Cosa si è visto nella moda a Parigi
Si è conclusa la settimana con le sfilate delle collezioni maschili, con nuovi stilisti e vecchie celebrità
Anche chi non si interessa di moda potrebbe essere incuriosito da un nuovo personaggio che ha tutte le caratteristiche per diventare protagonista di quel mondo e della cultura pop in generale, come accaduto negli ultimi anni ad Alessandro Michele di Gucci. È Virgil Abloh, nuovo direttore creativo della linea maschile di Louis Vuitton, tra le più consolidate aziende del lusso mondiale. Ha appena presentato la sua prima collezione alla Settimana della moda di Parigi, dove le aziende di moda francesi hanno fatto sfilare, dal 19 al 24 giugno, le collezioni per la primavera/estate 2019.
La storia di Abloh è peculiare e riflette gli stravolgimenti nel mondo e nel gusto della moda degli ultimi anni. Nato in Illinois nel 1981 da genitori ghanesi, laureato in Ingegneria civile con una specializzazione in Architettura, non ha una formazione professionale da stilista ma ha imparato i rudimenti dalla mamma, che lavorava come sarta. Nel 2009 entrò a Fendi come stagista e incontrò il rapper Kanye West, che l’anno seguente lo nominò direttore creativo del suo think tank DONDA. Abloh e Kanye hanno collaborato insieme per i 14 anni successivi, Abloh ha aiutato Kanye a costruire la sua immagine ed è il suo uomo di fiducia in tutto quel che ha fatto nel mondo della moda; era in prima fila alla sfilata per Louis Vuitton, che si è conclusa con un abbraccio e il pianto commosso di entrambi.
Abloh – è anche direttore del suo marchio Off-White, fondato a Milano nel 2013 – non è tanto uno stilista, come dicevamo, ma «è più inserito nella cultura di chiunque altro», come spiegò nel 2016 il creativo di Nike Fraser Cooke. È in grado forse più di ogni altro di capire le tendenze del momento e di tradurle in uno stile: «Io immagino le cose, non ho mai avuto gli strumenti per farle». Allo stesso tempo è amico delle celebrità e degli influencer che contano, da Kim Kardashian a Naomi Campbell, da Rihanna al musicista Kid Cudi, tutti in prima fila o in passerella per lui al Palais Royal di Parigi. È qui che hanno sfilato su una passerella color arcobaleno 56 modelli tutti di etnie diverse, i primi vestiti completamente di bianco e poi via via con colori sempre più accesi e con tantissimi accessori – zaini, guanti, valigette – come nella tradizione di Louis Vuitton. «Il successo di Abloh, è forse, un meccanismo sociale primitivo. È riuscito a intrecciare immediatamente e visceralmente dei legami con una base solida e massiccia. Giovedì il Palays Royale non è assomigliato a nessun altro evento di moda in tempi recenti […], sembrava quasi un affare di famiglia», ha concluso la rivista Business of Fashion.
Il debutto di Abloh era il più atteso di Parigi ma non l’unico: anche Kim Jones, che dal 2011 al 2018 è stato direttore artistico di Louis Vuitton di cui ha reinventato lo stile, ha presentato la sua prima collezione maschile per Dior, ribattezzato da Dior Homme a Dior Men. Ha sfilato nel quartier generale della Guardia repubblicana, dove ha piazzato un pupazzo gigante ricoperto di rose e realizzato dall’artista Kaws: rappresentava il fondatore Christian Dior con in mano la boccetta del profumo Miss Dior e il suo cane Bobby. Anche qui c’erano tantissime celebrità, da Kate Moss a Lenny Kravitz, e hanno sfilato elegantissimi completi in bianco immacolato e blu pastello, portati con sneaker bianche. Jones ha lavorato soprattutto recuperando e reinventando gli archivi di Dior, con omaggi ai predecessori e soprattutto a John Galliano. Ha anche reinventato l’ape, il simbolo di Dior uomo, chiedendo a Kaws di disegnarla come fosse un buffo emoji.
L’arrivo dei nuovi direttori creativi non ha portato a nessuna particolare rottura o stravaganza: Jones ha dato a Dior una sferzata pop con qualche ammiccamento ai millennials – i nati dalla metà degli anni Ottanta in poi – mentre Abloh ha abbandonato la classica onnipresenza del logo per linee sartoriali più morbide e rilassate: «quello che si è imposto è stato invece un senso di continuità» ha scritto il critico Angelo Flaccavento su Business of Fashion.