Dov’è Obama?
Il suo ritiro quasi assoluto dal dibattito pubblico disorienta alcuni Democratici e ne irrita altri, racconta il New York Magazine: e lui cosa fa, nel mentre?
Negli otto anni della sua presidenza, per centinaia di milioni di persone nel mondo Barack Obama è stato il volto degli Stati Uniti: non solo il loro presidente, ma anche il loro “sacerdote laico”, come ha scritto Gabriel Debenedetti sul New York Magazine, in grado di plasmare e indirizzare il paese con il suo carisma e la potenza della sua immagine e del suo messaggio. In quegli otto anni Obama era dappertutto: ora invece è scomparso. In uno dei momenti storici di massima polarizzazione della società e del dibattito statunitensi, che coincide con una grave crisi di identità del progressismo e del liberalismo non solo americano ma occidentale, l’uomo che per molti versi ne é stato il leader indiscusso per otto anni sta apparentemente dedicandosi ad altro. In un lungo reportage, Debenedetti ha provato a capire a cosa, e perché.
Da quando è uscito dalla Casa Bianca, cioè dal gennaio del 2017 in poi, Obama è intervenuto pochissimo nel dibattito politico americano. Si è astenuto dal commentare gli scandali e le politiche che hanno coinvolto Donald Trump, salvo rarissime eccezioni in cui comunque l’ha fatto in modo indiretto. Uno dei pochissimi casi in cui è intervenuto è arrivato di recente, in occasione della grave crisi dei bambini separati dai genitori al confine tra Stati Uniti e Messico: prima l’ex first lady Michelle Obama ha retwittato un editoriale di Laura Bush, commentando “la verità a volte prescinde dal partito”. Suo marito l’ha retwittata a sua volta, e pochi giorni dopo ha diffuso un comunicato in occasione della Giornata mondiale del rifugiato in cui ha parlato più dei valori americani che delle politiche di Trump. Il suo intervento, in una delle più drammatiche e sentite crisi statunitensi degli ultimi anni, è finito lì.
Sometimes truth transcends party. https://t.co/TeFM7NmNzU
— Michelle Obama (@MichelleObama) June 18, 2018
Sarebbe stato difficile per Obama tacere completamente di fronte a una situazione così: ma il silenzio che si è autoimposto ha molte ragioni, ha raccontato Debenedetti. Per cominciare, Obama si è tirato fuori dal ciclo dell’indignazione di sinistra che ha caratterizzato questo anno e mezzo di presidenza Trump. Legge i giornali, ma perlopiù ignora i tweet di Trump e non guarda molti notiziari, ha spiegato Debenedetti, che per il suo articolo ha parlato con decine di persone che hanno frequentato Obama in questi ultimi mesi. Ai suoi amici dice che lo preoccupa soprattutto l’ordine internazionale e la rispettabilità della presidenza, oltre alle sofferenze di chi vive nell’incertezza perché non sa cosa sarà del suo status migratorio o della sua assistenza sanitaria. Ma Obama dice che il caos politico quotidiano americano e la stessa amministrazione Trump sono un piccolo contrattempo nel più ampio arco della storia, e che non gli interessa la sua legacy, il concetto americano per indicare l’eredità politica e morale di una personalità pubblica, centrale nella concezione statunitense del successo personale.
Nei suoi colloqui privati Obama parla poco o niente di Trump, dice chi a quei colloqui ha partecipato. Un amico ha raccontato di averci parlato per 45 minuti nel suo ufficio senza menzionarlo, salvo poi passare alla fine davanti all’ufficio di un suo collaboratore con la televisione accesa su un notiziario: Trump stava dicendo – mentendo – di essere stato prosciolto nell’inchiesta sulla Russia, Obama ha fatto una faccia sconcertata e poi ha ripreso la conversazione.
Secondo Debenedetti, Obama vede come più efficaci nel dibattito pubblico manifestazioni collettive come la Women’s March o quelle sul controllo delle armi, più che i suoi singoli interventi che possono influenzare per qualche giorno il ciclo delle notizie: senza contare che i suoi interventi possono contribuire alla polarizzazione, invece che disinnescarla. Del resto, quella di non commentare qualsiasi dichiarazione dei suoi avversari era la sua linea anche da presidente: “When they go low, we go high”, aveva detto Michelle Obama alla convention dei Democratici del 2016.
Jim Messina, stratega politico dietro alla campagna di rielezione di Obama del 2012, ha spiegato che Obama sta seguendo anche l’esempio di George W. Bush, che si impegnò a non intervenire in pubblico per delegittimare Obama, cosa che lui apprezzò moltissimo. Il secondo principio che sta seguendo Obama, secondo Messina, è occuparsi innanzitutto di «formare una nuova generazione di leader. Il terzo principio è pensarci molto e molto bene prima di derogare al primo o al secondo principio, specialmente il primo. È stato molto cauto sul primo».
Sono moltissimi quelli che nel Partito Democratico vorrebbero un suo maggiore impegno pubblico quotidiano. «Ma in realtà quello che vogliono è che Obama sia presidente, e non lo è più. Gli manca il papà, hanno nostalgia di casa, e c’è così tanto in questo mondo di spaesante: vogliono qualcosa di familiare, che amano», ha spiegato Jennifer Palmieri, ex responsabile della comunicazione di Obama. Obama e Trump non hanno avuto contatti diretti dopo la cerimonia di insediamento, nel gennaio del 2017.
Il disimpegno di Obama è dipeso anche dalla strategia di Trump di addossare e personalizzare i problemi degli Stati Uniti su di lui: in questo senso, un suo coinvolgimento diretto potrebbe avvalorare questa lettura agli occhi degli elettori di Trump, cosa che Obama con ogni probabilità vuole evitare. Ma c’è stato almeno un caso in cui Obama ha svolto un’operazione politica da dietro le quinte: in occasione del voto al Senato sull’abolizione di Obamacare, il sistema di assistenza sanitaria che fu al centro del suo primo mandato. All’inizio Obama si limitò a qualche riferimento nei suoi discorsi e a un post su Facebook, attirandosi di nuovo le critiche di chi lo avrebbe voluto più partecipe. Poi attraverso il governatore dell’Alaska contribuì a convincere la senatrice Repubblicana Lisa Murkowski a votare contro la proposta di Trump, come aveva lasciato intendere. Dopo il voto, che segnò il fallimento del tentativo di Trump di abolire Obamacare, Obama telefonò al senatore Repubblicano John McCain, suo ex sfidante alla presidenza, per ringraziarlo del voto decisivo.
Oggi gli Obama vivono a Washington insieme alla loro figlia più giovane, Sasha, in una casa a pochi passi da quella di Ivanka Trump e Jared Kushner, figlia e consigliere di Trump. Si era parlato di un loro possibile trasferimento nell’Upper East Side di Manhattan, ma sembra che sia perlomeno rimandato: hanno sempre detto di voler far finire le scuole a Sasha a Washington, e stanno costruendo una piscina in giardino. Subito dopo la fine del suo secondo mandato Obama aveva fatto un po’ di vacanze a Palm Springs, sull’isola privata di Richard Branson, e poi sullo yacht del produttore David Geffen insieme a Tom Hanks, Bruce Springsteen e Oprah Winfrey.
Challenged @barackobama to a kitesurf vs foilboard learning contest – here’s what happened https://t.co/5hwjOvy2TK pic.twitter.com/wEGSjL2TAr
— Richard Branson (@richardbranson) February 7, 2017
Obama oggi dedica la maggior parte del suo tempo alla Obama Foundation, una fondazione che ha l’obiettivo di formare una nuova classe dirigente, con un campus privato a Chicago, dei corsi alla Chicago University, e dei programmi finanziati e molto selettivi per la formazione di 300 giovani leader a Phoenix, Chicago e Columbia (in South Carolina). Ovviamente Obama ha una lunga lista di contatti di potenziali grandi finanziatori e un notevole potere di convincimento, e sta cercando di raccogliere tra i 500 milioni e il miliardo di dollari. Tra quelli che hanno donato almeno un milione ci sono gente come il capo di Disney Bob Iger e il produttore J. J. Abrams.
Obama fa discorsi in giro per il modo che possono essere pagati fino a 300mila dollari, anche per grandi società finanziarie internazionali, ed entro luglio avrà visitato tutti i continenti per incontrare imprenditori e politici locali in colloqui privati: dalla Nuova Zelanda all’Argentina al Canada all’Italia, dove nel 2017 ha incontrato Matteo Renzi a Milano. A novembre uscirà il libro di Michelle Obama, mentre il suo – che gli è valso un contratto da 65 milioni di dollari – è ancora in lavorazione: e chi lo conosce dubita che sarà un semplice resoconto degli anni della presidenza. Lui e Michelle hanno anche firmato un accordo con Netflix per produrre una serie di contenuti, probabilmente su figure che Obama reputa possano essere educative e fonte di ispirazione.
Queste sue attività gli hanno attirato delle critiche tra i Democratici, che vorrebbero invece Obama più impegnato nella vita politica del partito. «L’universo dei finanziatori nel quale ci muoviamo è limitato. Sono sempre i soliti a cui si rivolgono tutti, che sia per la Camera o per il Senato», ha detto a Debenedetti un addetto alla raccolta fondi per i Democratici che ha spiegato che molti potenziali donatori che ha contattato hanno detto di aver già dato la propria quota per il 2018 alla fondazione di Obama. «Vorremmo poter contare su qualcosa di più importante che una biblioteca a Chicago, ora come ora. Nessuno si aspetta che Obama stia lì a fare a botte con Trump o che segua la campagna elettorale ogni giorno. Ma risucchiare risorse adesso è insensibile ed egoista».
Obama si è impegnato a sostenere la campagna elettorale che potrebbe portare a una vittoria alle elezioni di metà mandato che si terranno a novembre, aiutando con le raccolte fondi e facendo campagna elettorale per alcuni candidati. Secondo le fonti consultate da Debenedetti, però, si impegnerà in prima persona soltanto da settembre, e sembra che non interverrà direttamente nelle primarie che si terranno nei collegi, nemmeno per sostenere ex membri del suo staff.
La lista dei finanziatori e sostenitori di Obama è molto ambita dai politici Democratici, che sanno che basta una telefonata di Obama per raccogliere milioni di dollari per una campagna elettorale. Nel suo ufficio, in un edificio affittato dal World Wildlife Fund nel West End di Washington, dove lavora con una ventina di membri dello staff, Obama ha incontrato negli ultimi mesi una lunga serie di politici di spicco. Molti tra questi fanno parte di quelli che hanno pensato o stanno pensando di candidarsi alle primarie Democratiche del 2020. Come il senatore della Virginia ed ex candidato vicepresidente Tim Kaine, il senatore del Colorado Michael Bennet, il sindaco della città dell’Indiana di South Bend Pete Buttigieg, l’ex segretario di Stato del Missouri Jason Kander, la senatrice del Massachusetts Elizabeth Warren, il senatore del New Jersey Cory Booker, il sindaco di Los Angeles Eric Garcetti o il sindaco di New Orleans Mitch Landrieu.
Praticamente tutti quelli che stanno sondando il terreno per candidarsi alle primarie hanno incontrato Obama: un’eccezione notevole è la senatrice della California Kamala Harris. La maggior parte chiede a Obama consigli politici, personali, logistici ed economici su cosa serva per mettere in piedi una campagna elettorale vincente. Secondo Debenedetti, lui dice soprattutto che bisogna essere convinti fino in fondo, che non esistono “mezze candidature”, e che c’è un grande prezzo da pagare per le famiglie dei candidati. Mette anche in chiaro che non farà endorsement all’inizio delle primarie. Gestire il suo ruolo nelle future primarie potrebbe comunque non essere facile, visto che tre dei candidati potrebbero essere suoi vecchi e stretti amici e collaboratori: come l’ex vicepresidente Joe Biden, l’ex procuratore generale Eric Holder e l’ex governatore afroamericano del Massachusetts Deval Patrick, considerato da qualcuno un possibile diretto erede di Obama.
Nel frattempo, racconta Debenedetti, Obama continua a dire di non rimpiangere i giorni in cui era costretto a occuparsi dei problemi quotidiani con cui ha a che fare un presidente. «Quando abbassa la guardia, ammette che gli manca essere in mezzo ai pasticci internazionali, ma confessa che i ritmi della sua vita si sono abbassati così tanto che ora si sente come Neo, il personaggio di Keanu Reeves in Matrix, che può percepire il tempo iper rallentato mentre evita i proiettili».