Toste in tulle
Il tessuto simbolo di femminilità romantica è tornato di moda con un nuovo significato: femminista, liberatorio e non solo da donne
A Parigi sono i giorni della haute couture, quando i marchi più importanti presentano le collezioni di alta moda per il prossimo autunno/inverno: sono abiti su ordinazione e su misura, dai materiali preziosi ed elaborati, cuciti e decorati a mano. C’è chi, come lo stilista John Galliano, si è arrischiato ad appaiare seta e organza con nylon e gommapiuma, ma uno dei tessuti più visti resta il tradizionale tulle, il più elegante, femminile, e leggiadro di tutti. Rhonda Galerick racconta sul sito Fashionista che da qualche tempo è ricomparso con frequenza anche nelle collezioni di ready-to-wear, con gli abiti confezionati pensati per la vita di ogni giorno, come quelle per la primavera/estate 2018 di Saint Laurent, Moschino, Alexander McQueen e Oscar de la Renta.
Può sembrare strano che un tessuto dall’immaginario così romantico e delicato torni di moda ai tempi del movimento femminista del #metoo e di una profonda messa in discussione dei confini dell’identità di genere. Non sarebbe però la prima volta che il tulle, proprio per il suo significato, viene indossato con un intento ribelle e sovversivo: strappato, con gli anfibi, con le calze a rete, per rivendicare un modo indipendente di essere donne.
La storia del tulle è abbastanza recente ed è associata alla città francese di Tulle, da cui ha preso nome, che nel Settecento era famosa per il pizzo e per la seta. In quel periodo i suoi artigiani inventarono un tessuto in maglie esagonali simili a un nido d’ape: la rete tulle. Anche se la lavorazione è cambiata nel tempo, si tratta sempre di una garza dall’intreccio rarefatto ma resistente, filata in fibre naturali come cotone e seta, o sintetiche come poliestere, il più comune, nylon e lurex. La produzione venne industrializzata nell’Ottocento, grazie alla macchina per tessere il pizzo inventata nel 1809 dall’inglese John Heathcoat. Da allora il tulle è usato soprattutto nei vestiti da sera e da cerimonia, nell’intimo e negli abiti da sposa; una moda, quest’ultima, diffusa dalla regina Vittoria d’Inghilterra, che nel 1840 si sposò con un abito bianco in tulle.
Soprattutto divenne il tessuto distintivo dei tutù della danza classica: il primo fu indossato nel 1832 dalla grande ballerina Marie Taglioni in La Sylphide, sulle figure mitologiche germaniche degli spiriti dei venti, raffigurate come ragazze snelle e leggere. A inizio Novecento il sarto inglese Frederic Worth rese famoso il cappello con veletta; in quegli anni il tulle non mancava mai nelle ampie gonne in crinolina delle signore della buona società.
Dopo l’austerità della Seconda guerra mondiale, il tulle fu rilanciato nel 1947 dallo stilista francese Christian Dior con la collezione Corolle che inaugurò il New Look, lo stile elegante, femminile e sfarzoso che fece la fortuna di Dior. Un altro picco di successo arrivò nel 1954 grazie al film La finestra sul cortile di Alfred Hitchcock, dove l’attrice Grace Kelly indossa un abito dal corpetto stretto e una voluminosa gonna in tulle. Fu disegnato da Edith Head, una costumista della Paramount Pictures, e divenne uno degli abiti più celebri della storia del cinema.
C’è un altro vestito in tulle che potrebbe reggere il confronto per fama, ed è il tutù indossato da Carrie Bradshaw nei titoli di testa di Sex and the City, in onda per la prima volta nel 1998. Patricia Field, la leggendaria costumista della serie tv, raccontò di averlo acquistato nel cesto dei vestiti più scontati di un negozio, a 5 dollari. Carrie, con tutù, riccioli biondi e canotta rosa attillata, entra in scena carica delle contraddizione della donna moderna che incarna: un’eroina esile e romantica alla ricerca del Principe Azzurro, e insieme una donna moderna, indipendente e sexy.
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Così come si era aperta, la serie si chiuse sei anni dopo, nel 2004, con Carrie che indossa un’altra gonna in tulle, stavolta verde e lunga fino a metà gamba. La storia finisce [SPOILER] con lei e Mr. Big, l’uomo di cui era innamorata sin dall’inizio, definitivamente insieme. Come scrive Rhonda Garelick sul sito Bustle, «Carrie compare un’ultima volta come una principessa, in un ampio tutù di tulle. Ma questa volta non è di un bianco virginale ma di un verde sirena; e non scopre le gambe ma è abbastanza lunga da coprirle. Non è più tempo di mettere la merce in mostra: Carrie Bradshaw finalmente non è più sul mercato».
Nel frattempo molti stilisti hanno usato il tulle per riflettere sulle anime opposte della moda e della donna contemporanea. Nel 1986 divenne famoso quello rosso dello stilista giapponese Yohji Yamamoto, fotografato dal celebre Nick Knight; vent’anni dopo la stilista giapponese Rei Kawakubo di Comme des Garçons lo ripropose nella collezione “Biker + Ballerina” della primavera 2005: la mascolinità delle giacche in pelle era mescolata a frivoli tutù rosa per raccontare una nuova femminilità, tosta e piena di autodisciplina; gli stilisti olandesi Viktor & Rolf ci giocarono nella collezione primavera/estate 2010, con le ampie gonne in tulle tranciate o bucherellate come fossero Groviera.
La sovversione più pop del tutù resta quella di Madonna, che nel video del singolo Like a Virgin e nella copertina dell’omonimo disco (1983), fotografata da Steve Meisel, indossa un abito da sposa con corpetto e gonna in tulle, e in vita una cintura con scritto “boy toy”.
Negli ultimi anni è diventato normale indossare una gonna in tulle con anfibi, leggings e sneaker, e molti stilisti mescolano il tessuto con indumenti sportivi e tagli maschili. Il tulle ha avuto un’ulteriore evoluzione nel settembre 2016, quando la stilista Maria Grazia Chiuri ha presentato la sua prima collezione per Christian Dior (è la prima donna a ricoprire il ruolo di direttrice creativa del marchio francese). La collezione aveva un forte messaggio femminista e si rivolgeva soprattutto ai più giovani per guidarne una sorta di rivoluzione: per farlo ha combinato abiti e accessori di streetwear (il modo di vestire informale ispirato a quello della strada) con gonne in tulle e le ormai celebri magliette con gli slogan “Dio(r)evolution” e “We Should All Be Feminists”. Le gonne in tulle erano già la cifra stilistica di Chiuri quando lavorava per Valentino, la novità fu il significato politico che diede loro da Dior.
Qualcosa di simile ha fatto lo stilista Kim Jones nella sua prima collezione maschile, sempre per Dior: facendo indossare a un modello una camicia con piume in organza e tulle ha rimarcato il superamento degli stereotipi di genere.
The Dior Men Summer 2019 collection featured a host of subtly luxurious savoir-faire, such as this abstracted feather decoration by Atelier Janaïna Milheiro on a tulle shirt. More https://t.co/SSNVqNVADG.#DiorSummer19 #DiorSavoirFaire pic.twitter.com/z9SnK9ekvl
— Dior (@Dior) June 29, 2018
«La democratizzazione del tulle – conclude Idacavage su Fashionista – ha affermato l’idea che la moda popolare e i ruoli di genere non sono più codici a cui attenersi rigidamente. Nella sua incarnazione moderna il tulle si può portare senza essere per forza remissive, e allo stesso tempo non c’è niente di male in una gonna frivola se ti fa felice. Nel nostro mondo possiamo permetterci un po’ di gioia in più nel guardaroba; sarà chi indossa gli abiti a decidere se avranno anche un messaggio femminista oppure no».