La storia dei soldi della Lega, dall’inizio
Cosa ha deciso la Cassazione, come ci si è arrivati e cosa dicono invece Matteo Salvini e gli avvocati del suo partito
La principale notizia sulle prime pagine dei giornali di oggi è la sentenza con cui la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso presentato dalla procura di Genova che chiede di estendere il blocco dei fondi della Lega anche al denaro che arriverà in futuro al partito. Nelle sue motivazioni, la Cassazione ha stabilito quindi che ogni somma di denaro riferibile alla Lega, il partito guidato dal ministro dell’Interno Matteo Salvini, può essere sequestrata “ovunque venga rinvenuta” d’ora in poi: su conti bancari, libretti o depositi.
È una storia che comincia da lontano, e che riguarda il più grave scandalo che abbia coinvolto la Lega. Nel luglio del 2017 infatti il tribunale di Genova aveva condannato per truffa ai danni dello Stato il fondatore della Lega Nord, Umberto Bossi, e l’ex tesoriere del partito, Francesco Belsito, oltre a tre dipendenti del partito e due imprenditori. Il procedimento riguardava i rimborsi elettorali ricevuti dalla Lega – che allora si chiamava Lega Nord – tra il 2008 e il 2010, che erano stati utilizzati invece per spese personali. Lo scandalo era nato nei primi mesi del 2012, quando Belsito venne indagato per la sua gestione dei rimborsi elettorali ricevuti dal partito, trasferiti in alcuni casi all’estero dove erano stati investiti in varie attività, tra cui l’acquisto di diamanti. La vicenda aveva portato alle dimissioni di Bossi dalla carica di segretario e alla sua condanna a 2 anni e 6 mesi. L’allora tesoriere del partito, Francesco Belsito, era stato condannato a 4 anni e 10 mesi.
Sempre nel 2017 e nell’ambito del processo per truffa, il tribunale di Genova aveva deciso di procedere alla confisca al partito di circa 49 milioni di euro (48 milioni e 969 mila e 617 euro, per la precisione), a titolo di risarcimento per i rimborsi ingiustamente utilizzati: quale «somma corrispondente al profitto, da tale ente percepito, dai reati per i quali vi era stata condanna». Il 4 settembre del 2017 la procura di Genova aveva chiesto e ottenuto con un decreto il sequestro preventivo finalizzato alla confisca della somma, ma nei conti correnti della Lega erano stati trovati solo circa 2 milioni di euro. Non era chiaro se il decreto dovesse riguardare solo i fondi che già si trovavano sui conti al momento del provvedimento di sequestro (come sostengono gli avvocati della Lega) o anche le somme depositate successivamente. La procura aveva richiesto di estendere l’esecuzione del sequestro anche alle somme che sarebbero arrivate da lì in poi alla Lega fino al raggiungimento della somma stabilita, cioè circa 49 milioni, ma il tribunale del Riesame aveva respinto la richiesta.
I pubblici ministeri di Genova avevano allora presentato un ricorso in Cassazione che, lo scorso 12 aprile, si era pronunciata: solo ieri, però, sono state depositate le motivazioni. La Cassazione ha accolto il ricorso e ha annullato con rinvio al Riesame l’ordinanza con la quale, in base al decreto già emesso in settembre, era stato fermato il sequestro delle somme future. Il Riesame dovrà ora emettere un nuovo provvedimento tenendo però in considerazione le indicazioni e le motivazioni della Cassazione, che sono vincolanti.
Nelle motivazioni della sentenza di Cassazione si legge che «la fungibilità del denaro e la sua stessa funzione di mezzo di pagamento non impongono che il sequestro debba necessariamente colpire le medesime specie monetarie illegalmente percepite», ma «la somma corrispondente al loro valore nominale, ovunque venga rinvenuta, una volta accertato, come nel caso in esame, il rapporto pertinenziale quale relazione diretta, attuale e strumentale, fra il danaro oggetto del provvedimento di sequestro ed il reato del quale costituisce il profitto illecito». Il senso della sentenza della Cassazione è dunque che quella somma deve essere recuperata dallo Stato, poiché ingiustamente utilizzata dalla Lega: se al momento del decreto del 4 settembre i soldi sui conti della Lega non c’erano, quella cifra sarà messa insieme con i nuovi soldi che entreranno.
Nel frattempo, sempre a Genova è stata aperta un’indagine per riciclaggio a carico d’ignoti sui soldi spariti, o almeno su una parte: l’ipotesi della procura è che la Lega – non è chiaro quando ma durante le gestioni successive a Bossi, quindi quelle di Roberto Maroni e Matteo Salvini – abbia cercato di nascondere parte dei propri soldi per evitare che venissero sequestrati, trasferendoli in Lussemburgo per poi farli rientrare in Italia. A segnalare alle autorità antiriciclaggio italiane queste manovre finanziarie è stato lo stesso Lussemburgo, che ha considerato sospetto il rientro in Italia della somma. Secondo la procura, la banca dalla quale i soldi sono stati trasferiti e poi rimpatriati sarebbe la Sparkasse, la Cassa di Risparmio di Bolzano.
Poche ore dopo il deposito delle motivazioni della Cassazione, ospite a In Onda, programma su La7, Matteo Salvini ha detto che quei 49 milioni di euro «non ci sono: posso fare una colletta, ma è un processo politico che riguarda fatti di 10 anni fa su soldi che io non ho mai visto». E ancora: «Se ci sono fatti di dieci anni fa, si pensi a quelli che c’erano dieci anni fa; i milioni di italiani che col 2 per mille danno un contributo al nostro partito non c’entrano. Siamo sereni». Alcune inchieste giornalistiche avrebbero però scoperto che sia Salvini che Maroni avrebbero utilizzato una parte dei 49 milioni di euro frutto della truffa tra il 2011 e il 2014.
Le parole di Salvini sulla «colletta», sostiene oggi Repubblica, «non sono distanti dai ragionamenti in corso in via Bellerio. Siccome tutti gli eletti, dai parlamentari ai consiglieri regionali, da sempre versano una quota della propria indennità al partito, un’idea è far finanziare le iniziative della Lega direttamente dagli eletti. (…) Senza dimenticare il nuovo soggetto politico, la “ Lega per Salvini premier”, il cui statuto è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale. Formalmente un partito diverso dalla Lega. Sul quale, sperano i vertici del Carroccio, la procura genovese potrebbe non avventarsi».