La versione di Minniti sull’immigrazione

In un lungo articolo pubblicato dal Foglio ha articolato il suo pensiero sulla Libia, i paesi del Visegrad e l'accoglienza in Italia, fra le altre cose

(ANSA/MIKE PALAZZOTTO)
(ANSA/MIKE PALAZZOTTO)

L’ex ministro dell’Interno Marco Minniti ha scritto una specie di saggio pubblicato oggi dal Foglio per spiegare quale approccio dovrebbe avere il nuovo governo italiano sull’immigrazione. È la prima volta che Minniti spiega in maniera articolata la sua posizione: quando era ministro dava pochissime interviste, e anche nell’ultima campagna elettorale non si era esposto molto.

Durante il suo incarico Minniti è riuscito a ridurre moltissimo gli sbarchi dalla Libia grazie ad alcuni accordi con milizie locali e il sostegno alla Guardia costiera libica, formata soprattutto da altri gruppi armati: per questi accordi è stato molto criticato dalla parte sinistra del Partito Democratico, dalle associazioni per i diritti umani e dai partiti di sinistra, ottenendo però un vasto consenso trasversale (per mesi è stato il ministro più popolare del governo Gentiloni). Nel saggio sul Foglio ha cercato sia di argomentare alcune sue scelte da ministro – «una sinistra moderna non può rompere un canale, diciamo, sentimentale con coloro che provano rabbia e con coloro che provano paura» – sia di indicare una soluzione ai casi politici che il governo italiano ha creato nelle ultime settimane, come la chiusura dei porti alle ong (che nell’estate del 2017 lo stesso Minniti aveva minacciato più volte).

Minniti apre il suo saggio definendo l’immigrazione «un problema», «che non solo l’Italia e l’Europa ma il mondo intero si trovano ad affrontare ciclicamente assieme ad altre questioni anche più drammatiche o a dossier per così dire di ordinaria amministrazione: le guerre, la povertà, il debito, i dazi». Poi spiega che questo «problema» si può risolvere con un approccio da società aperta o da società chiusa.

Il programma sul quale abbiamo puntato è l’accoglienza diffusa, cioè il superamento dei grandi centri di accoglienza, più o meno ben gestiti (spesso gestiti male, e lì come dicono le notizie di queste ore il business lo fanno gli italiani); ma soprattutto la diffusione, la polverizzazione degli immigrati sul territorio elimina l’effetto ghetto e riduce i timori della popolazione. L’accordo stipulato con l’associazione dei comuni italiani prevede come media 2,5 immigrati accolti ogni mille abitanti, su base volontaria e con incentivi alle amministrazioni.

Avremmo una diffusione a bassissimo impatto sociale, a migliore controllo, e che contempererebbe due diritti, quello di chi accoglie e di chi è accolto. Il problema è che la Lega dice ai suoi sindaci di non accogliere nessuno, e nelle regioni leghiste non esiste ancora nessun Cie, che sono i centri di identificazione e accoglienza. Eppure questo non significa che in Veneto o in Lombardia, o in Liguria, non ci siano immigrati fuori controllo. Semplicemente si preferisce girare la testa dall’altra parte, scaricare il fardello sugli altri, scegliere la politica dei simboli e non della responsabilità. La società chiusa.

Minniti dedica un intero paragrafo alla sua strategia in Libia, cioè il paese da dove parte la maggior parte dei barconi di migranti. Minniti rivendica di aver sostenuto la Guardia costiera libica – «che in questi mesi ha operato con numeri inimmaginabili in passato: stiamo parlando di decine di migliaia di persone salvate e riportate in Libia» – di avere negoziato una pace fra le tribù libiche e migliorato le condizioni e offerto soldi alle comunità locali per scoraggiare il business del traffico degli esseri umani. Per quanto riguarda i migranti, Minniti spiega:

«La realtà di oggi è che in questo momento sono presenti a Tripoli l’Organizzazione mondiale dell’immigrazione, le Nazioni Unite, le organizzazioni non governative italiane. Non è solo apparenza: nel momento in cui la guardia costiera libica fa un’operazione di salvataggio e recupero, e riporta i migranti sulle loro coste, trova sulla banchina personale internazionale con le pettorine azzurre, come quello presente in ogni paese occidentale, porti italiani compresi»

Il problema è che spesso i migranti vengono portati in centri di detenzione dove raramente vengono rispettati i diritti umani, oppure venduti ad altri trafficanti di esseri umani. Le stesse agenzie dell’ONU citate da Minniti ritengono che in quanto a rispetto dei diritti umani in Libia non sia cambiato poi molto, negli ultimi mesi.

Minniti è anche molto critico sulle ultime prese di posizione del governo italiano e del suo successore Matteo Salvini, che ripete spesso di voler risolvere il problema dell’immigrazione facendo accordi con alcuni dei paesi più ostili ai migranti come Ungheria e Austria.

Tutto questo sta imprigionando il nostro governo in una gigantesca contraddizione: siamo il paese più esposto, il paese che chiede solidarietà, ma contemporaneamente in nome del nazionalismo abbiamo rapporti con chi si oppone ad ogni responsabilità condivisa. Il nazionalismo, giova ricordarlo, si definisce nella diversità e alterità con ogni altra identità nazionale. Così i primi a negarci ciò che chiediamo sono quelli ai quali vogliamo ispirarci ed essere alleati, Ungheria e Austria in testa. Ecco, l’attuale maggioranza si trova prigioniera della sua ideologia. Una contraddizione-capolavoro.

Secondo Minniti, infine, il governo italiano ha sfruttato l’ultimo Consiglio europeo tenuto a Bruxelles lo scorso weekend per ottenere qualche titolo favorevole sui giornali, e poco più.

Oltre il titolo, non si riesce ad andare. Così come è un titolo quello dei centri controllati in Europa. Ma la cosa più delicata è che tutto questo, tutto ciò che riguarda i cosiddetti movimenti primari, diventa volontario. Giova qui ricordare che negli anni scorsi il sistema delle relocation, che pure era obbligatorio, non ha portato tutti i paesi membri a rispettare quello che era previsto dagli accordi europei. E’ difficile adesso immaginare come sia possibile convincere attraverso la “volontarietà” coloro che sono sfuggiti alla “obbligatorietà”.

E’ chiaro che nel momento in cui sulla immigrazione si sceglie la via dell’Europa dei volenterosi si rischia di rendere ancora più evidente l’isolamento di coloro che sono in prima linea. Ma, e qui sta la terza mela avvelenata, mentre per i principi di solidarietà nei movimenti primari viene introdotta la volontarietà, per i rimpatri nei paesi di primo arrivo (l’Italia) rimane, senza essere nemmeno scalfita di un millimetro, l’obbligatorietà. Non sembra uno scambio vantaggioso.