Il pasticcio di McKinsey in Sudafrica
Il New York Times racconta come la più importante società di consulenza manageriale del mondo ha commesso "il più grave errore dei suoi 90 anni di storia"
Da diversi mesi la multinazionale di consulenza McKinsey, tra le più grandi e influenti del mondo nel suo settore, è coinvolta in uno scandalo per le sue attività in Sudafrica, dove nel 2015 stipulò un contratto da decine di milioni di dollari per conto di Eskom, la società elettrica nazionale. McKinsey, si è scoperto lo scorso ottobre, lavorò per Eskom insieme a un’altra società di comodo, controllata dalla famiglia Gupta, al centro del grave scandalo di corruzione che ha portato alle dimissioni dell’ex presidente sudafricano Jacob Zuma lo scorso febbraio. L’accusa è che McKinsey si sia arrischiata in un affare sul quale aveva pochissime garanzie, facendosi così coinvolgere in un complicato sistema per sottrarre fondi pubblici per decine di milioni di dollari.
McKinsey ha negato di aver commesso delle illegalità, ma ha ammesso di aver fatto degli errori di valutazione nella gestione di quello che è stato il più importante contratto della sua storia in Africa, e anche uno dei più gravi errori nei suoi oltre novant’anni di storia. Il New York Times ha raccontato cos’è andato storto, parlando tra gli altri con 16 tra attuali ed ex dipendenti e collaboratori della società.
Cos’è McKinsey
McKinsey fu fondata nel 1926 ed è oggi la più grande società di consulenza manageriale al mondo: ha sedi in decine di paesi e si occupa di analisi e consulenze strategiche per aziende, istituzioni e governi internazionali. McKinsey si è costruita la sua reputazione lavorando per decenni con aziende di tutto il mondo, grandi o piccole, ma in tempi più recenti ha aumentato le sue collaborazioni governative: stabilire quante siano non è davvero possibile, visto che McKinsey non rivela i nomi dei propri clienti.
McKinsey offre consulenza in un gran numero di settori, dall’istruzione all’economia alla sanità alla guerra: è una «potenza nascosta e che non deve rendere conto a nessuno» e che è «depositaria delle informazioni più sensibili di cui dispongono i governi e altre società» ha detto al New York Times Janine R. Wedel, una docente della George Mason University che si è occupata a lungo di McKinsey. La società è conosciuta e rispettata per l’altissimo livello dei propri servizi e per la grande preparazione dei propri dipendenti, e ha aiutato moltissime società – a volte anche gratis, in casi di organizzazioni benefiche – a diventare più efficienti. Dall’amministrazione Eisenhower alla NASA a Wall Street, la storia di McKinsey è piena di successi, e la società ha avuto come dirigenti alcune delle persone più brillanti e potenti del mondo, da Louis Gerstner di IBM a Sheryl Sandberg di Facebook.
Cosa c’entra il Sudafrica
Per questo, scrive il New York Times, quello che è accaduto in Sudafrica è sorprendente. McKinsey si avvicinò al paese soltanto dopo la fine dell’apartheid, negli anni Novanta. Nel 2012 stabilì a Johannesburg un ufficio in cui lavoravano al 60 per cento sudafricani neri, con grandi ambizioni e una strategia definita anni prima: occuparsi delle società pubbliche del paese, per il loro grande peso sull’economia nazionale.
Ci sono due “puntate precedenti” da sapere per capire il guaio di McKinsey ed Eskom. La prima è che a partire dall’inizio degli anni Duemila, McKinsey cominciò a proporre contratti che non prevedevano un compenso fisso per la società, ma uno legato all’effettiva riduzione dei costi ottenuta grazie alla consulenza. Questa formula era stata scartata in precedenza, perché presentava il rischio evidente che i consulenti di McKinsey consigliassero tagli alle spese di una società soltanto per ottenere maggiori compensi, anche in quei casi in cui i tagli fossero stati controproducenti.
La seconda è che nei primi anni della sua presenza in Sudafrica, McKinsey aveva lavorato per Transnet, la società pubblica dei porti e delle ferrovie sudafricane. Nel 2011 ad amministrare Transnet arrivò Brian Molefe, un dirigente legato ai Gupta, una ricca e potente famiglia indiana arrivata in Sudafrica 25 anni fa, che mise in piedi velocemente un intricato impero economico, facendo notizia per il suo stile di vita appariscente. McKinsey e Transnet prepararono insieme un piano di rilancio che prevedeva l’acquisto di oltre mille nuove locomotive, nel più grande appalto pubblico della storia del paese. Alla fine McKinsey si sfilò dall’accordo, che Transnet portò comunque a termine con un losco contratto che fece pagare le locomotive un miliardo di dollari in più del giusto prezzo; una società cinese coinvolta nell’operazione, poi, versò 100 milioni a una società riconducibile ai Gupta, in quello che i procuratori sudafricani considerano essere stato un modo illegale di sottrarre fondi a una società pubblica.
Il contratto con Eskom
Nel 2015 Molefe divenne capo di Eskom, la società elettrica nazionale, piena di problemi e molto impopolare per i frequenti blackout e le tariffe alte. Per rimettersi in sesto Eskom chiese una consulenza a McKinsey, che propose un contratto che prevedeva un compenso solo nel caso in cui la società avesse realizzato dei risparmi, sui quali McKinsey avrebbe ottenuto una percentuale. Era apparentemente un rischio soltanto per McKinsey, che avrebbe potuto investire molte risorse per niente: in realtà Eskom stessa non sapeva a quanto sarebbe potuto aumentare il conto finale.
Il contratto non fu accolto bene da tutti, a McKinsey. Qualcuno sottolineava il rischio che, al di là della qualità della consulenza, una società problematica come Eskom non sarebbe stata in grado di applicare le direttive di McKinsey. Altri erano preoccupati di quale sarebbe stata la reazione dei cittadini sudafricani di fronte a una consulenza da centinaia di milioni di dollari a carico dello Stato. A destare sospetti, poi, c’era il fatto che il contratto era stato ottenuto senza una gara, in un paese dove notoriamente la corruzione politica è un problema.
Il New York Times ha parlato con molti dipendenti e collaboratori di McKinsey, in condizione di anonimità, che hanno spiegato che alla fine il contratto con Eskom ottenne l’approvazione e il sostegno dei pezzi grossi di McKinsey. Fu quindi firmato, ma il primo grave errore fu che i responsabili del contenimento dei rischi della società non sottoposero l’operazione ai normali e minuziosi controlli riservati ai contratti pubblici, perché all’epoca le società statali venivano considerate come quelle private. Vennero quindi valutati i rischi economici e non quelli politici. Se fossero stati fatti i controlli necessari, sarebbe probabilmente emerso che Eskom non aveva ottenuto dal governo il permesso di stipulare un contratto che non prevedeva in anticipo la somma per la consulenza. Quello che era appena stato firmato da McKinsey era quindi un contratto illegale.
Ma McKinsey non svolse i controlli necessari nemmeno su Trillian Management Consulting, una società di consulenza a cui – su indicazione di Eskom – dovette subappaltare parte del lavoro: una legge sudafricana prevede infatti che le società che lavorano per lo Stato collaborino con organizzazioni gestite da africani neri. Trillian era una società con due soli dipendenti e con poche possibilità di contribuire realmente al lavoro di un gruppo enorme come McKinsey. Era stata fondata da poco, non aveva grande esperienza e nessuno sembrava sapere con esattezza di cosa si occupasse. Certi dubbi su quale avrebbe potuto essere il contributo di Trillian li aveva anche la sua dirigente Bianca Goodson, che espresse le sue perplessità in una riunione con i capi sudafricani di McKinsey. Quando lo fece, però, fu ignorata e quasi derisa, ha poi raccontato Goodson in una memoria fornita al Parlamento sudafricano. Goodson lasciò Trillian due mesi più tardi.
I dubbi su Trillian Management Consulting comunque cominciarono a circolare anche tra alcuni dirigenti di McKinsey in Sudafrica. McKinsey sapeva effettivamente poco o niente su Trillian, che si era perfino rifiutata di rivelare i propri proprietari. Decise comunque di proseguire con la consulenza e soltanto in seguito McKinsey commissionò delle indagini su Trillian, senza però ottenere risultati concreti. Intanto il dirigente di McKinsey a capo del progetto con Eskom – Vikas Sagar – aveva iniziato a vedere i vertici di Eskom e Trillian da solo, senza altri colleghi.
I guai
Qualche settimana dopo i giornali sudafricani rivelarono che il proprietario di Trillian era Salim Essa, cioè l’uomo legato alla famiglia Gupta che aveva ricevuto i 100 milioni di dollari attraverso la società nell’affare Transnet. Il 30 marzo 2016 McKinsey disse ad Eskom che avrebbe interrotto i rapporti con Trillian. In realtà, però, Trillian continuò a lavorare alla consulenza insieme a McKinsey: come collaboratore indipendente, invece che subappaltando il lavoro. La decisione non fu condivisa da molti dirigenti di McKinsey e alla fine, pochi mesi dopo, fu Eskom a tagliare i rapporti con Trillian dopo che la stampa locale scoprì nuovi legami con la famiglia Gupta.
Per otto mesi di consulenza, il compenso dovuto a McKinsey ammontava così a quasi 100 milioni di dollari, il 40 per cento dei quali sarebbe dovuto andare a Trillian. Come ha fatto notare il New York Times, una cifra del genere sarebbe probabilmente passata inosservata negli Stati Uniti, ma in Sudafrica generò diffusa indignazione, a cui McKinsey non diede risposta: «una delle molte decisioni che la società avrebbe rimpianto».
Nel 2017 la procura nazionale sudafricana accusò McKinsey di aver creato «un velo di legittimità in quello che altrimenti sarebbe stato un accordo inesistente e illegale», che consentì a una società della famiglia Gupta di arricchirsi con soldi pubblici. Alla base dell’accusa a McKinsey ci fu una scoperta di Geoff Budlender, un attivista per i diritti umani che era stato incaricato di indagare sulla vicenda. Budlender aveva chiesto a McKinsey se avesse mai lavorato in qualsiasi forma con Trillian, ottenendo una risposta negativa. Budlender aveva però una lettera che Sagar – il dirigente di McKinsey in Sudafrica – aveva inviato a Eskom esplicitando il ruolo di Trillian come subappaltatore di parte della consulenza, che conteneva anche l’indicazione di pagare direttamente la società senza passare da McKinsey, come sarebbe stato normale. Gli avvocati di McKinsey, dopo molte indecisioni, preferirono non commentare questa incongruenza. Contattati dal New York Times, hanno spiegato che la lettera si riferiva a un contratto minore, ma hanno ammesso che non sarebbe mai dovuta essere inviata.
David Fine, dirigente sudafricano di McKinsey, ha ammesso davanti alla commissione parlamentare che indagò sullo scandalo che la sua società avrebbe dovuto prevedere un compenso massimo per la consulenza. Ha sostenuto che Eskom ottenne in effetti dei benefici economici grazie alla consulenza, ma ha ammesso che è strano che ciononostante i prezzi dell’elettricità siano saliti e la società abbia perso liquidità. Dominic Barton, tra i massimi dirigenti di McKinsey, ha contestato la narrazione predominante secondo la quale la sua società prese decine di milioni di dollari per fare poco o niente, sostenendo che la consulenza ci fu.
Secondo Grieve Chelwa, docente di economia alla Università di Città del Capo, la decisione di McKinsey di avventurarsi in un’enorme consulenza per un paese della cui situazione politica non aveva il polso dipese da un semplice calcolo dei rischi: l’ammontare del compenso possibile fu giudicato sufficiente per rischiare e accettare il lavoro.
L’epilogo
Il comportamento di McKinsey in Sudafrica è stato segnalato al dipartimento della Giustizia statunitense, ma non si sa ancora se sia stata avviata un’indagine. L’inchiesta della procura nazionale sudafricana nel frattempo è stata congelata, per attendere le conclusioni di quella portata avanti dal governo. Intanto, diverse banche e società, come la divisione sudafricana di Coca-Cola, hanno interrotto i propri rapporti con McKinsey.
McKinsey ha negato di aver violato la legge, ma ha ammesso di non aver fatto abbastanza attenzione alle organizzazioni con cui lavorò, di aver sbagliato a continuare a collaborare con Trillian e a dare informazioni false a Budlender. La società ha detto che d’ora in poi riserverà gli stessi controlli che fa sulle istituzioni pubbliche alle società possedute dallo stato, una decisione che potrebbe avere conseguenze sulle consulenze in Cina, dove ha lavorato per almeno 19 tra le più importanti società controllate dallo stato. La maggior parte dei dirigenti coinvolti si sono dimessi o sono stati multati o trasferiti.