La battaglia di Terry Crews
Un attore americano grosso e palestrato da anni cerca di sensibilizzare ai temi del femminismo e della "mascolinità tossica", denunciando anche una molestia subita
La scorsa settimana Terry Crews, ex atleta statunitense e oggi attore di successo conosciuto principalmente per la serie Brooklyn Nine Nine, ha testimoniato davanti alla commissione Giustizia del Senato statunitense per sostenere una legge conosciuta come “Sexual Assault Survivors’ Bill of Rights”, che prevede una serie di misure a tutela delle vittime di violenza sessuale. Crews ha dato una testimonianza intensa ed emozionata, in cui ha raccontato l’esperienza di essere stato vittima di una violenza sessuale, e ha condiviso le difficoltà, l’isolamento e l’umiliazione a cui va incontro chi denuncia un abuso simile, anche se è un uomo.
Il video di Crews è stato molto diffuso online, e apprezzato da chi da tempo chiede che più uomini famosi prendano parola in sostegno del movimento #MeToo, e mettano in discussione i radicati modelli di “mascolinità tossica”, come viene chiamata negli Stati Uniti quella costruzione sociale che promuove l’immagine di un uomo dominante, potente e sicuro di sé. Crews non è nuovo a questo tipo di impegni, visto che da anni conduce una sua personale battaglia contro gli stereotipi legati al ruolo del maschio nella società: e lo fa da un piedistallo particolare, essendo lui un muscolosissimo omone di 1,91 metri, con un passato da giocatore di football professionista.
Crews ha 49 anni, e crebbe in una famiglia in cui il padre, alcolizzato, picchiava sua madre. Da giovane ebbe una promettente carriera come giocatore di football, e dopo il college giocò per alcuni anni nella NFL, il massimo campionato americano. Dopo essersi ritirato dovette lavorare come addetto alle pulizie mentre cercava di lanciare la sua carriera da attore. Alla fine ci riuscì, facendosi conoscere con una serie di ruoli secondari in commedie e serie tv e poi con alcuni famosi spot di Old Spice, una marca di deodoranti, in cui esibiva comicamente i suoi molti muscoli. Nel 2013 ottenne uno dei ruoli principali in Brooklyn Nine Nine, una serie comica di Fox ambientata in un commissariato di polizia.
Crews venne molestato sessualmente nel 2016 da Adam Venit, un noto e potente agente che rappresenta tra gli altri Sylvester Stallone e Adam Sandler (l’episodio successe proprio a casa di Sandler). Durante una festa, alla quale stava partecipando con sua moglie, Venit gli afferrò i genitali, tenendoli in mano per diversi secondi e sorridendo. Davanti al comitato del Senato, Crews ha detto che «quello che stava esplicitamente dicendomi, tenendo i miei genitali in mano, era che lui aveva il potere, che era lui in controllo».
Crews aveva denunciato pubblicamente la molestia pochi giorni dopo i primi articoli su Harvey Weinstein, il produttore cinematografico accusato di aver stuprato e molestato decine di donne. Ha detto al Senato che quando avvenne la molestia, nel 2016, sentiva che non sarebbe stato creduto: per questo provò a risolvere la questione con l’agenzia del suo aggressore, senza denunciare pubblicamente. Non denunciò l’accaduto, disse, «perché non volevo essere ostracizzato, visto che l’aggressore aveva potere e influenza. Lasciai perdere. E capisco perché così tante donne a cui capita questa cosa facciano lo stesso». Dopo le denunce a Weinstein, però, ha detto di aver trovato il coraggio per prendere parola pubblicamente «per raccontare la mia storia, a sostegno di queste donne».
A chi gli chiese perché non reagì fisicamente per fermare l’aggressione, ha detto che non voleva creare la situazione “Uomo nero enorme pesta un pezzo grosso di Hollywood”. «Come uomo nero in America, hai soltanto un certo numero di possibilità di successo», ha detto Crews rispondendo a una domanda della commissione. Ha raccontato delle persone afroamericane con cui è cresciuto a Flint, in Michigan, e che per aver reagito a delle provocazioni ora sono in carcere, o morti; di come sua moglie lo ha «addestrato» a non reagire per non finire in situazioni pericolose.
La testimonianza completa di Crews.
Crews non reagì, ma il giorno dopo denunciò la molestia all’agenzia di Venit, che lì per lì promise provvedimenti ma non fece niente. Venit lo chiamò per scusarsi. Più avanti, dopo la denuncia di Crews, un produttore chiamò il suo agente per dirgli che se non avesse lasciato cadere le accuse sarebbe stato escluso da I Mercenari 4, l’ultimo capitolo di una famosa serie di film di azione con Sylvester Stallone a cui Crews aveva partecipato. Crews ha poi rifiutato di recitare nel film, perché il produttore era a sua volta coinvolto in un’indagine per molestie sessuali. Dopo la sua denuncia, ha comunque ottenuto altri ruoli, anche molto importanti, per esempio nel film della Marvel Deadpool 2.
Crews, durante la testimonianza, ha detto che nonostante non abbia mai molestato una donna è stato complice del modello maschile dominante, perché «ho guardato dall’altra parte. Gli uomini devono chiedere conto delle loro azioni agli altri uomini. È l’unico modo in cui il sistema può cambiare». Ha continuato dicendo che gli uomini devono mettere in chiaro agli altri uomini che rafforzano il modello della mascolinità tossica che non lo permetteranno più: «E se devo essere il primo a farlo, lo sarò».
Dopo l’esposizione mediatica che seguì alla sua denuncia, Crews venne deriso da altri uomini nello show business americano. Tra i più recenti c’è stato il rapper 50 Cent, che dopo la testimonianza davanti al Senato ha condiviso su Instagram un meme che si prendeva gioco di Crews in quanto vittima di molestie sessuali. Il post è stato poi cancellato. Crews rispose dicendo che le reazioni alla sua denuncia dimostrano che «le dimensioni non contano quando si parla di molestie sessuali», e in un tweet ha risposto alle accuse che normalmente vengono mosse a chi denuncia una violenza sessuale: «Perché non hai detto qualcosa? Perché non lo hai respinto? Perché non l’hai insultato? Perché non l’hai detto alla polizia? Perché non hai sporto denuncia? Perché hai lasciato che succedesse? Perché non l’hai picchiato?».
Why didn’t you say something?
I did.
Why didn’t you push him off?
I did.
Why didn’t you cuss him out?
I did.
Why didn’t you tell the police?
I did.
Why didn’t you press charges?
I did.
Why did you just let it happen?
I didn’t.
Why didn’t you beat him up?
(Sigh)
— Terry Crews (@terrycrews) June 29, 2018
Ma Crews non è nuovo a un impegno di questo tipo. Nel 2014 aveva pubblicato un’autobiografia, Manhood: How to Be a Better Man—or Just Live With One, in cui aveva raccontato l’esperienza di avere un padre alcolista e violento, la sua dipendenza dalla pornografia, il suo essere diventato femminista e di come si era staccato dal modello di maschio forte e dominante liberandosi dagli stereotipi della mascolinità tossica. Durante la promozione del libro, Crews sfruttò la sua visibilità per parlare di queste cose anni prima che diventasse un tema sul quale, quasi obbligatoriamente, tutti gli uomini di Hollywood devono prendere posizione. Il personaggio che interpreta in Brooklyn Nine Nine, del resto, è in buona parte basato sul contrasto tra il suo aspetto da poliziotto prestante e minaccioso e il suo carattere da padre amorevole e uomo sensibile.
Da quando ha denunciato la violenza sessuale, ha raccontato Crews in un’intervista a BuzzFeed e nella sua testimonianza al comitato del Senato, parte della comunità di Hollywood lo ha emarginato: «Entro in una stanza, e la gente si divide a metà». Secondo Crews, il problema è che altri uomini pensano che se è intransigente con i predatori sessuali c’è il rischio che se la prenda anche con loro. E in effetti lo ha fatto, con quelli che hanno difeso il suo aggressore o hanno minimizzato la vicenda: per esempio con Russell Simmons, produttore musicale a sua volta accusato di stupro da diverse donne, che – ha detto Crews – gli scrisse una mail per consigliargli di lasciare perdere Venit.
Crews ha detto al comitato che «il silenzio è assordante, quando si tratta di uomini che parlano di questo tema». Come ha scritto la giornalista dell’Atlantic Hannah Giorgis, la battaglia di Crews è importante perché va contro l’idea diffusa che a subire una violenza sessuale possa essere solo chi non riesce fisicamente a impedirla: e quindi un uomo “debole”, oppure una donna, cioè un individuo incapace di difendersi, secondo questa visione maschilista e retrograda.
La legge che sta sostenendo Crews cerca di garantire che le vittime di violenze sessuali ricevano sostegno psicologico e consiglio legale, e prevede che le prove fisiche della violenza, raccolte subito dopo l’aggressione, siano conservate fino allo scadere del termine entro il quale si può sporgere denuncia. Questo, ha spiegato Crews, dà alle vittime «il diritto di distanziarsi dal trauma immediato prima di prendere la decisione difficile di sporgere denuncia alla polizia».
Quello della distanza temporale tra molte violenze rivelate durante le settimane del #MeToo e le loro effettive denunce è stato uno degli argomenti più discussi, e nonostante sia stato ampiamente spiegato che trovare la forza per denunciare una violenza sessuale è molto difficile e può richiedere tempo, molte persone ancora lo usano come argomento per screditare le donne che hanno preso parola negli ultimi mesi. Il fatto che a rivendicare questo diritto sia un uomo come Crews potrebbe aiutare a mettere in una nuova prospettiva la questione.