Dio è maschio?
No, ovviamente, ma le sue raffigurazioni e le parole usate per descriverlo lo trattano da maschio: la Chiesa episcopale statunitense ne sta parlando, per cambiare le cose
La maggior parte delle immagini che rappresentano Dio, nell’arte figurativa, lo mostrano come un uomo con la barba; la maggior parte delle parole che nelle preghiere e nei testi sacri si riferiscono a Dio sono quasi sempre declinate al maschile: Padre, Re, Signore, Pastore e così via. In questi giorni all’interno della Chiesa episcopale statunitense – dove le donne possono essere ordinate prete, dove si celebrano i matrimoni tra gay e lesbiche e dove alcuni religiosi sono apertamente omosessuali – si sta discutendo di rivedere il Libro delle preghiere comuni per chiarire che Dio non ha un genere: per rimuovere, cioè, tutti i riferimenti al genere maschile quando si evoca Dio. Non si parlerebbe di una Dea, ma di un’entità creatrice divina che trascenderebbe il sesso biologico in cui sono distinti gli esseri umani: e questo perché Dio non è considerato umano.
Il Libro delle preghiere comuni è il testo di riferimento dottrinale e liturgico della Chiesa episcopale: le parole di quel libro sono fondamentali per i credenti e le credenti. Insomma, non si può dire – come spesso accade quando si parla di linguaggio inclusivo – che il modo di dire le cose non sia molto importante e che ci siano battaglie più urgenti. Per i credenti della chiesa episcopale questa faccenda è molto importante, ed è per questo che la discussione è molto vivace ed è stata raccontata da diversi giornali.
La scorsa settimana a Austin, in Texas, è iniziato l’incontro che si svolge ogni tre anni tra i leader della Chiesa episcopale statunitense (è ancora in corso e terminerà il 13 luglio). Per quanto riguarda la revisione del Libro, sono state proposte due diverse soluzioni. La prima, più radicale, prevede una profonda revisione del testo, che è stato riformato per l’ultima volta nel 1979. Una revisione generale richiederebbe però molto tempo e anche un grande impegno economico: questo significa che la nuova versione non potrebbe essere pronta prima del 2030. Chi la chiede pensa che ci sarebbe bisogno di un linguaggio più chiaro ed esplicito su varie questioni: c’è chi desidera vengano inseriti dei passaggi sul dovere di un buon cristiano di prendersi cura della Terra, chi intende aggiungere una preghiera per celebrare l’adozione di un nuovo nome da parte di una persona transgender o per celebrare il matrimonio tra persone dello stesso sesso. Ma la revisione più significativa e popolare è quella che ha che fare con il linguaggio con cui ci si riferisce a Dio.
Il reverendo Wil Gafney, professore alla Brite Divinity School del Texas ha detto: «Fino a quando gli uomini e Dio saranno nella stessa categoria, il nostro lavoro verso l’equità non sarà completo». Gafney ha spiegato che quando predica, a volte cambia le parole del Libro, anche se i sacerdoti episcopali non sono formalmente autorizzati a farlo. A volte sostituisce la parola “King” con un termine di genere neutro come “Ruler” o “Creator”. A volte usa “She” invece di “He”, ma non vuole ignorare le regole e vorrebbe che il libro venisse modificato. Kelly Brown Douglas, un teologo che ha fatto parte del comitato che ha raccomandato un cambiamento radicale del libro in senso neutrale rispetto al genere, ha detto che nella nuova versione non solo verrebbe sostituita la parola “Lord” con “Sovereign” (“Signore” con “Sovrano”), ma che Dio verrebbe indicato anche come Creatore, come Liberatore, come Sostenitore, come colui che ama. Verrebbero insomma usate delle parole per descrivere Dio «nel nostro mondo»: «Questa, per me, è la sfida teologica: allontanarmi dai nomi statici che non ci dicono niente». Il reverendo Ruth Meyers, che insegna liturgia alla Church Divinity School of the Pacific di Berkeley, in California, ha aggiunto che la proposta di revisione non dovrebbe essere vista come un tentativo di neutralizzare Dio: «Non si tratta di eliminare il linguaggio su Dio Padre e su Gesù che è Figlio. Si tratta di espandere il linguaggio di Dio in modo che ogni persona possa vedere e comprendere di essere fatta ad immagine di Dio».
Per chi ci crede, Dio è un essere puramente spirituale, non ha sesso: semplicemente è. Si potrebbe aggiungere che Dio è nella sua perfezione. Per la maggior parte delle chiese, però, Dio è la perfezione declinata al maschile ed è questa interpretazione e questa raffigurazione che hanno prevalso nonostante nella Bibbia, per esempio, non manchino immagini di Dio al femminile, soprattutto materne. Storicamente, è abbastanza logico spiegare perché questo sia avvenuto: un Dio maschio dominava la terra, un Re maschio dominava le terre e il Padre dominava la famiglia. Quando alla fine dell’Ottocento sono nate le teologie femministe e le donne hanno cominciato a rileggere i libri sacri dal loro punto di vista, si posero l’obiettivo di mostrare come quei testi non fossero una rivelazione letteralmente ispirata, ma formulazioni prodotte all’interno di un determinato contesto storico e culturale, nel quale persistevano diverse forme di discriminazione e oppressione. L’esegesi femminista ha dunque analizzato in che modo, nel corso dei secoli, le chiese e le costruzioni teologiche abbiano ostacolato o sminuito le donne e ha poi individuato delle strategie per superare le condizioni di quella stessa oppressione.
Uno dei passi più citati dalla teologia femminista e che più interessa in questo caso è il primo capitolo della Genesi, quello in cui Dio pensa e crea il mondo. A un certo punto si dice: «Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò». Per molto tempo, l’interpretazione teleologica prevalente sosteneva che Dio avesse creato l’uomo inteso come uomo maschio, immagine perfetta e rappresentativa di tutta l’umanità (la donna, in questo senso, era una derivazione imperfetta con un ruolo ben preciso, quello della riproduzione). La teologia femminista (secondo un’interpretazione che è ormai diventata anche la più diffusa) la parola “uomo” va intesa invece come “umanità”. Nel versetto analizzato non si dice poi che “Dio li creò maschio o femmina”, ma che “Dio li creò a sua immagine come maschio e femmina”. E questo significa che sia i maschi che le femmine sono a immagine di Dio, che sia i maschi che le femmine possono fornire le immagini e le parole per dire Dio: immagini che provengono dall’esperienza di ciascuno come maschio e come femmina. Dunque Dio sarà sia padre che madre, sia sposo che sposa.
In italiano tutta questa operazione è più complicata, perché non c’è il genere neutro e si dovrebbe dunque fare una scelta di volta in volta che dovrebbe essere però (volendolo) più equilibrata nel suo insieme. Ma l’obiettivo sarebbe comunque lo stesso: tornare ai fondamenti del principio divino, cosa che secondo alcuni sarebbe intellettualmente anche più onesto che mostrare un signore che genera e crea e che ha la barba lunga e bianca.
Tutte queste operazioni, naturalmente, hanno poco a che fare con la lingua: sono un espediente di disinnesco di potere e possono avere un grande impatto al di là dei libri sacri. Un seminarista che ha partecipato all’incontro della Chiesa episcopale ad Austin in questi giorni, ha detto: «Lasciamo che Dio sia Dio». Ha spiegato che la lingua di genere sta ostacolando il suo lavoro per «evangelizzare i giovani» e per «aiutarli a vedere che Dio è più grande di qualsiasi costrutto umano»: i bambini di tutti i sessi dovrebbero ascoltare un linguaggio che permetta loro di sentirsi fatti a immagine di Dio.
La seconda opzione che sarà discussa a Austin sostiene invece che non sia necessario aggiornare il Libro, ma studiarlo in modo più approfondito per i prossimi tre anni. Questa è la posizione del vescovo di Chicago Jeffrey Lee, il quale ritiene però che per soddisfare i sacerdoti che vogliono testi neutrali dal punto di vista del genere (e che il Washington Post definisce “preti femministi”) sarebbe sufficiente affiancarlo con testi alternativi autorizzati, che i vescovi potrebbero scegliere di far utilizzare ai sacerdoti delle loro diocesi. Lee è un membro del comitato che prenderà in considerazione le due mozioni e che ne presenterà una – o una terza alternativa – agli organi legislativi della Chiesa che sono riuniti in questi giorni ad Austin.
Anche se pensa che la chiesa dovrebbe concentrarsi su ciò che c’è già, e non su una profonda revisione, Lee ha spiegato che gli eventi degli ultimi mesi hanno mostrato l’importanza di ascoltare le richieste delle donne. Ha esplicitamente citato il movimento #MeToo dicendo che ha posto delle questioni che hanno a che fare anche con il linguaggio e in particolare con il modo in cui immaginiamo Dio: se il linguaggio per riferirsi a Dio è esclusivamente maschile, e se è maschile l’immagine di ciò che rappresenta il potere, allora ci si riferisce o si rimanda a un’immagine di Dio che è di fatto incompleta. «Non possiamo definire Dio. Possiamo dire qualcosa di profondamente vero su Dio, ma il mistero che osiamo chiamare Dio è sempre più grande di qualsiasi cosa possiamo immaginare».
Per chi sostiene invece la mozione della revisione totale, non cambiare le parole del Libro delle preghiere comuni sarebbe, in questo momento storico, «molto dannoso». Si sta infatti parlando del libro che si trova nelle Chiese episcopali e del libro che ciascun credente ha nella propria casa. «Finché un Dio maschile rimane in cima alla piramide, nient’altro importa. Costruiamo un quadro teologico in cui parliamo dell’uguaglianza di genere, ma poi diciamo che ciò che è santissimo nell’universo è solo ed esclusivamente maschile. Questo semplicemente annulla le teologie che affermano che siamo uguali agli occhi di Dio».
L’operazione sul linguaggio neutrale è stata già affrontata da altre chiese protestanti, come la Chiesa metodista unita del Regno Unito e la Chiesa evangelica luterana negli Stati Uniti. Nel 2007 il movimento dell’ebraismo riformato ha sostituito il suo libro di preghiere del 1975 con una nuova edizione in cui ci si riferisce a Dio in termini di neutralità di genere. Ad esempio: “Dio dei nostri padri” è diventato “Dio dei nostri antenati” e la formula “Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe” è stata allungata con “Dio di Sara, Dio di Rebecca, Dio di Lia e Dio di Rachele”. Nel 2017 anche la Chiesa di Svezia ha chiesto ai suoi membri di non riferirsi più a Dio usando termini o pronomi che indichino un genere e di usare invece un linguaggio neutro. L’arcivescova Antje Jackelén aveva detto: «Teologicamente sappiamo che Dio è al di là delle nostre determinazioni di genere, Dio non è umano».