Si litiga già sull’accordo sui migranti
Macron ha detto che la Francia non aprirà nessun “centro sicuro” e che la responsabilità continua a essere dei paesi di primo arrivo
Il presidente del Consiglio italiano Giuseppe Conte e il presidente francese Emmanuel Macron hanno espresso opinioni contrastanti sull’accordo sui migranti raggiunto nella notte tra giovedì e venerdì tra i capi di stato e di governo dell’Unione Europea, durante il summit del Consiglio europeo. Il punto sul quale Conte e Macron stanno discutendo è quello che prevede l’apertura di nuovi “centri controllati” per i migranti nell’Unione Europea, e in particolare sui paesi in cui devono essere aperti e sulla volontarietà della loro apertura.
Ieri, in conferenza stampa, Conte ha detto: «è inesatto dire che l’accordo si basa su basi volontarie: è un accordo integrato, articolato, multilivello, come avevamo richiesto». Ha poi difeso la decisione di rendere volontaria l’apertura dei centri di accoglienza per i migranti, sostenendo che «qualche paese informalmente ha già dato la disponibilità: non l’Italia» e aggiungendo che «non è escluso nessun paese, compresa la Francia».
Macron, però, aveva in realtà già detto chiaramente che la Francia non è disponibile ad aprire questi centri, che al contrario devono essere creati nei cosiddetti paesi “di primo arrivo”: e quindi in Italia, Spagna e Grecia. «Il concetto di Paese di primo arrivo non si può cancellare», ha detto Macron. A una giornalista che gli ha fatto notare questa divergenza, Conte ha detto: «Macron era stanco, lo smentisco», negando che nell’accordo si faccia questa distinzione tra paesi di primo e secondo transito.
Macron: non possibile "scagionare" Italia da responsabilità del paese di primo ingresso sui migranti.
— David Carretta (@davcarretta) June 29, 2018
Anche l’Austria ha già detto di non voler aprire questi centri. Il primo ministro Sebastian Kurz ha detto: «Ovviamente no, non siamo un paese di primo arrivo, a meno che la gente non si lanci col paracadute». I paesi del centro europa, e in particolare Ungheria e Slovacchia, si sono detti invece soddisfatti di quello che a loro avviso è stato il superamento del principio delle quote obbligatorie di migranti da ospitare, che era stato previsto nella riforma del Regolamento di Dublino affossata due settimane fa grazie all’opposizione di Austria, Romania, Slovenia, Slovacchia e Ungheria e anche di Italia e Spagna. «Ora tutti hanno lasciato perdere la questione», ha detto il primo ministro ceco Andrej Babiš.
Secondo Conte, l’accordo raggiunto al summit del Consiglio europeo prevede la riforma del Regolamento di Dublino, all’articolo 12. In realtà è un punto piuttosto vago, che stabilisce che vada cercato un consensus per riformarlo: nel linguaggio del Consiglio europeo significa che bisognerà trovare un accordo all’unanimità, col rischio che i paesi del blocco orientale fermino ogni negoziato.
I cosiddetti “centri sicuri” previsti dall’accordo sarebbero in sostanza campi profughi sul suolo europeo, finanziati e gestiti dall’Unione Europea, per ospitare i migranti, esaminare le loro richieste e decidere in modo “rapido” chi ha diritto ad ottenere una forma di protezione internazionale e chi no. In pratica saranno dei nuovi hotspot, come quelli aperti in Grecia e Italia fra 2015 e 2016. Il documento contiene però solo un invito, dato che questi centri verranno aperti eventualmente «su base volontaria» e che nessun paese si è per ora candidato ad ospitarne qualcuno. C’è anche un impegno non vincolante, inserito per ammorbidire la posizione italiana, per istituire questi centri anche nel Nord Africa: ma di nuovo, si parla sempre di base volontaria, e si sa da tempo che questa proposta avrebbe vari ostacoli pratici e legali.
L’accordo era stato raggiunto in un vertice durato fino alle cinque di mattina, dopo che Conte aveva minacciato di mettere il veto sulle conclusioni su tutti gli altri temi se non si fosse raggiunta un’intesa anche sull’immigrazione. L’oltranzismo di Conte ha sorpreso e spaesato gli altri leader europei, hanno scritto tutti i giornali che seguono le vicende di Bruxelles, che però hanno anche sottolineato come i risultati concreti dell’accordo siano deboli.