Come la moda diventerà più sostenibile

Dieci previsioni messe insieme dal Guardian su uno dei settori industriali che rispettano meno l'ambiente, ma forse ancora per poco

La snowboarder paralimpica statunitense Amy Purdy balla con un robot indossando un abito stampato in 3D dalla stilista Danit Peleg, alla cerimonia di apertura delle Olimpiadi di Rio de Janeiro, in Brasile, 7 settembre 2016
(YASUYOSHI CHIBA/AFP/Getty Images)
La snowboarder paralimpica statunitense Amy Purdy balla con un robot indossando un abito stampato in 3D dalla stilista Danit Peleg, alla cerimonia di apertura delle Olimpiadi di Rio de Janeiro, in Brasile, 7 settembre 2016 (YASUYOSHI CHIBA/AFP/Getty Images)

La giornalista Lucy Siegle, considerata tra una delle promotrici della “moda etica” in Regno Unito, ha raccolto sul Guardian dieci previsioni su come la moda potrebbe diventare più ecosostenibile nei prossimi anni, o perlomeno dieci cose che le grandi aziende potrebbero fare a questo scopo. Secondo un recente rapporto della ONG ambientalista Stand.Earth, infatti, l’industria della moda è responsabile dell’8 per cento dell’inquinamento ambientale in tutto il mondo; se fosse una nazione, sarebbe al quarto posto della classifica degli stati che inquinano di più.

L’opinione pubblica sta spingendo da anni le aziende a trovare soluzioni più rispettose dell’ambiente (le pellicce lo sono più dei materiali sintetici?) e si stanno diffondendo sempre di più nuovi tessuti, capi riciclati e nuove tecniche di produzione, come la stampa degli abiti in 3D o la seta di banano. Ogni anno vengono prodotti 100 miliardi di nuovi capi, spesso con materiale non riciclato, che restano in parte invenduti nei negozi: per questo molti criticano la cosiddetta fast fashion, le grandi catene che offrono continuamente nuovi capi alla moda a prezzi accessibili, ma realizzati sfruttando l’ambiente e in condizioni difficili per i lavoratori.

1) Eco-pelle di ananas e seta di banano
Tra i tessuti che usiamo di più ci sono il cotone, la cui coltivazione richiede un massiccio impiego di pesticidi, e il poliestere, che deriva dal petrolio. Nei prossimi anni saranno probabilmente sostituiti da tessuti lavorati dalle fibre del materiale di scarto agricolo, come il filato di seta di banano, che deriva dalla lavorazione delle foglie dell’albero, e l’eco-pelle di ananas, ottenuta sempre dalla lavorazione delle foglie. L’azienda spagnola Piñatex l’ha già brevettata e messa in commercio: per produrre un metro quadrato di eco-pelle di ananas servono 480 foglie e si spende la metà rispetto alla pelle tradizionale di mucca (con una notevole riduzione dell’inquinamento e dei costi dovuti all’allevamento del bestiame).

2) Avremo borse di lievito fermentato
L’azienda del New Jersey Modern Meadow ha inventato un’eco-pelle mescolando zucchero con cellule di lievito prodotte per creare il collagene; il composto viene pressato in fogli e conciato in un processo rispettoso dell’ambiente. Questa bio-pelle, come la chiama Siegle, sarà in commercio dal 2020 ma il mondo della moda già ne parla perché sembra quella animale. Intanto l’azienda Bolt Threads sta provando a ricavare la seta dal lievito.

3) Useremo coloranti naturali
Sempre più aziende abbandoneranno i coloranti chimici tossici a favore di pigmenti naturali estratti da piante, melassa e micro-organismi, che non contengono metalli pesanti, acidi e solventi. Queste tecniche usano un decimo dell’acqua usata nella tintura tradizionale.

4) Lavatrici contro microfibre
I tessuti sintetici sono un buon sostituto delle pellicce e di quelli derivati dagli animali, ma nel lavaggio in lavatrice perdono spesso una piccola quantità di microfibre, frammenti di plastica di dimensione inferiore a 5 millimetri, inquinando l’ambiente marino. Il parlamento della California ha già chiesto che per legge gli abiti che hanno il 50 per cento di poliestere portino un’etichetta che avverta della perdita di microfibre e inviti a lavare i capi a mano. Intanto esistono già lavatrici con filtri e sacchi a maglie per contenere le microfibre: probabilmente in futuro diventeranno obbligatorie.

5) Un cardigan di lana costerà come una Birkin
La lana e il cotone biologico saranno tessuti sempre più preziosi: le fibre naturali costeranno molto e i vecchi capi in questi tessuti saranno tramandati come oggetti preziosi. Sarà sempre più usata la lana rigenerata, cioè ottenuta dal riciclaggio di abiti in lana o da scarti; lo sfruttamento intensivo di bestiame lascerà il posto a pochi greggi di capre e pecore da cui si ricaveranno – poche – lane pregiate.

6) In palestra vestiti di seta
Siegle disegna un quadro di nuovi tessuti ecosostenibili o modificati chimicamente per essere impiegati in modi nuovi e spesso più efficienti. In particolare Silk Inc, un’azienda fondata nel 1989 negli Stati Uniti che produce e vende oggetti e tessuti in fibre naturali, in Regno Unito ha registrato sei brevetti che coprono 75 formule chimiche. Ha anche scoperto un processo che permette di creare in acqua le proteine della seta e che è in grado di trasformare la seta da idrorepellente a traspirante: in questo modo il sudore oltrepassa il tessuto, che può essere usato anche per l’abbigliamento sportivo. Questo processo può anche essere usato per rivestire il cashmere o il nylon e impedire alla lana e ad altri materiali di rovinarsi nel lavaggio ad acqua.

7) Ti stamperai il vestito in 3D
Stamparsi i vestiti in 3D permetterà di evitare troppi capi invenduti, fabbricando soltanto quelli che un cliente desidera davvero comprare, nel modello e nella taglia esatti. Funziona così: prima si scannerizza la forma del corpo in 3D, poi si compra un file con il modellino desiderato e una stampante o maglieria 3D lo realizzerà a casa o in un negozio vicino. Alcune aziende si stanno avventurando in questo settore, come la stilista 29enne Danit Peleg. Si era già parlato di lei nel 2016 perché l’atleta olimpica Amy Purdy aveva indossato un suo abito in 3D mentre ballava con un robot alla cerimonia di inaugurazione dei Giochi paralimpici di Rio. L’anno scorso Peleg aveva messo in vendita il primo indumento in 3D; per stamparlo ci volevano 100 ore ma è una tecnologia che nei prossimi anni diventerà più rapida.

8) Ri-compreremo gli stessi tessuti
I vestiti che compreremo saranno spesso realizzati con tessuti riciclati dai capi di cui ci siamo liberati. Da anni grandi marchi come H&M ritirano vestiti usati e rovinati in cambio di un buono o di uno sconto, per poi usarli per i capi della stagione successiva. L’azienda Patagonia ha aperto, insieme al rivenditore online Yerdle, il sito Worn Wear: basta portare in un negozio i capi di Patagonia che non si desiderano più in cambio di un buono; i capi vengono lavati, ravvivati e rivenduti online sul sito a prezzi inferiori.

9) Riparare certi vestiti sarà più facile
Alla Penn State University le proteine dei rostri di calamaro vengono trasformate in liquido e usate per rivestire i materiali. Se un tessuto si rompe si può riparare facilmente rimettendo insieme i due bordi e versandoci sopra acqua calda, senza bisogno di colle e cuciture. Al momento queste proteine sono usate nelle applicazioni mediche ma nel giro di dieci anni, dice Siegle, potrebbero venire usate anche nel mondo della moda.

10) I tuoi vestiti non saranno veramente tuoi
Negli ultimi tempi stanno nascendo sempre più servizi che permettono di abbonarsi e noleggiare per un periodo limitato una certa quantità di abiti: è un modo per risparmiare e vestirsi in modo sempre diverso senza lasciare capi inutilizzati nel guardaroba. Uno dei più conosciuti e convenienti è Le Tote, che offre diversi tipi di abbonamento mensile; quello costa 69 dollari al mese e permette di scegliere 8 capi, di cui 5 di abbigliamento e 3 accessori. Se decidete di acquistarli potete comprarli al 50 per cento del loro costo. Secondo una ricerca riportata dal giornale britannico Indipendent, il 40 per cento dei londinesi intervistati sarebbe disposto a pagare 200 sterline al mese per un guardaroba illimitato di abiti, una sorta di Netflix della moda.