La storia dell’attentato a Palmiro Togliatti

Venne colpito da tre colpi di pistola sparati fuori da Montecitorio da uno studente, e per qualche giorno sembrò che in Italia stesse per iniziare una rivoluzione

La prima pagina dell'edizione straordinaria dell'Unità che diede la notizia dell'attentato a Palmiro Togliatti, il 14 luglio del 1948 (ANSA)
La prima pagina dell'edizione straordinaria dell'Unità che diede la notizia dell'attentato a Palmiro Togliatti, il 14 luglio del 1948 (ANSA)

Alle 11.45 del 14 luglio 1948, l’allora segretario del Partito Comunista Italiano Palmiro Togliatti stava uscendo da Montecitorio, il palazzo di Roma dove ha sede la Camera dei deputati, quando lo studente Antonio Pallante gli sparò tre colpi di pistola. Erano passati tre mesi dalle prime elezioni politiche della storia repubblicana, in cui la Democrazia Cristiana aveva sconfitto i comunisti e i socialisti, e il clima politico e sociale in Italia era molto teso. Togliatti sopravvisse, ma l’attentato ebbe comunque grosse conseguenze: in tutta Italia furono organizzati scioperi e cortei di protesta e per qualche giorno sembrò che stesse per iniziare una guerra civile, o una rivoluzione comunista. Nei giorni successivi ci furono violenti scontri tra la polizia e i manifestanti: morirono in tutto 30 persone e altre 800 furono ferite.

L’attentato
Pallante era uno studente di giurisprudenza fuoricorso di 24 anni. Durante la campagna elettorale per le elezioni del 18 aprile 1948 aveva militato per il Blocco Democratico Liberal Qualunquista, un piccolo partito nato da una scissione del movimento antipolitico Fronte dell’Uomo Qualunque, quello da cui deriva il termine “qualunquismo”. Anni dopo, raccontando dell’attentato a Togliatti, Pallante disse che in quel periodo era animato da un «nazionalismo portato all’estremo».

Pallante acquistò una pistola e andò a Roma da Randazzo, in Sicilia, dove viveva con la famiglia, con il preciso obiettivo di uccidere Togliatti: già il 13 luglio, il giorno prima dell’attentato, aveva tentato di farsi ricevere dal segretario del PCI nella sede del partito, in via delle Botteghe Oscure. Non essendoci riuscito, era andato a Montecitorio per assistere a una seduta parlamentare, grazie a due permessi speciali ottenuti da un deputato democristiano e da uno comunista. Voleva infatti vedere dal vivo Togliatti, per assicurarsi di riconoscerlo prima di sparargli.

Quello stesso giorno il deputato socialdemocratico Carlo Andreoni, in un editoriale del quotidiano l’Umanità molto critico nei confronti di Togliatti, aveva dato al segretario del PCI del traditore e aveva scritto che la maggioranza degli italiani avrebbe dovuto avere il coraggio di «inchiodarlo al muro», «e non solo metaforicamente».

La mattina del 14 luglio, un mercoledì, Pallante si mise ad aspettare Togliatti in via della Missione, dove si trova un’uscita secondaria di Montecitorio, quella che Togliatti era solito utilizzare. Alle 11.45 Togliatti uscì dal palazzo insieme a Nilde Iotti, deputata e sua compagna. Iotti raccontò in seguito che Pallante sparò quattro colpi: dopo i primi tre Togliatti cadde a terra, e il quarto fu sparato quando già era disteso. Solo tre proiettili comunque lo colpirono: uno lo prese alla nuca, ma non gli sfondò la calotta cranica perché i proiettili non erano di buona qualità.

Caos
Togliatti fu portato di urgenza al Policlinico di Roma, dove fu operato dal chirurgo Pietro Valdoni. Intanto il direttore dell’Unità Pietro Ingrao fece uscire un’edizione straordinaria del quotidiano, per raccontare dell’attentato. Inizialmente si pensava che Togliatti sarebbe morto per le ferite, perché era stato colpito alla testa e aveva perso molto sangue. Non appena se ne sparse notizia ci furono le prime manifestazioni spontanee, e moltissime persone si radunarono fuori dall’ospedale. La CGIL indisse poi uno sciopero generale, che peraltro fu all’origine della scissione con la CISL (il 22 luglio 1948), con cui i sindacalisti cattolici si staccarono da quelli comunisti.

Le manifestazioni di reazione all’attentato furono organizzate in tutto il paese per chiedere le dimissioni del governo. Molti militanti comunisti le presero come un’occasione per far cominciare una rivoluzione in Italia, e dal giorno successivo parteciparono ai cortei armati: erano passati solo tre anni dalla fine della Seconda guerra mondiale e moltissime persone possedevano ancora molte delle armi che erano state usate durante il conflitto e nella lotta partigiana. Ci furono scontri con la polizia, morti, feriti e migliaia di arresti. Anche l’esercito fu mobilitato per gestire la situazione.

La prima pagina della seconda edizione straordinaria dell’Unità che diede la notizia dell’attentato a Palmiro Togliatti, il 14 luglio del 1948 (LAPRESSE/Archivio Storico)

Non appena si riprese dall’operazione chirurgica, Togliatti invitò i dirigenti del Partito Comunista e i suoi sostenitori a interrompere le manifestazioni per evitare che la tensione aumentasse. Già il 15 luglio Giuseppe Di Vittorio, il capo della CGIL, interruppe lo sciopero generale, e il giorno successivo i deputati comunisti ritirarono la richiesta di dimissioni del governo. Togliatti tornò alla direzione del PCI a settembre e criticò chi aveva partecipato al tentativo di insurrezione, in linea con la sua strategia di legittimazione dei comunisti come potenziale forza politica di governo.

Un’intervista a Togliatti del 30 luglio 1948:

Il racconto della storia dell’attentato e delle tensioni che lo seguirono negli anni ha spesso incluso anche il presunto contributo del ciclista Gino Bartali alla risoluzione della situazione. Il 15 luglio, infatti, Bartali vinse un’importante tappa del Tour de France (la notizia arrivò in Italia il giorno dopo) e il 25 il Tour stesso: fu un’impresa sportiva notevole visto che Bartali all’epoca aveva 34 anni. Qualcuno sostenne che l’entusiasmo per questo risultato contribuì a distrarre i manifestanti dai loro intenti di protesta e rivolta.

Cosa successe a Pallante
Subito dopo aver sparato contro Togliatti, Pallante fu fermato dai carabinieri e un anno dopo fu processato per tentato omicidio volontario: fu condannato e scontò cinque anni e tre mesi di carcere, grazie a riduzioni della pena e a un’amnistia nel 1953. Nonostante avesse sparato a Togliatti di sua iniziativa, dopo l’attentato furono fatte diverse ipotesi su possibili legami tra Pallante e diversi gruppi politici: dalla Democrazia Cristiana agli indipendentisti siciliani fino ai comunisti sovietici. Pallante è ancora vivo e abita a Catania; negli anni ha lavorato nel Corpo Forestale dello stato e poi come amministratore condominiale.

Antonio Pallante, condotto in aula per il processo per l’attentato a Togliatti, nel giugno del 1949 (ANSA)