Ci sono novità sugli attacchi informatici ai Democratici americani
12 funzionari dell'intelligence russa sono stati incriminati, a pochi giorni dall'incontro tra Trump e Putin
Il procuratore speciale Robert Mueller, l’uomo a capo dell’indagine sulle interferenze della Russia nella campagna elettorale statunitense del 2016, ha incriminato formalmente 12 agenti dell’intelligence russa per la violazione informatica ai danni del Comitato Nazionale del Partito Democratico e del comitato elettorale di Hillary Clinton. Il documento di 29 pagine che motiva la decisione di Mueller rappresenta l’accusa più concreta mossa finora dagli Stati Uniti alla Russia per quanto riguarda le interferenze sulle ultime presidenziali, e arriva a soli tre giorni dal primo incontro bilaterale tra il presidente statunitense Donald Trump e il presidente russo Vladimir Putin, in programma a Helsinki lunedì. L’incontro si farà comunque, ha detto Trump.
La violazione informatica per cui sono stati incriminati i 12 agenti russi avvenne in diverse riprese durante il 2016: gli hacker sottrassero documenti riservati e email private del Partito Democratico e di diversi membri dello staff di Clinton, compreso il capo della sua campagna elettorale John Podesta. Per farlo usarono varie tecniche, ma principalmente inviarono semplici email di “phishing” a vari dipendenti del partito: cioè contenenti dei link che, se cliccati, permettono agli hacker di rubare dati e password. Le email vennero poi pubblicate online, anche sul sito WikiLeaks: secondo Mueller, due dei tre utenti che le condivisero pubblicamente facevano parte dell’intelligence russa, mentre il terzo le aveva ottenute da un agente russo.
Ma il rapporto di Mueller parla di uno sforzo molto più ampio della Russia per interferire e sabotare le elezioni americane, che comprese riciclaggio di denaro e tentativi di violare le agenzie statali che supervisionano e controllano le elezioni. La Russia ha sempre negato le accuse, e anche Trump aveva finora sempre detto di essere scettico riguardo al coinvolgimento del governo russo nelle violazioni informatiche, sostenendo che avrebbe potuto compierle chiunque. Ha detto che al meeting con Putin gliene chiederà conto, anticipando però che non pensa di ottenere una confessione: «Non penso che avremo nessun “Oh cavolo, sì sono stato io, mi hai beccato”».
Nel documento diffuso da Mueller si dice che il primo tentativo russo per violare i sistemi informatici dei Democratici avvenne il 27 luglio 2016, cioè lo stesso giorno in cui Trump, in campagna elettorale, chiese pubblicamente alla Russia di hackerare le mail di Clinton. Trump si riferiva alle email che Clinton, giudicandole private, non aveva fornito all’FBI nell’ambito dell’inchiesta sul suo utilizzo del proprio account privato per gli affari di lavoro quando era segretario di Stato. «Russia, se stai ascoltando, spero tu possa trovare le 30mila email mancanti», aveva detto Trump.
Rod Rosenstein, il vice procuratore generale americano che supervisiona l’indagine (dato che il procuratore Jeff Sessions, in quanto coinvolto, aveva deciso di farsi da parte) ha spiegato che non ci sono ipotesi di reato a carico di cittadini americani. Il documento, tuttavia, dice che gli hacker russi furono in contatto con «una persona regolarmente in contatto con membri importanti del comitato elettorale di Trump». La persona è già stata identificata dai giornali americani come Roger Stone, noto stratega e consigliere politico di Trump. Lo ha ammesso lo stesso Stone, dicendo però che non sapeva stesse parlando con degli hacker russi: e non ci sono prove che non sia la verità.
Gli alleati di Trump hanno cercato di girare in proprio favore le conclusioni di Mueller, sottolineando che non contiene accuse di un coinvolgimento diretto e consapevole del comitato elettorale di Trump, che nessun cittadino americano è incriminato e che lo stesso documento non dice che le violazioni informatiche influirono concretamente sul risultato elettorale. Rosenstein ha però spiegato che le cose non stanno proprio così: ha detto che l’indagine non esplicita delle accuse dirette sulle conseguenze dell’operazione perché è una questione che va al di là delle competenze degli investigatori. «Sappiamo che l’obiettivo fu di avere un impatto sulle elezioni. Quale impatto ci sia stato, quali siano state le loro motivazioni, indipendentemente dalle prove necessarie per sostenere queste accuse, è una questione di speculazione».