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  • Venerdì 13 luglio 2018

Come hanno tirato fuori i ragazzi dalla grotta

Il New York Times ha parlato con soccorritori e sub, ancora increduli che sia andato tutto liscio in una situazione in cui molte cose potevano andare storte

(Thai Navy SEAL/Facebook)
(Thai Navy SEAL/Facebook)

Mentre aspettavano che i sommozzatori emergessero da un tratto allagato, insieme a uno degli ultimi ragazzi ancora intrappolati nella grotta thailandese di Tham Luang, i soccorritori in attesa hanno sentito uno strattone alla corda. Era il segnale che qualcuno stava per riemergere: in quel caso, l’undicesimo ragazzo e il suo accompagnatore. I soccorritori si erano preparati ad assisterli, ma il tempo passava senza che comparisse nessuno: un quarto d’ora, un’ora, un’ora e mezza. Sott’acqua, era successo un guaio: il sommozzatore aveva perso il contatto con la corda fissa che segnalava il percorso per uscire. Nel buio più completo, il sommozzatore è tornato indietro finché non l’ha ritrovata, e soltanto a quel punto ha potuto riprendere il percorso verso l’uscita insieme al ragazzo.

È una delle storie di come si sono svolti i salvataggi nella grotta in Thailandia, raccontate in un lungo articolo del New York Times, che aggiunge dei pezzi a quello che già sappiamo, anche se molte cose rimangono ancora da chiarire e saranno probabilmente raccontate soltanto tra qualche giorno. Per esempio cos’hanno fatto, al buio e con pochissimo cibo e acqua, i 12 ragazzi e l’allenatore della loro squadra di calcio nelle oltre due settimane in cui sono rimasti bloccati nella grotta. Per dissetarsi, racconta l’articolo, hanno leccato le pareti della grotta, ricoperte di condensa. Per cibarsi hanno mangiato quel poco che si erano portati dietro quando – per festeggiare il compleanno di uno di loro – avevano deciso di addentrarsi nella grotta, una gita che avevano già fatto in precedenza.

Imprevisti
I sommozzatori e i soccorritori intervistati dal New York Times sono accomunati dall’incredulità e dal sollievo per la totale riuscita delle operazioni di estrazione dei ragazzi. Nei tre giorni in cui sono stati tirati fuori non è andato storto praticamente niente, in una situazione in cui potevano andare storte moltissime cose.

Al decimo giorno di ricerche, il 2 luglio, quando ormai le speranze di trovare qualcuno vivo erano pochissime, una coppia di sub britannici è riemersa da un tunnel trovandosi davanti i dodici ragazzi e l’allenatore, emaciati e al buio. L’entusiasmo per il ritrovamento ha lasciato presto il posto alle preoccupazioni su come tirarli fuori, e alla teoria iniziale di lasciarli lì per mesi, fino alla fine della stagione dei monsoni. Le cose hanno cominciato a mettersi per il verso giusto quando il drenaggio dell’acqua dalla grotta ha iniziato a funzionare, e i livelli dell’acqua si sono abbassati rendendo il percorso molto più veloce e relativamente più semplice.

L’estrazione è comunque avvenuta nell’ultima finestra di tempo possibile, poco prima che le piogge aumentassero irreparabilmente, e in tempo perché l’ossigeno nell’ambiente in cui erano intrappolati i ragazzi non finisse. Secondo il New York Times il livello di ossigeno era sceso al ormai 15 per cento: al 12 per cento l’aria sarebbe diventata irrespirabile.

A gestire la logistica dell’estrazione è stata la squadra di soccorritori americani, che era anche quella che si era portata dietro le maschere speciali, che avvolgono tutto il viso rendendo più facile per i ragazzi respirare sott’acqua rispetto alle normali valvole dei sub. Arrivati sul posto, si sono però resi conto che le maschere da adulti forse erano troppo grandi per i ragazzini, e non avrebbero funzionato: provandole su alcuni ragazzi volontari in una piscina si è capito però che stringendo al massimo le cinque cinghie di regolazione diventavano abbastanza strette.

La squadra americana ha deciso di sistemare ogni ragazzo – a cui erano stati dati dei tranquillanti – in una specie di barella in plastica per tutta la durata del percorso: anche nei tratti sott’acqua, quindi, nei quali i sommozzatori li hanno trascinati con sé seguendo le corde fisse. Nei passaggi in cui il livello dell’acqua lo permetteva, le barelle sono state fatte galleggiare, spinte dai sub immersi in acqua. Nelle discese più ripide sono invece state fatte scivolare sopra i tubi del drenaggio, mentre sono state fatte scorrere su dei cavi sospesi per superare gli avvallamenti.

I sommozzatori ci hanno messo circa due ore a percorrere la parte con i tratti sott’acqua del percorso. In quella all’asciutto, squadre di soccorritori hanno fatto a turno per trasportare le barelle sopra le ripide salite che conducevano all’uscita.

Già prima delle operazioni vere e proprie, una cosa era andata storta: Saman Gunan, ex sommozzatore della Marina thailandese di 38 anni, che si era unito ai soccorsi come volontario, è morto la scorsa settimana mentre stava disponendo delle bombole d’aria in un tratto sott’acqua. La sua famiglia non ha voluto un’autopsia, ma si pensa che sia morto per aver finito l’aria nelle bombole o per ipotermia.

L’ultimo studio conosciuto sulla grotta di Tham Luang era stato condotto nel 1980 da una spedizione francese: anche per questo nei giorni delle operazioni sono circolate stime e cifre anche molto contrastanti sulle dimensioni della grotta. La grotta è considerata molto ostica dagli speleologi, secondo il New York Times, e infatti nel primo weekend di ricerche, quello del 23 e 24 giugno, i sommozzatori thailandesi non sapevano come approcciarsi agli stretti tunnel allagati, in cui all’occorrenza di un problema non basta riemergere in superficie. Non avevano nemmeno l’attrezzatura adatta, e inizialmente hanno dovuto attaccare goffamente le torce ai caschi con dello scotch. Sono dovuti poi intervenire i sommozzatori britannici, i migliori del mondo, arrivati apposta per aiutare le ricerche.

Ruengrit Changkwanyuen, un dirigente thailandese di General Motors appassionato di immersioni e speleologia, è stato tra i primi a presentarsi come volontario per dare una mano, il 25 giugno. Nuotando nei tunnel sotterranei, ha detto di essere rimasto sconvolto quando ha messo la testa di traverso rispetto al flusso d’acqua e le forti correnti gli hanno tolto di dosso la maschera. «Era come camminare in una cascata». A un certo punto delle ricerche altri due sommozzatori sono spariti, per riemergere soltanto 23 ore dopo gravemente a corto d’ossigeno, tanto da dover essere portati d’urgenza in ospedale.

Ma l’imprevisto più grande, già raccontato dal Guardian, è successo poche ore dopo che l’ultimo ragazzo era uscito. Una pompa di drenaggio si è rotta all’improvviso causando un rapido aumento del livello dell’acqua, e costringendo decine di persone ancora dentro alla grotta a uscire in fretta e furia. Uno dei Navy SEAL ha raccontato al New York Times che il livello dell’acqua nel punto dove si trovava, che normalmente arrivava alla vita, si è alzato velocemente fino al petto. Lui non aveva l’attrezzatura da sub e si trovava circa 700 metri dall’uscita della grotta, ma è riuscito comunque a uscire. Per tutta la missione ha portato un ciondolo con un Buddha al collo: «La grotta è sacra», ha detto, «è stata protetta fino alla fine».