un’associazione contro l’inquinamento della val Bormida. L’idea era di coinvolgere più persone possibili e farsi sentire con iniziative di vario tipo, a cominciare dalle “passeggiate ecologiche”, manifestazioni di piazza nei comuni legati all’ACNA, a cominciare da quello di Cengio. Nel 1988 una grande manifestazione coinvolse oltre 8mila persone, anche in quel caso i sindacati furono dalla parte dell’azienda, convinti che prima di tutto occorresse tutelare i posti di lavoro.
Le proteste della val Bormida ebbero un loro risalto nazionale nel giugno dello stesso anno, quando alcune migliaia di persone fermarono una tappa del Giro d’Italia che sarebbe dovuta passare nella zona. L’organizzazione fu costretta ad annullare la tappa.
La nube tossica, 30 anni fa
Il 23 luglio 1988 alle 8 del mattino una densa nube bianca si levò dallo stabilimento ACNA di Cengio. I gas tossici di oleum, una miscela di acido solforico e anidride solforica, furono rapidamente trasportati dal vento verso Saliceto e altri comuni piemontesi della val Bormida, causando grande preoccupazione tra gli abitanti. L’incidente era stato causato da una fuoriuscita in uno scambiatore di calore, cui l’azienda aveva risposto velocemente per bloccare la perdita ed evitare danni ambientali più gravi. A Saliceto alcune persone segnalarono di avere problemi a respirare, bruciore agli occhi, nausea e vomito. Un incidente simile era già avvenuto nel settembre del 1987 e arrivava a pochi giorni dal disastro alla Farmoplant di Massa, dove un incendio aveva portato alla formazione di una nube tossica.
L’ennesimo problema causato dallo stabilimento portò a nuove manifestazioni da parte degli attivisti piemontesi, richieste al governo di intervenire e polemiche con i sindacati. Fu disposta una chiusura dello stabilimento per un mese e mezzo a partire da agosto, in attesa di un piano per risanare e mettere in sicurezza il sito produttivo. La proposta di costruire nell’area dell’ACNA un inceneritore per recuperare i solfati portò a nuove proteste, ma l’anno seguente il piano fu approvato dalla regione Liguria.
Dopo avere scoperto la presenza di sostanze inquinanti che finivano chiaramente nella Bormida, le associazioni intensificarono i loro presidi intorno allo stabilimento ACNA, con una presenza 24 ore su 24. Le loro iniziative furono raccontate sui media nazionali in alcune trasmissioni, come quelle sulla RAI di Michele Santoro. Intanto la costruzione dell’inceneritore proseguiva a singhiozzo, tra sospensioni e provvedimenti quando si scoprì che l’azienda non aveva eseguito le valutazioni di impatto ambientale necessarie.
La chiusura dell’ACNA e il danno ambientale
Parallelamente ai guai ambientali, l’azienda doveva anche fare i conti con i suoi problemi societari. Negli anni Sessanta l’ACNA confluì con la Montecatini, che ne aveva il controllo, nella Montedison (formata dalla fusione di Montecatini ed Edison). Nel 1988, nel pieno della crisi più grande per l’azienda, l’ACNA fu affidata alla da poco nata Enimont, il tentativo fallimentare di creare una joint-venture tra Montedison ed ENI naufragato poi nel 1991. Il controllo dell’azienda rimase in mano all’ENI tramite la sua EniChem, rendendo evidenti i grandi limiti della società che perdeva circa 80 miliardi di lire all’anno (l’equivalente di circa 90 milioni di euro odierni).
Considerate le traversie economiche, quelle giudiziarie e la scarsa produttività, nel 1999 l’ACNA fu infine chiusa, a oltre un secolo dalla fondazione del primo dinamitificio a Cengio. L’area tra Cengio e Saliceto è stata inserita tra i Siti contaminati di Interesse Nazionale (SIN), per la loro bonifica sotto la competenza del ministero dell’Ambiente in collaborazione con le Agenzie regionali per la protezione dell’ambiente. Il territorio della val Bormida risulta ancora inquinato e lo resterà per decenni, mentre si attuano soluzioni per ridurre l’impatto degli inquinanti sulla popolazione e la produzione agricola. La regione Piemonte ha chiesto un risarcimento per il danno subìto, mentre periodicamente si susseguono interrogazioni parlamentari e al ministero dell’Ambiente sulle centinaia di tonnellate di rifiuti pericolosi da mettere in sicurezza.