I negozi che vendono gli avanzi dei supermercati
Nel Regno Unito rimettono in circolo il cibo destinato a essere distrutto: sono aperti a tutti, non solo a chi ha un reddito basso
Nel Regno Unito stanno avendo molto successo dei magazzini in cui si vende il cibo scartato dai supermercati, dai ristoranti, dai grossisti o dalle aziende agricole, e che viene venduto al prezzo che ciascuno ritiene sia giusto pagare. Il progetto si chiama Real Junk Food Project ed è stato creato da un ex cuoco di trentadue anni, Adam Smith, con l’obiettivo di ridurre lo spreco di cibo e aiutare le persone che hanno pochi soldi.
Dopo l’apertura del primo magazzino a Leeds, nell’autunno del 2016, l’idea ha avuto molto successo: sono stati aperti altri sei punti vendita (a Birmingham, Brighton, Durham, Wigan e Chester) e altri tre, a Halifax, Wakefield e Keighley, apriranno entro la fine dell’estate. Ogni settimana è stato calcolato che si risparmino circa sei tonnellate di cibo che altrimenti finirebbero in discarica; Smith stima che il cibo venduto nei supermercati che ha inventato vada a 25 mila persone in tutto il Regno Unito, ogni settimana.
La clientela dei magazzini di Smith è di tutti i tipi, dato che al centro del progetto c’è lo spreco alimentare e non l’appartenenza socio-economica dei consumatori. I supermercati sono dunque aperti a tutti e non solo a chi ha reddito basso: spesso arrivano nuovi clienti a seconda del cibo che viene messo a disposizione (il mese scorso in uno dei supermercati di Real Junk Food Project sono stati messi in vendita degli asparagi: «Lo abbiamo scritto sui social media e abbiamo ottenuto una nuova fetta di clienti», ha spiegato il direttore del negozio). Il cibo che si trova in questi magazzini non è perfetto: è destinato a finire nella spazzatura e fa parte delle eccedenze. La lattuga non sarà dunque freschissima, forse qualche confezione sarà ammaccata, ma il principio è che ciascun cliente sceglie che cosa comprare: «Fanno ciò che gli esseri umani hanno sempre fatto: usano la vista e l’olfatto, e se qualcosa è ok, la prendono».
La contraddizione che ha ispirato il Real Junk Food Project è piuttosto nota: ogni anno, secondo le stime delle Nazioni Unite, vengono buttati via 1,3 miliardi di tonnellate di cibo, spesso perché quel cibo non ha più un aspetto sufficientemente gradevole per i consumatori e non solo perché non è più mangiabile. Eppure circa 800 milioni di persone in tutto il mondo sono malnutrite. Adam Smith ha avuto l’idea del Real Junk Food Project lavorando in una fattoria australiana dove si è reso conto dell’enorme spreco nella produzione. Tornato nella città dove era nato, a Leeds, fondò il progetto nel 2014.
Inizialmente fondò un ristorante in cui si poteva pranzare: «Io e i volontari abbiamo convinto i supermercati locali a darci quello che stavano per buttare». Non è stato difficile convincerli, perché smaltire i rifiuti costa: «Avere qualcuno che viene a prenderli era un vantaggio». Le proposte dei piatti variavano a seconda di quello che era stato raccolto; chi mangiava poteva pagare ciò che voleva e riteneva corretto. All’inizio era solo un esperimento, ma «non potevamo credere a quanto rapidamente sarebbe decollato». Dopo tre mesi venne aperto un secondo ristorante a Bristol e poi ancora in altre città: oggi ci sono più di 120 Real Junk Food Cafè in tutto il mondo, comprese Germania, Corea del Sud e Israele. Ogni nuova sede ha poche regole base da seguire: il 90 per cento del cibo utilizzato deve essere stato etichettato come un rifiuto.
Dopo il successo dei ristoranti, Smith iniziò a ricevere telefonate da negozi, supermercati e ristoranti: gli chiedevano di portare via i loro rifiuti alimentari. Dato che c’era molto più cibo a disposizione di quanto non ne potesse essere cucinato, nacque l’idea dei supermercati. Il cibo che viene venduto proviene da molti luoghi diversi: «L’altro giorno ho ricevuto una chiamata da un cantiere navale. Qualcuno non aveva pagato l’affitto di un container e volevano che venisse svuotato. C’erano migliaia di scatole di piselli», ha raccontato in un’intervista. Al progetto dei ristoranti e dei supermercati è affiancato anche un progetto nelle mense scolastiche e di educazione contro lo spreco.
Ogni negozio ha una media di 10 dipendenti che lavorano insieme a molti volontari. Ogni negozio si finanzia da sé, e spesso chi non ha i soldi per pagare la spesa può mettere al servizio del locale le proprie competenze e lavorare come volontario al servizio del progetto. Il progetto ha anche dovuto affrontare dei problemi legali. Il Real Junk Food Project opera nell’area molto complicata dei regolamenti che riguardano la sicurezza alimentare e l’igiene; nell’aprile dello scorso anno, il negozio di Leeds è stato denunciato perché 444 articoli erano venduti oltre la data di scadenza, che è illegale. «Ma il nostro cibo ha sfamato più di un milione di persone e nessuno ha mai detto di essersi ammalato» dice Smith: «Quindi sappiamo cosa stiamo facendo». Alla fine i gestori dei magazzini si sono dovuti adeguare: il cibo che vendono oggi è prossimo alla scadenza, o già scaduto ma con l’etichetta che riporta però la dicitura “da consumarsi preferibilmente entro il…”. «Non sono comunque d’accordo. Queste date sono arbitrarie. Sono lì per spaventarti e farti comprare più spesso. Ma questa è la legge, quindi ci adeguiamo».
Smith ha anche detto di aver avuto dei contatti politici, per la riduzione dello spreco di cibo, ma che l’unico risultato ottenuto è stato con una catena di supermercati a cui ha offerto una consulenza perché i dirigenti si erano resi conto di quanto incidesse economicamente sui loro bilanci smaltire i prodotti in scadenza. «Questo significherà meno cibo per noi da portare via ogni giorno, ma è una buona cosa (…) Suppongo che il fine ultimo dell’industria sarà metterci fuori dal mercato, perché non ci sarà più spreco di cibo». Questo, ha detto, è proprio l’obiettivo del movimento.